Anno liturgico B  – 2020 / 2021


Il secondo decennio del XXI secolo si conclude con un dramma sanitario mondiale imprevedibile nella sua diffusione e nelle sue distruttive conseguenze umane, economiche, sociali.
Siamo perciò messi di fronte al tema della salute con un’impellenza tale che non può esaurirsi autisticamente in se stesso, ma ci obbliga, ci provoca e ci rimanda ad altro, se non vogliamo semplicemente subire paganamente un cieco destino. La salute, salus, è connessa al significato e al termine “salvezza”. In altre parole siamo interpellati dalla realtà e dall’intimo di noi stessi a cercare una risposta al nostro “nulla”, al fatto che tutto sembra un soffio passeggero e noi, da soli, non riusciamo a darci la risposta.
Di fronte all’attuale impellenza ci viene in mente il buon samaritano e il fatto che soprattutto i cristiani sono chiamati a testimoniare la vicinanza e la cura di chi si ammala, rimane solo, muore in solitudine. Ma il cristiano non è solo il buon samaritano è anche il viandante picchiato e ferito, che durante la vita vive momenti anche lunghi in cui attende di essere “salvato”. La santa Madre Teresa di Calcutta, incontrando i più miseri della terra nei “buchi oscuri” dei bassifondi e poi nella solitudine dei benestanti, non pensava di essere colei che faceva qualcosa per loro, ma di incontrare Gesù Cristo (lei diceva di fare ben poco, visto che per quasi tutta la vita ha vissuto nel “buio”, nella “mancanza”).
Credo sia qui che si collochi ogni opera sorta dal genio cristiano nel mondo. I cristiani non sono filantropi che si mettono d’accordo sul da farsi in caso di pandemia, per solidarietà umana, i cristiani sono teofili, amati da Dio e innamorati di Dio e tutto ciò che fanno deriva da questo amore, altrimenti a nulla varrebbe (come ben illustra l’inno alla carità di san Paolo). Per questo il “mondano” non comprende e tenta di incasellare la “carità” cristiana (o dileggiandola o strumentalizzandola o facendone un comodo puntello del potere). Non comprende perché c’è un sovrappiù che non è riconducibile solo alle nostre buone intenzioni, ai nostri sentimenti umani e che diventa riflesso della presenza di Dio in mezzo agli uomini. Vi è una sovrabbondanza dovuta all’incontro con una gioia incoercibile, che non può essere rubata da niente e nessuno, che è donata dal Signore della vita, Colui che ha vinto la morte.
Dopodiché questa sovrabbondanza non può non bagnare e fertilizzare anche l’opera concreta (come conseguenza non come fine) che contribuisce a rendere vivibile questo pellegrinaggio terreno. Solo a queste condizioni si può affermare senza mentire che la vita è bella e val la pena portarla a compimento.
Ecco perché gli “ospedali” in senso stretto nascono col Cristianesimo (non troveremo nulla di simile e aperto a tutti in nessuna fede o cultura); ecco perché vediamo nella storia la “stranezza” della cura anche degli “inutili” in contesti di bellezza e di arte (basterebbe pensare a uno degli innumerevoli esempi tipo S. Maria della Scala a Siena). La medicina così nel tempo non sarà più basata su arti divinatorie o magiche e neppure sarà riducibile alla semplice ricerca sperimentale della guarigione, ma si ritroverà ad accudire l’umano, in collaborazione con Dio che si prende cura di ciascuno perché si apra a una vita grande, alla bellezza, alla gioia vera. Una cura integrale che abiliti l’uomo a vivere la malattia senza farsi definire dalla malattia.
Come ci ricorda la Gaudium et spes (n. 22): “Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione”.
Le omelie di quest’anno liturgico pubblicate sul sito saranno incorniciate da questi grandi segni del genio umano all’ombra della presenza di Dio: 
gli ospedali.

Faccio rimando infine alla bella prefazione di G. Cesana a un libro che vi consiglio (F. Agnoli, Case di Dio e ospedali degli uomini, 2011), che argomenta con ben altro approfondimento quanto ho tentato di proporvi. Ecco il link: => premi qui 

Buon nuovo anno liturgico
Massimo

Tempo Ordinario

LACOR HOSPITAL – Nord Uganda
Nel Nord Uganda, c’è un Ospedale che rappresenta l’unica speranza di guarigione e di salvezza per milioni di persone: è il Lacor Hospital, una struttura capace di accogliere e curare ogni anno più di 250.000 pazienti.
Moltissimi di loro sono bambini e donne, i più colpiti dalla povertà, dalla malnutrizione e dalle durissime condizioni in cui sono costretti a vivere.
Al Lacor tutti sono curati, anche chi non può pagare.
In un Paese in cui più della metà della popolazione vive in una povertà estrema, curarsi è spesso difficile, se non impossibile. Missione del Lacor Hospital è garantire cure e assistenza medica ai più bisognosi senza discriminazioni di sesso, razza, stato sociale, religione o affiliazione politica. Chi non è in grado di pagare viene curato gratuitamente e, anche per chi paga, le tariffe non superano il 25% del costo reale della prestazione.
È il maggiore ospedale non a scopo di lucro dell’Africa equatoriale.
Nato come piccolo ospedale missionario nel 1959, in 60 anni di attività, grazie alla lungimirante gestione da parte dei coniugi Piero e Lucille Corti, il St. Mary’s Hospital Lacor è oggi un punto di riferimento per i 500.000 abitanti del distretto, ma in molti giungono qui in cerca di cura e assistenza da tutto il Nord Uganda.
Offre quotidianamente cure specialistiche in medicina, chirurgia generale, chirurgia orale, pediatria e ostetricia-ginecologia a centinaia di pazienti.
Dispone di 482 letti al suo interno e 72 nei 3 Centri sanitari periferici, situati in un raggio di 40 km dall’ospedale. Nell’ultimo anno fiscale 2018/19 sono stati effettuati 45.701 ricoveri, e 225.000 prestazioni ambulatoriali, 9.713 parti di cui 1.857 sono cesarei.

Solennità e feste

OSPEDALE S. MARIA DEL POPOLO DEGLI INCURABILI – Napoli
Nel Medioevo, gli Ospedali erano strutture di carità, si occupavano di poveri, anziani, orfani, ragazze madri. A Napoli si sentiva il bisogno di un luogo fisico particolarmente grande e con molti medici dove potessero essere curate gratuitamente persone incurabili e così, grazie ad un voto della pia donna spagnola Maria Lorenza Longo, fu fondato nel 1521 lo storico ospedale degli Incurabili.
Oltre agli altri pregi, racchiude la notevolissima farmacia settecentesca realizzata da Bartolomeo Vecchione; essa, quasi del tutto intatta, è composta da due sale con l’originaria scaffalatura completamente in legno, sulla quale, sono presenti circa 400 preziosi vasi in maiolica dell’epoca, realizzati da Donato Massa.
Il complesso attesta un’attività umanitaria e sanitaria rivolta all’assistenza dei cosiddetti malati incurabili. Vi operò nel decennio francese Santa Giovanna Antida Thouret insieme alle sue Figlie della Carità. Dal 2010 è stato allestito all’interno di alcuni ambienti dell’edificio il museo delle arti sanitarie.
In questo luogo si sarebbe formato san Giuseppe Moscati (ma anche altri eminenti medici a cui oggi sono intitolati ospedali napoletani, come Antonio Cardarelli e Domenico Cotugno) ed avrebbe operato Santa Giovanna Antida Thouret. Proprio nell’ospedale degli Incurabili nacque la Scuola Medica Napoletana.
L’ospedale, fin da subito, fu diviso in reparti per uomini e per donne. La parte maschile era, a sua volta, suddivisa in ospedale dei paesani, dei soldati e dei matti, il camerone dei Moribondi e quello per i malati di morbo gallico (sifilitici). Quella femminile, invece, aveva camerate differenziate per le gravide, luetiche (cioè ammalate di sifilide), moribonde, matte e affette da scabbia e tigna.

Tempo di Quaresima

CASA SOLLIEVO DELLA SOFFERENZA. San Giovanni Rotondo (FG)
“Sulla terra è stato deposto un seme”.
S. Pio da Pietrelcina, discorso di inaugurazione dell’ospedale, 5 maggio 1956.
Signori e fratelli in Cristo, la Casa Sollievo della Sofferenza è al completo. Ringrazio i benefattori d’ogni parte del mondo che hanno cooperato. Questa è la creatura che la Provvidenza, aiutata da voi, ha creato; ve la presento. Ammiratela e benedite insieme a me il Signore Iddio.
È stato deposto nella terra un seme che Egli riscalderà con i suoi raggi d’amore. Una nuova milizia fatta di rinunzie e d’amore sta per sorgere a gloria di Dio, e a conforto delle anime e dei corpi infermi.
Non ci private del vostro aiuto, collaborate a questo apostolato di sollievo della sofferenza umana, e la Carità Divina che non conosce limiti e che è luce stessa di Dio e della Vita Eterna accumulerà per ciascuno di voi un tesoro di grazie di cui Gesù ci ha fatti eredi sulla Croce.
Quest’Opera che voi oggi vedete è all’inizio della sua vita, ma per poter crescere e diventare adulta questa creatura ha bisogno di alimentarsi e perciò essa si raccomanda ancora alla vostra generosità affinché non perisca d’inedia e divenga la città ospedaliera tecnicamente adeguata alle più ardite esigenze cliniche e insieme ordine ascetico di francescanesimo militante.
Luogo di preghiera e di scienza dove il genere umano si ritrovi in Cristo Crocifisso come un solo gregge con un sol pastore.
Una tappa del cammino da compiere è stata fatta. Non arrestiamo il passo, rispondiamo solleciti alla chiamata di Dio per la causa del bene ciascuno adempiendo il proprio dovere: io, in incessante preghiera di servo inutile del Signore nostro Gesù Cristo, voi col desiderio struggente di stringere al cuore tutta l’umanità sofferente per presentarla con me alla Misericordia del Padre Celeste; voi coll’azione illuminata dalla Grazia, con la liberalità, con la perseveranza nel bene, con la rettitudine d’intenzione.
Avanti in umiltà di spirito e col cuore in alto. Il Signore benedica chi ha lavorato e chi lavora e chi lavorerà per questa Casa e rimuneri a mille e mille doppi in questa vita tutti voi e le vostre famiglie, e con la gioia eterna nell’altra.
Vogliano la Santissima Vergine delle Grazie ed il serafico Padre san Francesco dal Cielo, ed il Vicario di Cristo il Sommo Pontefice in terra, intercedere perché siano esauditi i nostri voti.

Tempo di Pasqua

IL LEBBROSARIO DI MOLOKAI (isole Hawaii)
I coniugi fiamminghi De Veuster hanno otto figli, da cui escono due suore e due preti dei “Sacri Cuori di Gesù e Maria”, detti anche “Società del Picpus”, dalla via di Parigi dove è nata la congregazione. Giuseppe, penultimo degli otto, è destinato ad aiutare il padre, ma a 19 anni entra anche lui al Picpus prendendo il nome di fratel Damiano. Nell’istituto c’è anche suo fratello Pamphile: ordinato prete nel 1863, viene destinato alla missione nelle Isole Sandwich. Sono un arcipelago indipendente sotto una monarchia locale, e più tardi si chiameranno Isole Hawaii.
Damiano le raggiunge dopo 138 giorni di navigazione, da Brema a Honolulu. Completa gli studi, diventa sacerdote nel 1864 e lavora nell’isola principale, Hawaii. Istruisce la gente nella fede e insegna ad allevare montoni e maiali, come pure a coltivare la terra. Il divario culturale crea ostacoli duri, la solitudine a volte gli pare insopportabile.
Ma è solo un primo collaudo. Nel 1873 il suo vescovo cerca preti volontari per l’isola lazzaretto di Molokai, dove il governo confina tutti i malati di lebbra, togliendoli alle famiglie: si offrono in quattro, per turni di 34 settimane, e tra loro c’è padre Damiano, che va per primo a Molokai e vi resterà per sempre (tranne un breve soggiorno a Honolulu). Ci deve restare, perché il governo teme il contagio e gli proibisce di lasciare l’isola con i suoi 780800 malati ad alta mortalità: 183 decessi nei primi otto mesi.
Ma “tanti ne seppelliamo, altrettanti ne manda il governo”. Ora fuma la pipa per difesa contro l’insopportabile odore di carne in disfacimento, che a volte lo fa svenire in chiesa. A Molokai è prete, medico e padre: cura le anime, lava le piaghe, distribuisce medicine, stimola il senso di dignità dei malati, che si organizzano, lavorano la terra, creano orfanotrofi: opera loro, orgoglio loro.
Nel 1885, ecco la scoperta: anche lui è stato contagiato dalla lebbra. Ed è solo, aspettando a lungo un altro prete per confessarsi, fino all’arrivo del padre belga Conrardy, pochi mesi prima della morte. Sopporta incomprensioni, ma è capace di dire: “Sono tranquillo e rassegnato, e anche più felice in questo mio mondo”. Fino all’ultimo aiuta gli studi sulla lebbra, sperimentando su di sé nuovi farmaci.
Muore dopo un mese di letto, e mille malati di lebbra lo seppelliscono ai piedi di un albero. Nel 1936 il suo corpo verrà riportato in Belgio, a Lovanio. Giovanni Paolo II lo ha beatificato a Bruxelles nel 1995, continuando l’iter iniziato da Paolo VI nel 1967 su richiesta di 33 mila lebbrosi e concluso da Benedetto XVI che lo ha canonizzato in Piazza San Pietro l’11 ottobre 2009. (tratto da D. Agasso su Famiglia Cristiana).

Avviso sui testi e le immagini di questa pagina

Le immagini e i testi didascalici sono tratti e adattati in modo libero da internet. Se fossero stati lesi i diritti di riproduzione, invitiamo a comunicarlo agli indirizzi presenti su questo sito: si provvederà con sollecitudine a rimuovere quanto sia ritenuto non autorizzato.