Anno liturgico A – 2022 / 2023
Tutto l’universo, a lasciarsi ancora stupire dalla realtà, ci appare come un inno alla vita, un canto alla rigogliosa varietà delle creature: l’universo parla di una indicibile e inesausta fertilità.
Genesi, che inaugura la Scrittura, parte da questo dato primordiale e incredibile: c’è vita, non c’è il nulla e Dio crea ogni cosa come frutto della sua gioia infinita, tutto è cosa buona, tutto il creato esprime il desiderio di esserci, fiorire (come ama dire p. Elia), compiersi e portar frutto. Siate fecondi e moltiplicatevi è detto sì all’uomo (maschio e femmina), ma dopo aver già declamato il brulichio di esseri viventi e volatili che dovranno anch’essi moltiplicarsi, così pure per le bestie selvatiche e ogni altra specie. Il Deuteronomio (7,14) esplicita una benedizione perenne: “Tu sarai benedetto più di tutti i popoli: non sarà sterile né il maschio né la femmina in mezzo a te e neppure in mezzo al tuo bestiame”.
Però la storia biblica (e la nostra stessa storia) di frequente è attraversata da situazioni che sembrano contraddire questa festa fruttifera. Sia le nostre attese, sia il rapporto con Dio, ci appaiono come non esaustive, come traditrici della promessa che stava alla loro radice.
Matrimoni, vocazioni religiose, entusiasmo della conversione, progetti missionari di grande spessore, ma a un certo punto qualcosa sembra non più corrispondere.
È come se sfuggisse un livello più profondo che riguarda il tema del compimento, del dono di sé, della fertilità fruttuosa, ciò che ci caratterizza come persone; siamo fatti per qualcosa che ci supera: se Dio si fa uomo è perché attende che l’uomo si faccia dio. Insomma, il frutto dell’uomo è la divinizzazione.
C’è un versetto dell’ufficio che san Tommaso d’Aquino scrisse per la festa del Corpo di Cristo, molto forte: “L’unigenito […] Figlio di Dio, volendo che noi fossimo partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura, affinché, fatto uomo, facesse gli uomini dei”, riprendendo in ciò una diffusa tradizione (ad es. s. Ireneo: “Infatti, questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio, Figlio dell’uomo: perché l’uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio”).
La difficoltà di fronte al desiderio di vita e felicità che nutre il cuore anche delle persone più abiette (non esiste il male assoluto, né persone che vivono di male assoluto) è liberarsi dall’attribuire a sé questa sovrabbondanza, questo sovrappiù che sostanzia il reale. C’è pure l’impazienza, sterile, a veder realizzata l’esistenza così come ci appare progettata, nel modo che il nostro cuore e la nostra mente ritengono appagante.
Vorremmo essere proprietari di cotanta bellezza e attesa, essere verificatori e conduttori del processo, spogliando così le cose di tutto il loro mistero e del frutto profondo che portano nascosto. Davvero dobbiamo ogni giorno imparare a toglierci i sandali e contemplare il roveto come fonte di ogni vera vita, di ogni sapienza, di ogni gioia profonda. Imparare che tutta la realtà arde, osservare a lungo e non fermarci solo ad osservare noi stessi di fronte al reale.
È per manifestare questo segno forte che nella Bibbia credo sia ricorrente un tema che si presenta in momenti cruciali della storia della salvezza e ne disegna il cammino: l’infertilità.
Anche nella Chiesa facciamo fatica e ci interroghiamo ad esempio sul perché l’annuncio sembra non toccare le corde più intime dell’uomo contemporaneo. Sembriamo diventati sterili, non generiamo credenti, non siamo attraenti, non generiamo cultura; pensiamo che partendo dai nostri piani pastorali dobbiamo “inventarci” qualcosa di nuovo che spesso si rivela una brutta e patetica copia di ciò che il mondo fa molto meglio di noi e senza bisogno di ricorrere a Dio. Dunque? Non è un’accusa questa, né un disprezzo, è un prendere atto che siamo in un momento storico in cui i “figli” non arrivano, le comunità languono o sono in crisi e il frutto non si vede. E allora come rispondere positivamente aperti e disponibili a collaborare per la salvezza nostra e del mondo? Come dire sì allo Spirito che è stato riversato abbondantemente nei nostri cuori?
Quest’anno presento sette donne che si aprono o vengono coinvolte nei piani di Dio che vuole salvezza. Non è rilevante tanto la sterilità biologica, né che si tratti di donne che vivono il dramma della sterilità in quanto pienamente integrate nel sentire religioso culturale del tempo; la rilevanza sta nel fatto che custodiscono la sacralità di un’attesa che supera l’io fugace della propria esistenza, accettando di compartecipare a una storia d’amore per nulla sdolcinata, ma difficile ed entusiasmante. Certamente questa storia d’amore riguarda uomini e donne, ma la donna è segno nel mondo di come l’umanità possa attingere al pozzo che disseta, di come custodire la misericordia, di come aggrapparsi all’amato senza remore, senza alcuna separazione o vergogna.
Una promessa divina che non si realizza lascerebbe pensare a una tragica illusione. Ma un’attesa orante che ha colto il cuore di Dio e vi vuole appartenere senza condizioni è la radice di ogni frutto. A quel punto non siamo mai sterili; se oggi tutto appare contraddire l’attesa, in realtà si può leggere in funzione di una rinnovata disposizione a poggiare il capo sul petto di Gesù come Giovanni nell’ultima cena. Questa attitudine contemplativa è oggi il compito dei credenti per essere credibili e attraenti per l’umanità contemporanea, anche se imperfetti e senza particolari genialità. Imploriamo una grande e rinnovata fede, davvero impariamo da Sara: “Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso” (Ebrei 11,11).
Come Chiesa dovremo reimparare ad esultare, come la Gerusalemme sposa del Signore (Isaia 54,1ss.): “Esulta, o sterile che non hai partorito, prorompi in grida di giubilo e di gioia, tu che non hai provato i dolori, perché più numerosi sono i figli dell’abbandonata che i figli della maritata, dice il Signore… Non temere, perché non dovrai più arrossire; non vergognarti, perché non sarai più disonorata; anzi, dimenticherai la vergogna della tua giovinezza e non ricorderai più il disonore della tua vedovanza. … Come una donna abbandonata e con l’animo afflitto, ti ha richiamata il Signore. Viene forse ripudiata la donna sposata in gioventù? – dice il tuo Dio. Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti raccoglierò con immenso amore… Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di pace, dice il Signore che ti usa misericordia”.
Ed è proprio il messaggio che propongo a sintesi di questo nuovo anno liturgico.
Concludo con un cantico: all’inizio del secondo capitolo del primo libro di Samuele c’è quell’anteprima del magnificat evangelico che è appunto il cantico orante di Anna. Mi sembra una grandiosa sintesi del cuore di qualsiasi vero credente, della letizia di chi fino in fondo non molla, crede, spera, ama, anche quando tutto ci vorrebbe convincere della sterilità di ogni cosa.
“Il mio cuore esulta nel Signore,
la mia fronte s’innalza grazie al mio Dio.
Si apre la mia bocca contro i miei nemici,
perché io godo del beneficio che mi hai concesso.
Non c’è santo come il Signore,
non c’è rocca come il nostro Dio.
Non moltiplicate i discorsi superbi,
dalla vostra bocca non esca arroganza;
perché il Signore è il Dio che sa tutto
e le sue opere sono rette.
L’arco dei forti s’è spezzato,
ma i deboli sono rivestiti di vigore.
I sazi sono andati a giornata per un pane,
mentre gli affamati han cessato di faticare.
La sterile ha partorito sette volte
e la ricca di figli è sfiorita.
Il Signore fa morire e fa vivere,
scendere agli inferi e risalire.
Il Signore rende povero e arricchisce,
abbassa ed esalta.
Solleva dalla polvere il misero,
innalza il povero dalle immondizie,
per farli sedere insieme con i capi del popolo
e assegnar loro un seggio di gloria.
Perché al Signore appartengono i cardini della terra
e su di essi fa poggiare il mondo.
Sui passi dei giusti Egli veglia,
ma gli empi svaniscono nelle tenebre.
Certo non prevarrà l’uomo malgrado la sua forza.
Il Signore… saranno abbattuti i suoi avversari!
L’Altissimo tuonerà dal cielo.
Il Signore giudicherà gli estremi confini della
terra;
darà forza al suo re
ed eleverà la potenza del suo Messia”.
Buon anno nuovo liturgico.
Massimo
Intero anno liturgico. Anno A
Sara
Poi gli dissero: “Dov’è Sara, tua moglie?”. Rispose: “È là nella tenda”. Riprese: “Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio”. Intanto Sara stava ad ascoltare all’ingresso della tenda, dietro di lui. Abramo e Sara erano vecchi, avanti negli anni; era cessato a Sara ciò che avviene regolarmente alle donne. Allora Sara rise dentro di sé e disse: “Avvizzita come sono, dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!”. Ma il Signore disse ad Abramo: “Perché Sara ha riso dicendo: “Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia”? C’è forse qualche cosa d’impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te tra un anno e Sara avrà un figlio”.
Genesi 18,9-14
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Tempo Ordinario
Rebecca
Isacco supplicò il Signore per sua moglie, perché ella era sterile e il Signore lo esaudì, così che sua moglie Rebecca divenne incinta. Ora i figli si urtavano nel suo seno ed ella esclamò: “Se è così, che cosa mi sta accadendo?”. Andò a consultare il Signore. Il Signore le rispose:
“Due nazioni sono nel tuo seno
e due popoli dal tuo grembo si divideranno;
un popolo sarà più forte dell’altro
e il maggiore servirà il più piccolo”.
Quando poi si compì per lei il tempo di partorire, ecco, due gemelli erano nel suo grembo. Uscì il primo, rossiccio e tutto come un mantello di pelo, e fu chiamato Esaù. Subito dopo, uscì il fratello e teneva in mano il calcagno di Esaù; fu chiamato Giacobbe. Isacco aveva sessant’anni quando essi nacquero.
Genesi 25,21-26
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Solennità e feste
Rachele
Dio si ricordò anche di Rachele; Dio la esaudì e la rese feconda. Ella concepì e partorì un figlio e disse: “Dio ha tolto il mio disonore”. E lo chiamò Giuseppe, dicendo: “Il Signore mi aggiunga un altro figlio!”.
Genesi 30,22-24
Quindi partirono da Betel. Mancava ancora un tratto di cammino per arrivare a Èfrata, quando Rachele partorì ed ebbe un parto difficile. Mentre penava a partorire, la levatrice le disse: “Non temere: anche questa volta avrai un figlio!”. Ormai moribonda, quando stava per esalare l’ultimo respiro, lei lo chiamò Ben-Onì, ma suo padre lo chiamò Beniamino.
Genesi 35,16-18
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Tempo di Avvento
La madre di Sansone
C’era allora un uomo di Zorea di una famiglia dei Daniti, chiamato Manoach; sua moglie era sterile e non aveva mai partorito. L’angelo del Signore apparve a questa donna e le disse: «Ecco, tu sei sterile e non hai avuto figli, ma concepirai e partorirai un figlio. Ora guardati dal bere vino o bevanda inebriante e dal mangiare nulla d’immondo. Poiché ecco, tu concepirai e partorirai un figlio, sulla cui testa non passerà rasoio, perché il fanciullo sarà un nazireo consacrato a Dio fin dal seno materno; egli comincerà a liberare Israele dalle mani dei Filistei». La donna andò a dire al marito: «Un uomo di Dio è venuto da me; aveva l’aspetto di un angelo di Dio, un aspetto terribile. Io non gli ho domandato da dove veniva ed egli non mi ha rivelato il suo nome, ma mi ha detto: Ecco tu concepirai e partorirai un figlio; ora non bere vino né bevanda inebriante e non mangiare nulla d’immondo, perché il fanciullo sarà un nazireo di Dio dal seno materno fino al giorno della sua morte».
Giudici 13,2-7
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Tempo di Natale
Anna madre di Samuele
Un giorno Elkana offrì il sacrificio. Ora egli aveva l’abitudine di dare alla moglie Peninna e a tutti i figli e le figlie di lei le loro parti. Ad Anna invece dava una parte sola; ma egli amava Anna, sebbene il Signore ne avesse reso sterile il grembo.
Anna dunque si mise a piangere e non voleva prendere cibo. Elkana suo marito le disse: «Anna, perché piangi? Perché non mangi? Perché è triste il tuo cuore? Non sono forse io per te meglio di dieci figli?».
Non considerare la tua serva una donna iniqua, poiché finora mi ha fatto parlare l’eccesso del mio dolore e della mia amarezza». Allora Eli le rispose: «Và in pace e il Dio d’Israele ascolti la domanda che gli hai fatto». Essa replicò: «Possa la tua serva trovare grazia ai tuoi occhi». Poi la donna se ne andò per la sua via e il suo volto non fu più come prima.
Così al finir dell’anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuele. «Perché – diceva – dal Signore l’ho impetrato».
Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho chiesto. Perciò anch’io lo dò in cambio al Signore: per tutti i giorni della sua vita egli è ceduto al Signore».
1 Samuele capp. 1 e 2
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Tempo di Quaresima
La Sunammita
Un giorno Eliseo passava per Sunem, ove c’era una donna facoltosa, che l’invitò con insistenza a tavola. In seguito, tutte le volte che passava, si fermava a mangiare da lei. Essa disse al marito: «Io so che è un uomo di Dio, un santo, colui che passa sempre da noi. Prepariamogli una piccola camera al piano di sopra, in muratura, mettiamoci un letto, un tavolo, una sedia e una lampada, sì che, venendo da noi, vi si possa ritirare». Recatosi egli un giorno là, si ritirò nella camera e vi si coricò. Egli disse a Ghecazi suo servo: «Chiama questa Sunammita». La chiamò ed essa si presentò a lui. Eliseo disse al suo servo: «Dille tu: Ecco hai avuto per noi tutta questa premura; che cosa possiamo fare per te? C’è forse bisogno di intervenire in tuo favore presso il re oppure presso il capo dell’esercito?». Essa rispose: «Io sto in mezzo al mio popolo». Eliseo replicò: «Che cosa si può fare per lei?». Ghecazi disse: «Purtroppo essa non ha figli e suo marito è vecchio». Eliseo disse: «Chiamala!». La chiamò; essa si fermò sulla porta. Allora disse: «L’anno prossimo, in questa stessa stagione, tu terrai in braccio un figlio». Essa rispose: «No, mio signore, uomo di Dio, non mentire con la tua serva». Ora la donna rimase incinta e partorì un figlio, proprio alla data indicata da Eliseo.
2Re 4,8-17
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Tempo di Pasqua
Elisabetta
Essi non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni.
Ma l’angelo gli disse: “Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, e tu lo chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza, e molti si rallegreranno della sua nascita, perché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà colmato di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli d’Israele al Signore loro Dio. Egli camminerà innanzi a lui con lo spirito e la potenza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto”. Zaccaria disse all’angelo: “Come potrò mai conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanti negli anni”. L’angelo gli rispose: “Io sono Gabriele, che sto dinanzi a Dio e sono stato mandato a parlarti e a portarti questo lieto annuncio. Ed ecco, tu sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, che si compiranno a loro tempo”.
Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva: “Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna fra gli uomini”.
Vangelo di Luca 1,7.13-20.24-25
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