Intervento di p. Elia Citterio al simposio internazionale sulla figura di s. Simeone il Nuovo Teologo, in occasione del millenario della morte (1022-2022),
svoltosi all’Istituto di teologia ortodossa s. Sergio.

Parigi 24-25 novembre 2022[1]

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Resta sempre vero sia nella Chiesa d’Oriente che d’Occidente quello che scriveva nell’epilogo del suo saggio su Simeone il Nuovo Teologo l’arcivescovo Basile Krivochéine: “Car, pour orthodoxe authentique et irréprochable qu’il soit, jamais condamné pour une déviation spirituelle ou dogmatique quelconque, il n’est cependant pas un orthodoxe ‘comme les autres’”.[2] Non è qui il caso di ripercorrere le vicissitudini di recezione della figura e dell’opera del grande mistico bizantino.[3] Autore singolare, la cui confessata radicalità di esperienza dell’incontro con Dio nella luce dello Spirito Santo ha suscitato non poche ritrosie nella Chiesa istituzionale e, alla fine, una specie di condanna all’oblio. Dei due uffici liturgici composti in suo onore, quello del discepolo Niceta Stethatos nel secolo XI (di cui non è restata traccia reperibile) e quello di Nicodemo Aghiorita nel sec. XVIII (pubblicato solo nel 1877, ma senza che venisse inserito nei Libri liturgici ufficiali), la Chiesa istituzionale praticamente non ha tenuto conto. L’edizione greca dei Minei, pubblicati ad Atene nel 1971, ancora non fa menzione di Simeone.

Se vogliamo ascoltare la testimonianza di Simeone, al di là delle conoscenze erudite, letterarie e storiche, dobbiamo rivolgerci alla tradizione monastica, in particolare alla tradizione esicasta che ha caratterizzato non solo la Grecia ma tutta l’Ortodossia. Simeone il Nuovo Teologo ricompare sempre in occasione della rinascita esicasta, quella dei secoli XIII-XIV, del secolo XVIII e quella del secolo scorso. E riguarda tutta l’Ortodossia sia di tradizione greca che slava e romena. In effetti, nelle mie ricerche a proposito della Filocalia e della sua fecondità nei tempi moderni, avevo già potuto mettere in luce l’importanza dell’ambiente romeno, meno noto o pressoché sconosciuto rispetto agli altri due ambienti già noti, quello greco e slavo.[4] Parto allora da qui, dall’ambiente romeno. E proprio con la nuova rinascita esicasta del secolo scorso con il movimento del Roveto ardente, che è tornato come al fuoco originario, a quel fuoco a cui allude spesso Simeone il Nuovo Teologo nei suoi scritti. L’esperienza, a cui Simeone continuamente invita e che dichiara accessibile a tutti, è tornata visibile, condivisa, in un più largo contesto, non solo nei monasteri ma anche tra gli intellettuali, tra la gente, in un momento terribile della storia recente romena, quando la dittatura comunista cercava di soffocare ogni aspirazione alla libertà e alla cultura, oltre che alla religione.[5]

L’anima di questo movimento è Sandu Tudor, che abbandona la vita del mondo nel 1945 per entrare nel monastero di Antim, scegliendo proprio s. Simeone il Nuovo Teologo come santo protettore. Erano molti anni che questo letterato e poeta, dalla verve polemica irrefrenabile, con una vita tumultuosa, appassionato dei testi dei Padri che andava scovando nei manoscritti delle biblioteche dei monasteri romeni, dopo aver passato otto mesi all’Athos ed essersi convertito, cercava di trovare una via di realizzazione spirituale. Nel 1943, insieme al metropolita di Bucovina Tit Simedrea, nella sede di Cernăuţi, organizza un ritiro spirituale per un gruppo di intellettuali e prelati amici che andranno a costituire, negli anni successivi, il nucleo fondativo del movimento denominato ‘Roveto ardente’. In quella sede commenta la preghiera del cuore secondo il metodo di Simeone il Nuovo Teologo[6], di cui mostra di conoscere l’edizione di Hausherr all’Istituto orientale di Roma[7], ma partendo dai manoscritti che aveva trovato all’Athos e che lui stesso traduce. Si dilunga sul significato simbolico della croce come espressione paradossale di un vivere in pienezza. La chiama la scienza dell’ineffabile, che non è di tipo logico, ma esperienziale. È in questo contesto che riconosce – sue parole precise – la sua tragedia personale di essere intellettuale. Aveva appena riportato una sua vecchia intuizione sulla situazione tragica della Chiesa romena. Prendendo in mano i testi dei Padri si era detto: “i testi si contraddicono a vicenda, ma può contraddirsi un santo con un altro santo?”. Nonostante tutte le diversità di impostazioni e di espressione, notava che in tutti i testi patristici esiste una unità di fondo, un quadro generale e di esperienza identico e si diceva pronto a rivolgere tutto il suo sforzo proprio a quell’orientamento fondamentale. Interviene nella discussione anche il metropolita Tit, il quale gli ricorda la semplicità con cui Gesù ha fatto valere alla fine la sua indicazione: “Se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli”. E Tudor risponde: “Come sarebbe facile anche per me così … se avessi in mano questa chiave di diventare bambino! … Chi ha letto il vangelo sente che questo modo di vivere profondo è una realtà. Beati i poveri in spirito, che sono come i bambini. Ma io per farmi bambino, senza esserlo, non è possibile; devo darmi da fare, devo impegnarmi, come Simeone il Nuovo Teologo”. Ebbene, lui l’ha compreso benissimo, ribatte il metropolita. E Tudor: “La tragedia mia è che sono intellettuale, ed è la tragedia di coloro che non fanno neanche uno sforzo”.[8]

André Scrima, in un colloquio con Andrei Pleșu, ricorda  con queste parole l’emozione della partecipazione agli incontri del Roveto Ardente: “Quando, nel 1946-1947, ho avuto l’occasione di incontrare l’ortodossia come tradizione spirituale viva (intorno a colui che era, per se stesso, ‘Ioann il Forestiero’: che terminologia ‘esotica’!), essa mi è apparsa presente in quel ‘centro’ che garantisce, che comporta un orientamento universale: centro comunque ‘interiore’ e ‘fuori dal mondo’. Là, scoprendo il vero insegnamento intellettuale dell’ortodossia (gli apoftegmi dei Padri del deserto, Gregorio di Nissa, Massimo Confessore, Simeone Nuovo Teologo, Gregorio Palamas e altri), la tradizione orientale tornava nel suo… Personalmente, ho capito che essa non era estranea alla mia ricerca condotta fino ad allora”.[9] La successione della catena dei Padri che elenca Scrima ha un sapore personale, ma ricalca quella che è invalsa comunemente nella tradizione monastica e che Sandu Tudor specifica, al di là delle citazioni sparse che sfrutta, soprattutto dell’apostolo Giovanni, in una serie precisa: Macario il Grande, Massimo Confessore, Simeone il Nuovo Teologo, Gregorio Sinaita, Gregorio Palamas, Nil Sorskij e Paisij Veličkovskij.[10] Ecco, questa è la catena della trasmissione dell’intelligenza e dell’esperienza della rivelazione evangelica nell’Ortodossia, almeno nella tradizione esicasta, quella che ha sempre tenuto in onore la figura e l’opera di Simeone il Nuovo Teologo. Cosa che, come vedremo, condivide anche Nicodemo Aghiorita, pur in un contesto diverso.

A differenza del pudore che aveva contraddistinto l’edizione in neogreco delle opere di Simeone il Nuovo Teologo per mano di Dionigi Zagoreo (Venezia, 1790), omettendo i passi che sarebbero suonati scioccanti per i lettori[11], Sandu Tudor assimila l’esperienza interiore, che sta dietro proprio quelle espressioni scioccanti, nel suo Inno acatisto al Roveto ardente della Madre di Dio, capolavoro mistico-liturgico, sintesi della spiritualità filocalica. Nella stanza XI canta:

Attraverso le incessanti invocazioni

del luminosissimo Nome così potente

i sensi e la volontà del mio cuore

sono giunti alla soglia del silenzio.

Ormai libero da loro

attendo che abbiano il sopravvento

l’udito, la vista e la parola divina.

In me solo questi d’ora in poi si esprimano.

E sia lo stesso Amato mio, Gesù nella sua gloria,

a guardare, parlare e comprendere

con la mia stessa vista, udito e volontà, interamente.[12]

Come del resto canta Simeone il Nuovo Teologo ne Gli amori degli inni divini:

“Diventiamo membra di Cristo e Cristo diventa le nostre membra,

Cristo diventa la mia mano, Cristo il mio piede, di me disgraziato,

e io il miserabile sono la mano e il piede di Cristo.

Muovo la mano e la mano è Cristo tutto intero

– perché, ricordati, è indivisibile nella sua divinità-,

muovo il piede, ed ecco che brilla come Lui.

Non dire che bestemmio, ma accogli queste parole

e adora Cristo che ti rende tale,

perché se tu vuoi diventerai suo membro.

Allora tutte le membra di ciascuno di noi

Diventeranno membra di Cristo e Cristo le nostre membra” (XV).

“Così sono uniti a Dio quelli che con la penitenza

purificano le loro anime in questo mondo

e sono costituiti solitari, perché si sono separati dagli altri,

quelli che ricevono la mente di Cristo, ovvero una bocca,

una lingua realmente veridica e con questa conversano

con il Padre onnipotente, con questa gridano sempre:

Oh Padre, oh Re del tutto, oh Creatore di ogni cosa!” (XXVII).[13]

Nicodemo Aghiorita e Simeone il Nuovo Teologo

A) A proposito delle edizioni dei testi di s. Simeone il Nuovo Teologo

            È indubbiamente Nicodemo Aghiorita, per l’intraprendenza di Macario di Corinto,[14] colui che si fa interprete e diffusore dell’opera di Simeone il Nuovo Teologo nei tempi moderni. Storicamente, l’edizione delle sue opere è intrapresa dal discepolo Niceta Stethatos fin dal 1035, accompagnandola con la composizione della Vita attorno agli anni 1050-1052, in concomitanza con il ritorno delle spoglie di Simeone nella capitale bizantina. Dopo la morte però del suo autore attorno al 1090, l’opera e la figura di Simeone subiscono un lungo periodo di oblio. Vengono riscoperte con la rinascita esicasta del secolo XIV, rilanciate dal rinnovamento filocalico del secolo XVIII e riprese nel secolo XX sempre in concomitanza con la riscoperta della tradizione esicasta e la preghiera del cuore.

Dal punto di vista storico, la sua figura è rimasta per tanto tempo come in ombra. La sua fama è spesso dovuta ad un’opera spuria, cioè al ricopiatissimo Metodo della santa preghiera e attenzione o Sui tre modi della preghiera, di autore non identificato della fine del secolo XIII.[15] È proprio nel corso del secolo XIII che Simeone il Nuovo Teologo viene riscoperto negli ambienti monastici. La presenza dei suoi scritti è massiccia nei florilegi e le sue opere vengono abbondantemente ricopiate, sia in greco che in slavo, tanto da attribuirgli anche altri scritti che non sono certamente suoi. La testimonianza più eccellente della rinnovata fama del mistico bizantino è di quel Gregorio Sinaita (1275-1346)[16], che è rimasto nella storia della tradizione esicasta come  il maestro di riferimento. Prima monaco al Sinai, poi a Creta, all’Athos, quindi a Paroria, con discepoli greci e slavi (Callisto I, Isidoro I, Teodosio di Trnovo, Atanasio della Meteora), influenzando con la sua opera le grandi figure della spiritualità orientale contemporanea (Gregorio Palamas, Callisto Angelicude, Callisto e Ignazio Xanthopouloi) nonché dei secoli successivi, da Nil Sorskij in Russia, nel XV secolo, a Basilio di Poiana Mărului e Paisij Veličkovskij nel XVIII secolo. Gregorio il Sinaita, nella sua Breve notizia sulla hesychia, cap. 11, dove invita a leggere i Padri sulla hesychia e sulla preghiera, elenca i seguenti: “la Scala, s. Isacco, s. Massimo, il Nuovo Teologo (sic), il suo discepolo Stethatos, Esichio, Filoteo il Sinaita ed altri simili”.[17] Gregorio Palamas si rifà a Gregorio il Sinaita ma non cita direttamente Simeone il Nuovo Teologo se non per la biografia del suo discepolo.[18] Così la figura di Simeone il Nuovo Teologo resta nell’ombra di Gregorio il Sinaita.

Una breve analisi dei testi simeoniani riportati nella Filocalia greca (Venezia 1782) è quanto mai significativa. Di Simeone vengono riportati tre testi, con un breve prospetto biografico. Citando dall’edizione italiana della Filocalia:

Vol. III, in greco bizantino     p. 349-389: Capitoli pratici e teologici

Vol. IV, in neogreco:             p. 497-505: Discorso sulla fede

                                                p. 506-515: Le tre forme di preghiera

Al di là della questione dell’origine della silloge filocalica[19], dal momento che i manoscritti per l’edizione a stampa sono andati persi e quindi resta difficile stabilire da quali precedenti raccolte Macario e Nicodemo abbiano attinto o se loro stessi abbiano fatto quella specifica scelta, i testi in questione rispondono allo scopo generale della costituzione della Filocalia stessa. La Filocalia rientra nelle attività di quel movimento spirituale, denominato dei collivades, caratterizzato dallo sforzo di ritornare al genuino spirito patristico, saldamente ancorato al principio della fedeltà alla Tradizione, riscoperta attraverso lo studio dei Padri e dei canoni ecclesiastici, insieme ad una rinnovata pratica ascetica esicasta e liturgico-sacramentale. Data la situazione dell’epoca, in cui era molto sentita l’urgenza di un rinnovamento intellettuale e spirituale della nazione greca, questi ideali non vengono vissuti sul piano meramente individuale o monastico; sono sentiti come patrimonio comune della fede, della chiesa, del popolo e per ciò stesso si assumono come coestensibili alla chiesa tutta. Di ciò fanno fede le numerose pubblicazioni di quegli anni di testi patristici e liturgici, di raccolte di canoni, pubblicazioni intraprese proprio a sostegno e diffusione di quell’ideale di rinnovamento nella fedeltà alla Tradizione, alle radici cioè della propria identità spirituale e culturale. Il movimento, di cui Macario di Corinto e Nicodemo Aghiorita sono gli esponenti di punta, proponeva un’interiorizzazione ed una elevazione della fede, una vita religiosa più cosciente con il richiamo alle fonti della tradizione ortodossa. Essi facevano riscoprire alla chiesa le profondità insospettate della sua vita spirituale e liturgica e le offrivano un’arma capace almeno di affrontare la crisi morale e intellettuale del tempo.[20]

Di Simeone, i curatori della Filocalia scelgono l’opera di maturità.[21] Un testo, in cui le allusioni personali sono molto discrete e dove è assente la polemica teologica. Con uno stile diretto e semplice, dentro un quadro di riferimento tradizionale, con uno spirito nuovo, il cui tratto principale è di sottolineare la vita spirituale come esperienza, testimonia la perfezione del cammino compiuto in quella immagine finale del discepolo che guarda al prossimo come a Dio, che onora Dio onorando il fratello, ammonendo: avere misericordia di uno solo non salva, ma il disprezzare uno solo manda nel fuoco.[22] Dei 152 capitoli inseriti, i primi 118 sono di Simeone il Nuovo Teologo, i capitoli 119-126 di autore non identificato, i capitoli 127-152 del suo padre spirituale, Simeone il Pio.[23] Se si confrontano i capitoli 1-118 con l’edizione critica del testo (101+25+100 capitoli), si nota curiosamente che vengono omessi i capitoli in cui si dilunga nell’analisi dei vari aspetti della perfezione, in cui si accenna alla sua concezione ‘sacramentale’ delle lacrime come secondo battesimo, i pochi riferimenti strettamente personali della sua straordinaria esperienza spirituale e, in genere, le specificazioni tipicamente monastiche.[24] Quello che si vuole fare passare dell’opera di Simeone è l’insegnamento adatto a tutti per intraprendere la via della perfezione all’unione con Cristo.

Nella stessa ottica è inserito nella Filocalia l’altro testo di Simeone, in neogreco, come riporta espressamente il testo filocalico: “per coloro che dicono che non è possibile a quelli che si trovano nel mondo e hanno cure mondane raggiungere la perfezione della virtù”. Si tratta del Discorso sulla fede, ripresa della Catechesi XXII.[25] A parte certe accentuazioni nella resa in neogreco e certe piccole aggiunte, quello che risalta sono le omissioni. Omesso il riferimento personale (“Abbiate pietà di voi stessi e di noi che vi amiamo, ci lamentiamo e versiamo spesso lacrime per voi, perché così ci ordina di agire il Dio compassionevole e pietoso”)[26], l’esortazione finale, che costituisce la ragione stessa dell’inserzione del testo nella Filocalia e che comincia con il paragrafo: “Queste cose le ho scritte, fratelli miei, non con l’intenzione di impedire ai cristiani la vita solitaria e l’esichia, stimando migliore la vita nel mondo”, è amputata e distorta. Nella sua catechesi Simeone, in effetti, porta l’esempio del giovane Giorgio proprio per invogliare a fuggire il mondo, sostenendo esattamente il contrario di quello che la versione in neogreco riporta. Se un giovane, ancora senza l’idea di cosa significhi rinunciare al mondo, ha ottenuto la visita dello Spirito Santo, immaginiamoci quale sarà la grazia dello Spirito per uno che abbia deciso di rinunciare al mondo! Riporta il caso di quel giovane che per anni non ha voluto far conto della visita dello Spirito Santo fino a quando l’attaccamento al suo padre spirituale gli ha permesso di ritrovare l’antica grazia e di viverla totalmente. Memore di questa esperienza (Simeone parla di se stesso e della sua relazione con Simeone il Pio), invita tutti i fratelli monaci a correre nella via dei comandamenti per gustare i beni preparati per coloro che amano Dio. La versione in neogreco sfrutta invece semplicemente l’invito come rivolto a tutti, monaci e laici, per confermarli nella via di Dio e ‘dare piena certezza a quelli che leggono il presente racconto’.  

Sebbene il terzo testo non sia di Simeone il Nuovo Teologo, l’ottica di inserimento però è la medesima, vale a dire esprime la volontà di riferire a tutti i credenti la via della perfezione. Due particolari sono significativi. Dove nel testo originale si parla di invocazione di Gesù Cristo o di tenere Gesù nel cuore[27]., la versione in neogreco specifica “cioè col ‘Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me’” o “cioè la preghiera ‘Signore Gesù Cristo, ecc.”, come a ricordare una pratica comune.  Dove il testo originale parla di condurre il monaco alla perfezione, di stato monastico o di completo anacoreta, la versione neogreca evita l’uso dei termini ‘monaco’, ‘stato monastico’, ‘completo anacoreta’ per sostituirli con termini generali di principio e perfezione.[28]

Tra i manoscritti dei vari florilegi delle opere di Simeone il Nuovo Teologo, voglio menzionare in particolare quelli in ambiente romeno. Dell’opera completa di Simeone, composta da 34 Catechesi, 2 Rendimenti di grazie, 4 Epistole, 15 Trattati etici, 3 Trattati teologici, 225 Capitoli teologici gnostici e pratici, 58 Inni, come ritroviamo nella collezione delle Sources Chrétiennes, la tradizione manoscritta aggiunge una serie di 33 Discorsi e 22 Discorsi alfabetici, composti dai discepoli di scuola simeoniana utilizzando passi delle Catechesi.

Nell’edizione di Venezia 1790, i testi sono presentati in due serie: la prima, di 92 Discorsi in neogreco, raggruppando 24 Discorsi, 18 Discorsi alfabetici, 23 Catechesi, 2 Rendimenti di grazie, 15 Trattati etici, 3 Trattati teologici, 2 Epistole più il ‘Metodo’ della preghiera esicasta attribuito a Simeone, 181 Capitoli e in più i 40 Capitoli di Simeone il Pio; la seconda, con 53 Inni e 2 Preghiere in greco bizantino.[29] Di questa edizione, maggiorata, il discepolo paisiano di Neamț,  Isaac Dascălul, negli anni 1802-1803, realizza la versione romena, restata in manoscritto.[30] Così il corpus simeoniano romeno è più completo dell’edizione greca di Venezia, perché comprende 27 Catechesi, 28 Discorsi, 3 Trattati teologici, 15 Trattati etici, 4 Epistole, 22 Discorsi alfabetici, il Metodo della preghiera, 2 Rendimenti di grazie, 181 + 40 Capitoli, 52 Inni. Questo manoscritto è stato ricopiato in più esemplari e diffuso in vari monasteri di Romania.[31]

Particolarmente degna di nota è la preparazione a Dragomirna, la prima sede della comunità paisiana dopo il ritorno di Paisij dall’Athos con i suoi discepoli nel 1763, di una Filocalia in romeno prima dell’edizione veneziana, comprendente molti autori della stessa. Il manoscritto, redatto nel 1767 dal noto copista Rafail di Hurezi, venuto a Dragomirna fin dal 1763, comincia proprio con l’opera di s. Simeone il Nuovo Teologo, suddivisa in 27 testi. Sono testi assemblati, secondo certi temi, dalle Catechesi, dagli Inni, dai Capitoli pratici e dal Metodo della preghiera esicasta attribuita a Simeone.[32]

B) Nicodemo Aghiorita: l’akolouthia e l’encomio di s. Simeone il Nuovo Teologo

Nicodemo Aghiorita predispone i seguenti testi sulla figura di s. Simeone il Nuovo Teologo: la breve biografia nella Filocalia e nel Sinassario, il prologo all’edizione di Venezia delle sue opere, l’akolouthia e l’encomio in onore del santo.[33]

Alcune annotazioni previe. Una prima. Nicodemo si preoccupa di inserire la figura di s. Simeone il Nuovo Teologo nella scia dei Padri ‘neptici’ che l’hanno preceduto e seguito. Non fa cenno a polemiche teologiche o dottrinali o a posizioni di rottura. Nel Sinassario leggiamo: “ In mezzo a tante lacrime compose ammirabili Inni all’amore divino nella linea dell’esicasmo, che lo condusse a una luminosa trasfigurazione di tutto il suo essere, per la grazia dello Spirito”. Nella breve biografia, nella Filocalia, scrive: “vaso dello splendore dello Spirito, fu indicato come fonte della teologia, albergo della divina illuminazione, dimora soavissima di misteri ineffabili e, per dirla in breve, abitazione della sapienza spirituale e della scienza divina, per la cui illuminazione compose opere letterarie in versi e in prosa … piene di grandissima utilità”.[34] Nel Prologo alle opere si premura di corredare la sua presentazione con l’appoggio di Gregorio il Sinaita e Gregorio Palamas nella linea della tradizione patristica. Nell’Ufficiatura intesse le sue lodi con la trama del pensiero di Massimo il Confessore, Isacco Siro e Gregorio Palamas, senza dimenticare Gregorio di Nazianzo, Diadoco di Fotica e Giovanni Climaco, il tutto nella prospettiva condivisa con lo Pseudo-Dionigi Areopagita.

Una seconda. La preoccupazione costante è per l’utilità comune: “Venite voi che condividete e avete ricevuto la chiamata divina e ortodossa, sia che siate tra il clero o tra i laici (ve lo proclamiamo moltiplicando la forza della voce). Venite alla lettura di questi sacri scritti e ricevetene la luce, scritti che Gregorio Palamas ha chiamato di vita, mentre io, con Dionigi Areopagita, li chiamo luci teurgiche e lasciatevene illuminare” (Prologo). È la tesi costante di Nicodemo, non solo in forza della tradizione, ma anche in ragione dell’urgenza dei tempi e dell’impegno per una elevazione intellettuale e spirituale della nazione.

Considerando più da vicino il Prologo dell’edizione di Venezia, si nota come Nicodemo esalti Simeone come colui che ha appreso la scienza divina non dai libri, ma dalla stessa luce dello Spirito Santo che risplendeva nel suo cuore puro, come colui che ha potuto ricevere la manifestazione dello Spirito Santo e ‘patire l’illuminazione en-ipostatica’ della grazia divina, istruito direttamente da Dio nei misteri della Teologia. Dalle lodi del santo Nicodemo passa a scuotere le coscienze dei fedeli. Dal momento che noi non possediamo un cuore puro- dice Nicodemo – abbiamo bisogno dei libri delle Scritture per ricordarci quello che ci è vantaggioso, per istruirci, rimproverarci, correggerci. Con il peccato abbiamo perso la purità del cuore e la grazia illuminatrice dello Spirito Santo. Allora dobbiamo rivolgerci agli insegnamenti di Simeone che si indirizzano a tutti, monaci e laici. Ai monaci, perché imparino gli elementi della ‘filosofia neptica’, la ‘praxis’, la preghiera spirituale nel cuore e salgano sui gradini dell’impassibilità fino ad arrivare alla perfezione; ai laici, perché con zelo seguano la coscienza santa. L’impegno di abbandonare l’uomo vecchio e di rivestire l’uomo nuovo, di essere crocifissi al mondo, di osservare i comandamenti, riguarda tanto gli uni come gli altri. Senza dire che le promesse monastiche non sono altro che le promesse battesimali. Tutto lo scopo dell’attività ascetica, letture comprese, non è che questo: attirare la grazia dello Spirito Santo nel nostro intimo, perché direttamente ci insegni le divine volontà. Sembra essere questo il succo del messaggio di Simeone che Nicodemo intende far suo e presentare a tutti, monaci e laici.

Se andiamo alla composizione dell’Ufficiatura liturgica, il linguaggio si fa più poetico e intenso. E Nicodemo profonde in questa composizione la sua stessa sapienza e pratica di vita, collocandosi nella stessa scia della tradizione esicasta, di cui esalta Simeone come un esempio luminoso. Non però per esaltarne la singolarità, ma per celebrarne la fecondità di insegnamento per tutti. Questa, resta sempre l’ottica di Nicodemo. Sovente ripete espressioni come queste: “In te, Simeone, si è compiuta divinamente una grande meraviglia della grazia, una cosa inaudita. Non eri stato iniziato alla scienza profana, ma sei divenuto un Teologo davvero ispirato da Dio, un sapiente dottore universale, con i tuoi scritti sei diventato una luce per il mondo intero”. “Padre beato, Simeone, tu che hai amato ardentissimamente la bellezza del Cristo, sei corso dietro la sua divina grazia fino a introdurla tutta intera nella tua anima e nel tuo cuore: onore all’amore grazie al quale sei sempre vissuto nel Cristo e grazie al quale, a sua volta, il Cristo è vissuto costantemente in te”. “Accostando le tue labbra e il tuo cuore alla Brace divina, venerabile Padre, tramite lo Spirito fosti cambiato e diventasti completamente fuoco, nutrito di temi di fuoco, li hai esposti e personalmente hai scritto quei trattati. Chi vi si avvicina diventa fuoco a sua volta e nella sua anima riceve segretamente la divina trasfigurazione”. “… luce divina sono i tuoi scritti: quanti li conoscono si lasciano da essi divinizzare e unire al Cristo, il salvatore delle nostre anime”.

In poche pennellate, in un tropario dei Grandi Vespri, delinea tutto il cammino spirituale di s. Simeone il Nuovo Teologo: “Acclamiamo in questo giorno la memoria di Simeone il Teologo, noi amici della festa, con cantici ispirati. Si è allontanato da tutto ciò che è sensibile, si è volto in se stesso spiritualmente e in questo volgersi tutto interiore si è arricchito della preghiera spirituale. Ricco di questa, ha fatto cadere la maschera odiosa delle passioni. Purificato, ha guadagnato la pace dei pensieri e con la pace si è ritrovato nell’umiltà; reso umile, è stato reso degno del divino amore. E con l’amore patì la divina illuminazione nella mente, nel cuore, la luce enipostatica della grazia divina. Per cui, facendo intima esperienza [patendo] delle realtà divine, con certezza le imparò e, istruito in esse, le insegnò generosamente e del dono soprannaturale della deificazione ci rese partecipi, intercedendo intensamente presso il Signore perché usi misericordia alle nostre anime”. E quando deve sintetizzare il mondo interiore di Simeone non ha di meglio che dire: “Per te, Gesù solo era la tua conversazione, delizia della lingua, occupazione del cuore, soffio di vita, luce e piacere, calore dolcissimo che illumina la mente, che rallegra il cuore, che consuma le passioni e fa sgorgare lacrime a fiumi”. E ancora: “Bruciante d’amore, con il fuoco dentro il cuore, tutto completamente rapito, come fuso in Dio solo, l’unico amato da te, al punto da diventare come un solo spirito con Lui”.

Il testo però di gran lunga più significativo e argomentato, nel suo lirismo spirituale, è il celebre encomio. Probabilmente non sono parole di elogio semplicemente, ma riflesso di una frequentazione assidua e intensa delle opere di Simeone fino ad assorbirne la luce che ne emana: “godiamo di questi tesori spirituali meditando le parole del divino Simeone giorno e notte … intessendo il suo elogio nel far vedere come abbia percorso tutti i gradini e gli ordini di coloro che sono salvati e come abbia raggiunto la perfezione possibile agli uomini” (n. 5). Nicodemo ha un’idea geniale. Traccia il percorso di perfezione in sei gradini, secondo sei immagini evangeliche singolari: quella del servo che osserva tutti i comandamenti (n. 5-10), dell’operaio che ha diritto alla sua paga (n. 11), dell’amico in tutta intimità (n. 12-22), del figlio di Dio per grazia (n. 23-25), del fratello di Gesù (n. 26-28), della madre di Gesù (n. 29-30), mostrando come Simeone sia diventato strumento e luce dello Spirito Santo (n. 31-36) e finendo con l’esortare  tutti i cristiani a progredire lungo i sei gradini (n. 37-44) attraverso la lettura dei suoi scritti (n.45). Si tratta di un vero e proprio commento mistagogico alla vita e all’opera di Simeone. Rilegge la Vita scritta da Niceta Stethatos e gli scritti di Simeone; sostanzia la sua riflessione con l’apporto della tradizione patristica, in particolare di una serie di Padri che Nicodemo predilige e che altrove chiama ‘i Padri neptici’, ‘i miei filosofi teofori’, cioè Massimo Confessore interprete di Dionigi l’Areopagita, Isacco Siro e Gregorio Palamas.[35]

La caratteristica del servo che osserva tutti i comandamenti è espressa dalla sua dolcezza e dal profondo timore di Dio, per cui il servo resta mite con tutti (è ricordata la sua premura umile e generosa nel ricondurre i monaci ribelli che si erano allontanati dalla sua comunità) e resta lontano da superbia e arroganza e ricerca di onori mondani (viene ricordata la difesa del culto del suo padre spirituale davanti a Stefano di Nicomedia e al Sinodo della Chiesa di Costantinopoli, citando l’Orazione 39 di Gregorio di Nazianzo: “dove c’è il timore c’è l’osservanza dei comandamenti, dove l’osservanza dei comandamenti , la purificazione della carne da quella nube che ottenebra l’anima e non le lascia vedere nella sua purezza il raggio della luce divina”).[36] Il servo, sopportando tutte le prove con mitezza, ottiene l’intelligenza delle cose divine, tanto più che Simeone non ha ricevuto un’istruzione superiore, ma è stato illuminato direttamente dallo Spirito Santo ed è lui che lo abilita alla ‘Teologia’.

Come operaio, secondo la parabola dei lavoratori nella vigna, che ha lavorato fino alla fine della sua giornata terrena per ottenere i beni futuri, ha disprezzato la ricchezza preferendo la povertà, l’onore preferendo l’umiltà, la compagnia dell’imperatore preferendo la compagnia del suo padre spirituale, le mense sontuose preferendo il cibo dei poveri.

Libero dalle cose e dagli affetti terreni, è diventato l’amico di Dio. Qui si ritrova tutta la teologia giovannea di cui è imbevuta la tradizione spirituale dell’oriente cristiano, sulla base di Gv 14-15: “Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi”. L’amicizia si gioca nella conoscenza dei segreti di Dio e delle Scritture, trascinati da un amore che “è per sua natura ardente, e quando sopravviene in qualcuno oltre misura, rende l’anima estatica”, come dice Isacco Siro, sulla scorta di Dionigi l’Areopagita.[37] Nicodemo riprende le ardenti espressioni del Cantico dei cantici (“… trovai l’amore dell’anima mia. Lo strinsi forte e non lo lascerò”). Si rifà al commento di Michele Psello al Cantico,[38] a sua volta commentato dall’Inno VI di Simeone che illustra l’amore per Dio che aveva:

Com’è che sei fuoco zampillante,

com’è che sei anche acqua della rugiada,

com’è che bruci e addolcisci,

com’è che fai scomparire ogni corruzione?

Com’è che rendi dèi gli uomini,

com’è che trasformi l’oscurità in luce,

com’è che fai uscire dall’Ade,

com’è che rendi incorruttibili i mortali?

Com’è che trai l’oscurità alla luce,

com’è che domini la notte,

com’è che illumini il cuore,

com’è che mi trasformi tutto intero?

Com’è che ti unisci agli uomini,

com’è che li rendi figli di Dio,

com’è che li bruci con il tuo amore,

com’è che li ferisci senza spada?[39]

Nicodemo commenta: “Solo a Gesù pensava, solo Gesù desiderava, solo in Gesù stava occupato con la sua mente, Gesù era l’oggetto supremo del suo spirito, Gesù era il godimento della sua lingua, Gesù era la dolce occupazione e il chiacchierio del suo cuore, Gesù era il suo respiro”.[40] Da qui deriva a Simeone tutta la sapienza teologica, come è derivata a Giovanni il Teologo, celebrato in un tropario dei vespri della sua festa il 26 settembre, nel calendario bizantino: “O estasiante meraviglia e sapientissima realtà! Colmo di amore, fu ricolmato anche di Teologia”. Interessante la spiegazione di Nicodemo a proposito della necessità di prendere parola da parte di Simeone e di rendere note le sue esperienze interiori. Accusato di rivelare esperienze e sensazioni sue personali, confessa di essere spinto dallo Spirito a parlare in vista dell’utilità comune perché a tutti è accessibile la grazia dello Spirito Santo. Espressamente, Nicodemo riassume il pensiero di Giovanni Climaco e di Dionigi Areopagita[41] formulando il suo specifico pensiero: “il colmo dell’amore è il fondamento della teologia”. Si richiama anche a Diadoco di Fotica: “Tutti i doni del nostro Dio sono molto buoni e procurano ogni bontà, ma nessuno infiamma e muove il nostro cuore all’amore della sua bontà quanto la Teologia”.[42] Così pieno del carisma della Teologia, in ragione del divino amore, da essere  chiamato da tutti ‘Nuovo Teologo’. E controfirma la pienezza di amore che l’ha reso Teologo con la singolare interpretazione di Cant. 8,6 “Tenace come la morte è l’amore”, intendendo che ha amato il Signore e ha amato i suoi fratelli con tutta la sua vita fino alla morte.

Il quarto gradino di coloro che si salvano è di diventare figli di Dio per grazia. Per due ragioni lo si riconosce tale: 1) aveva sensibilmente nel cuore la grazia operante dello Spirito Santo, guidato da lui (“Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio”, Rm 8,14); 2) è rimasto sempre nella casa del Padre (“Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre”, Gv 8,35). Così Nicodemo spiega il fatto che Simeone ha raggiunto la piena libertà dalle passioni e che praticava l’invocazione incessante del Nome come metodo di preghiera, evidentemente ritenendolo come autore del testo filocalico “Sulle tre forme di preghiera”.

Il quinto gradino è di diventare fratelli del Cristo. Tutti gli uomini sono suoi fratelli perché lui è diventato uno di noi; sono fratelli i suoi parenti secondo la discendenza; sono suoi fratelli i figli per grazia che credono nel Cristo, ma soprattutto sono suoi fratelli quelli che ha reso conformi all’immagine del Figlio suo, come dice s. Paolo in Rm 8,29.  Simeone è presentato come σύμμορφος της εικονος και πολιτειας του Υιου perché ha rivestito il Cristo come la veste luminosa dell’anima.

Il sesto gradino, il più eccelso, è quello di essere reso degno di diventare madre del Cristo. Ben interpretando le confessioni di Simeone riguardo alla sua esperienza dello Spirito Santo, Nicodemo si appella all’immagine della gestante che sente il bambino muoversi nel suo grembo, così come il cuore sente la presenza del Cristo che si forma in noi. Cita una pagina memorabile di Simeone, avvalorata dalla testimonianza di Massimo Confessore. Il passo in questione suona: “Beato chi ha visto formata in sé la luce del mondo perché, avendo in lui il Cristo come un embrione, sarà visto come sua madre, come ha effettivamente promesso colui che non può mentire: «Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 8,21). Così, coloro che non osservano i comandamenti si escludono volontariamente da questa grazia, poiché la cosa era, è e sarà possibile, perché si è prodotta, si produce e continuerà a prodursi in tutti coloro che mettono in pratica i suoi precetti. Nel timore di lasciare senza prova questa ultima considerazione, sospettati di dire qualcosa come idea nostra e di affermare dogmaticamente come possibili cose realmente impossibili, mettiamo ancora davanti a voi il beato Paolo, la bocca del Cristo, lui che chiaramente parla di queste cose in questi termini: «figli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché Cristo non sia formato in voi!» (Gal 4,19). Dove, dunque, secondo lui, in quale posto e parte del corpo si forma il Cristo? Sulla fronte, o sul viso, o sul petto? No, certamente, ma all’interno, nel nostro cuore. Avrete pensato che si forma corporalmente? Lungi da noi questo pensiero, perché se prende forma è in modo incorporeo e nel modo a Dio conveniente. Tuttavia, come la donna conosce chiaramente, quando è incinta, che il bambino si muove nel grembo e che non potrebbe ignorare che lo porta in grembo, così colui che ha il Cristo formato in se stesso conosce i suoi movimenti, in altri termini, le sue illuminazioni, non ignora affatto i suoi sussulti, vale a dire i suoi bagliori e si rende conto della sua formazione in se stesso”.[43] Come dice anche Massimo Confessore: “Il Verbo di Dio, che una volta per tutte è stato generato secondo la carne, sempre, secondo la sua volontà, nasce spiritualmente, in quelli che lo desiderano, in forza del suo amore per gli uomini. Si fa infante plasmando se stesso in loro con le virtù. E manifesta di sé tanto quanto sa esserne capace colui che lo riceve. Non che diminuisca per gelosia la manifestazione della sua grandezza, ma valuta con misura la capacità di quelli che desiderano vederlo. Così il Verbo di Dio, pur manifestandosi sempre nei modi propri di chi ne partecipa, sempre permane invisibile a tutti conforme alla sovreminenza del mistero”.[44]

Nicodemo fa quindi consistere tutta la perfezione per l’uomo nella illuminazione dello Spirito Santo, percepita ‘sensibilmente e realmente’ come luce enipostatica, che rende capaci di contemplazioni divine e di grandi misteri. Per dirla in poche parole: “rimanendo interamente uomo nell’anima e nel corpo secondo la natura, è diventato tutto dio nell’anima e nel corpo per la grazia infinitamente generosa della divinizzazione”.[45] Ma confermandone l’eccezionalità, per Simeone il Nuovo Teologo, con un detto di Isacco Siro: “Non sono molti neppure coloro che sono resi degni della preghiera pura, anzi sono piuttosto pochi! Quanto poi a quest’altro mistero che è oltre la [preghiera pura], a stento si trova di generazione in generazione chi, per grazia di Dio, acceda alla sua conoscenza”.[46]

Negli ultimi paragrafi dell’encomio, Nicodemo esorta tutti a imitare l’ascesa dei sei gradini, monaci e laici, disprezzando le cose del mondo per quelle celesti. Invita a leggere i suoi scritti perché da essi “scorre latte e miele del Teologo Simeone, che sono il nutrimento delle virtù, la cura delle passioni, l’invocazione della grazia divina, la tromba della deificazione, il cammino della perfezione, la Teologia più eccelsa, la profondità dell’economia, la larghezza della creazione, la lunghezza della provvidenza, il ricettacolo della filosofia neptica, la scuola della preghiera spirituale, il tesoro dei misteri della fede. Perché nei suoi scritti, come in uno specchio cristallino, vediamo la difformità della nostra anima, le passioni del nostro cuore, le nostre cattive inclinazioni, le nostre mancanze. E noi che prima, per ignoranza e per centratura egoistica, immaginavamo di essere qualcosa, da questi scritti abbiamo imparato che non siamo nulla. Noi che ci vantavamo con le nostre virtù esteriori e corporali o, per meglio dire, con gli strumenti e i mezzi delle virtù, da questi scritti impariamo che siamo fuori impassibili e dentro passionali, fuori monaci e dentro mondani, fuori cristiani e dentro all’opposto, fuori spirituali e dentro carnali. Perché non possediamo le vere virtù, che sono dell’anima e spirituali. In breve, noi che ci immaginavamo di essere arrivati alla perfezione, impariamo che non siamo nemmeno arrivati al principio della perfezione e quindi, accusiamo se stessi, ci umiliamo e attraverso questa umiltà Dio ci mostra forse la sua misericordia”. Interessante questo modo di vedere la testimonianza di un santo in funzione dell’ottenere per noi, smascherati nella nostra piccolezza, la misericordia generosa di Dio.

Conclusione

Se Nicodemo, di Simeone il Nuovo Teologo, sottolinea ciò che è stato recepito nella comune tradizione a utilità di tutti i cristiani, monaci e laici, credo sia utile anche cogliere ciò che è ‘speciale’ in lui, ciò che lo contraddistingue personalmente nella sua esperienza del divino. Così, oltre la prospettiva di Nicodemo, vorrei lasciare una provocazione finale. Nel 922 moriva, giustiziato, a Bagdad, un mistico musulmano eccezionale: Husayn Ibn Mansûr Hallâj. Un asceta che proclama di essere pervenuto all’unione mistica, che si sforza di esprimere la modalità della propria esperienza spirituale con accenti dove l’amore divino, ardente e umile, scoppia: “O Tout de mon tout, – ô mon ouïe, ô ma vue/  … Ah, quoi que Tu te caches dans l’invisible, pour mes yeux / Mon cœur déjà Te contemple, de mon éloignement, oui, de mon exil! ».[47] Sono gli stessi accenti di Simeone il Nuovo Teologo, benché in un orizzonte di fede diversa e con un pensiero diverso. Per Hallâj, il fatto di orientare i suoi desideri tramite le effusioni d’amore è per attestare che solo lo Spirito divino può realizzare quei desideri, vivificarli attraverso il dono soprannaturale di sé, quel sacrificio efficace, senza il quale le nostre proteste di adorazione e di rinuncia, il nostro abbandono pieno al volere divino sono senza valore per unirci a Dio.[48]

Gli stessi accenti si ritrovano nella singolarissima esperienza di un s. Francesco di Assisi, che ho anche richiamato nel corso del mio intervento.  La domanda suona: cosa hanno di tanto singolare, quanto alla loro esperienza spirituale, questi ‘mistici’ che, al di là delle diverse formazioni e di pensiero e di dottrina, si ritrovano solidali in ciò che hanno di più personale? La questione risalta anche dal fatto che, attorno a questi ‘santi’, si muovono gruppi e movimenti che si richiamano alle loro stesse esperienze, che addirittura si esprimono con le loro stesse parole, tanto da lasciare dei sospetti nella chiesa sulla loro santità e sulla loro retta fede. Nel 1140, a Costantinopoli, viene condannato Costantino Chrysomallos, le cui proposizioni sono tratte dagli stessi scritti di Simeone il Nuovo Teologo.[49] Come dicevo all’inizio, riportando una espressione di un grande conoscitore di s. Simeone il Nuovo Teologo: “Car, pour orthodoxe authentique et irréprochable qu’il soit, jamais condamné pour une déviation spirituelle ou dogmatique quelconque, il n’est cependant pas un orthodoxe ‘comme les autres’ ”. Ecco, sarebbe interessante cogliere quel ‘non come gli altri’, proprio in relazione alla autenticità della loro esperienza dello Spirito, fonte della loro straordinaria fecondità ecclesiale, sebbene sempre considerata con un po’ di reticenza da parte della chiesa ufficiale.

P. Elia Citterio

Fratelli Contemplativi di Gesù

www.contemplativi.it

padrelia@outlook.it


[1] L’intervento di p. Elia Citterio, Syméon le Nouveau Théologien dans la perspective de Nicodème l’Hagiorite, pp. 389-409 è stato pubblicato in francese negli atti del simposio sulla rivista Contacts – anno LXXV n. 283-284 (2023/3-4).

[2] Basile Krivochéine, Dans la lumière du Christ. Saint Syméon le Nouveau Théologien, 949-1022. Vie-Spiritualité-Doctrine, Editions de Chevetogne, Chevetogne 1980, p. 421.

[3] Rimando, per la presentazione della documentazione storica, relativa alle polemiche che hanno accompagnato la vicenda ecclesiale di Simeone il Nuovo Teologo, ai saggi introduttivi di Ioan Ică, che ha curato l’edizione romena dell’opera completa di Simeone, in 4 volumi, Ed. Deisis, Sibiu 1998-2006. La casa editrice Deisis, attiva dal 1994, secondo il significato escatologico dell’omonimo tema iconografico, ha come scopo il recupero della dimensione contemplativa e universale della Tradizione patristica della Chiesa, sempre esposta a rischi o distorsioni. Al centro del suo programma c’è il progetto in corso di realizzazione di una Filocalia allargata; in altri termini, quello di riproporre in testi integrali la serie degli scritti degli autori presenti nella Filocalia classica soltanto in forma antologica. Sono state edite le opere integrali di Simeone il Nuovo Teologo, Teolepto di Filadelfia, Filoteo Sinaita e Gregorio Palamas (ancora in corso di pubblicazione).

[4]Si veda il mio contributo La scuola filocalica di Paisij Veličkovskij e la Filocalia di Nicodemo Aghiorita. Un confronto,  in  T. SPIDLIK, K. WARE E AA.VV., Amore del bello. Studi sulla Filocalia, Qiqajon, Bose 1991, p. 179-207, in particolare le pagg. 188-195.

[5] Elia Citterio, Un fuoco che brucia ma non consuma. La preghiera del cuore nella singolare esperienza romena del Roveto Ardente, Il Cerchio, Rimini 2021.

[6] In realtà, l’opuscolo, di autore sconosciuto, risale alla seconda metà del ‘200 e viene riportato con diversi titoli: Sui tre modi della preghiera oppure Metodo della santa preghiera e attenzione. Cf. Antonio Rigo, Mistici bizantini, Einaudi, Torino 2008, p. LXVI-LXVII, 401-402.

[7] Un grand mystique byzantin. Vie de Syméon le Nouveau Theologien par Nicetas Stethatos, OCP XII, 45 (1928), XCV + 254 pp. Ora ripresentato in edizione critica da Simeon Koutsas: Νικήτα τοῦ Στηθάτου: Βίος καί πολιτεία τοῦ ἐν ἁγίοις Πατρός ἡμῶν Συμεών τοῦ Νέου Θεολόγου. Εἰσαγωγή, κείμενο, μετάφραση, σχόλια, Ἀκρίτας, Atene 1994.

[8] Citterio, Un fuoco che brucia, p. 81-82.

[9] André Scrima, Teme ecumenice, Humanitas, Bucarest 2004: Un test ultim al faptului religios, p. 134.

[10] Un fuoco che brucia, p. 136.

[11] Ad esempio, non comprende la Catechesi 21 (sulla morte di Antonio, monaco di san Mamas, per il tono personalissimo con cui Simeone si esprime), passi importanti della Catechesi 34 (con la proclamazione del ‘sacerdozio regale’ dei fedeli e la confessione della sua particolarissima esperienza di ‘povero ricco dell’amore di Dio per gli uomini’), diversi Inni: n. 15 (dove parla del nostro diventare membra di Cristo), n. 21 (con la polemica contro Stefano di Nicomedia), n. 53 (mancante però in una certa famiglia di manoscritti).

[12] L’inno, nella sua versione completa, è tradotto per la prima volta in Un fuoco che brucia, p. 193-229.

[13] Rigo, Mistici bizantini, p. 25-26, 83. Del resto, anche Nicodemo Aghiorita, nel suo ‘Combattimento invisibile’, riprendendo il testo italiano di Lorenzo Scupoli (1530-1610), scrive: “Scorgo io bene, Dio mio, nel lume della tua focosa carità, che un solo disegno tu hai, che più chiaramente mi scopre la purità del tuo amore verso di me, poiché non per altro mi ti doni tutto in cibo (o bevanda) che per convertirmi tutta in te, non per bisogno che di me tu abbia, ma perché vivendo in me ed io in te, io diventi per unione amorosa (come) tu stesso, e della viltà del mio cuore terreno si faccia teco un solo divino cuore” [tra parentesi, le aggiunte di Nicodemo]. Cf. Elia Citterio, Nicodemo Agiorita, in La théologie byzantine et sa tradition (XIII-XIX s.), t. II, a cura di C.G. e V. Conticello, Brepols Publishers (Corpus Christianorum),Turnhout 2002, p. 949.

[14] Segnalo la pubblicazione della raccolta più completa che io conosca dei documenti riguardanti le personalità di Nicodemo Aghiorita e Macario di Corinto e la loro epoca, a cura di Ioan I. Ică jr.: Sfântul Macarie al Corintului, inițiatorul „Filocaliei”, și epoca sa; Nicodim Aghioritul și Atanasie din Paros,  Apologii și Mărturisiri de credință – pentru sensul Tradiției ortodoxe în disputa „colivelor”,Deisis, Sibiu 2021.

[15] Rigo, Mistici bizantini, p. 401-412.

[16] Antonio Rigo, Gregorio il Sinaita, in La théologie byzantine, p. 35-130; idem, Mistici bizantini, p. 429-513.

[17] Rigo, Mistici bizantini, p. 128.

[18] “Conosci la Vita di Simeone il Nuovo Teologo, che è quasi tutta un miracolo, e per i miracoli soprannaturali è stato glorificato da Dio, ed i suoi scritti che, se si dicessero di vita, non si peccherebbe contro la convenienza”, Triade I, 2, 12 (traduzione Perrella, I, p. 355).

[19] Si veda Vassa Kontouma, Christianisme orthodoxe, La Philocalie des saints neptiques : un bilan, in Annuaire de l’Ecole pratique des hautes études (EPHE), Section des sciences religieuses, octobre 2012, http://journals.openedition.org/asr/1079 ; DOI : https://doi.org/10.4000/asr.1079.

[20] Cf. Citterio, Nicodemo, in La théologie byzantine, p. 909-910.

[21] Pubblicato per la prima volta solo in versione latina a Ingolstadt nel 1603 da J. Pontanus (ripreso dal Migne, PG 120), poi in lingua originale nella Filocalia nel 1782 e in versione neogreca di Dionigi Zagoreo a Venezia nel 1790 (2° ed. Syros 1886, 3° ed. Atene 1960). Il vescovo Teofane il Recluso ne predispone una parafrasi in russo in due volumi nel 1882 e 1890. Il testo originale è edito criticamente da J. Darrouzès col titolo Chapitres théologiques, gnostiques et pratiques, SC 51, Paris 1957.

[22] Fil. it., n. 114 [SC 51, n. 96, III cent.], n. 111 [SC 51, n. 91, III cent.].

[23] Si veda l’edizione curata da Hilarion Alfeyev: Syméon Le Studite, Discours ascétique, Du Cerf (SC 460), Paris 2001.

[24] Nella Filocalia, rispetto all’edizione di SC 51, mancano, della Centuria Prima, i capitoli: 1-9, 30-36, 70-79, 82, 87-101; della Centuria Seconda, i capitoli: 1-7, 9-20, 22-25; della Centuria Terza, i capitoli: 1-2, 4, 6-13, 15-16, 22, 24-25, 30-44, 53-54, 59, 62-64, 74, 77-78, 92, 95.

[25] Edizione critica a cura di Basile Krivochéine: Syméon Le Nouveau Théologien, Catéchèses, Tome II, Du Cerf (SC 104), Paris 1964, Cat. XXII, p.364-393.

[26] SC 104, p. 381; Fil. IV, p. 503.

[27] Rigo, Mistici bizantini, p. 410.

[28] Faccio rilevare come il Dobrotoljubie, che comunemente si presenta come la versione slavonica della Filocalia greca ad opera di Paisij Veličkovskij, in questo testo testimonia chiaramente che la versione slavonica non è quella di Paisij, ma degli editori russi della pubblicazione, che si rifanno direttamente alla versione in neogreco e non al testo originale. A differenza invece dei curatori romeni della Filocalia del Prodromou che si riferiscono al testo originale e non alla versione in neogreco. Non conosciamo il manoscritto che sia Paisij che i traduttori romeni hanno davanti, ma sappiamo con certezza che non traducono dalla versione neogreca. La conferma viene anche da un ricercatore russo, Alexei Pentkovski, che ringrazio per la gentilezza di comunicarmi l’esito delle sue ricerche nel confronto tra i manoscritti paisiani della Biblioteca di Neamț e di Noul Neamț con i testi editi nel Dobrotoljubie.

[29] Anche Paisij Veličkovskij, nella sua famosa Lettera a Teodosio, databile prima del 1782, accenna alla preparazione di questa pubblicazione. Scrivendo di Macario di Corinto aggiunge: “Egli ha inoltre l’intenzione di dare alla stampa in breve tempo il grande libro di Simeone il Nuovo Teologo, che è già pronto, e presto, come un tale mi ha recentemente informato, con l’aiuto di Dio, i libri menzionati usciranno dalla stampa alla luce del giorno”. Cf. La lettera a Teodosio, in N. Kauchtschischwili, A.-Ai. N. Tachiaos  e  altri, Paisij, lo starec, Qiqajon, Bose 1997, p. 296. Sempre nella stessa lettera rivela che si era fatto ricopiare il testo greco di Simeone il Nuovo Teologo (sembra però si tratti dell’opuscolo apocrifo Sui tre modi della preghiera) e che si era accinto a correggere l’antica versione slavonica di Simeone il Nuovo Teologo (senza specificazioni ulteriori).

[30] Corrisponde ai ms 60-61-59 della Biblioteca di Neamț, ai ms. 11 e 12 del Patriarcato Romeno, ai ms 1466, 2052 e 5721 dell’Accademia di Romania.

[31] Cf. Dumitru Fecioru, Manuscrisele de la Neamţu. Traduceri din Sfinţii Părinţi şi din scriitori bisericeşti, Studii teologice 4 (1952), nr. 7–8, p. 480–483; Catalogul manuscriselor româneşti din Biblioteca Patriarhiei Române, Studii teologice 12 (1960), nr. 1–2, p. 93–122. Cf. anche il Catalogo dei manoscritti romeni della collezione del monastero di Noul Neamț, di Ovčinnikova-Pelin, Chişinău 1989, ms. n. 83 e 84. Per i manoscritti dello schit del Prodromou sull’Athos, cf. Veniamin Micle, Manuscrisele româneşti de la Prodromul, Mănăstirea Bistriţa-Râmnic, 1999, p. 135–154 e 232. Ancora prezioso lo studio di Dan Zamfirescu, Manuscrise slave cu traduceri din Sfântul Simeon Noul Teolog, Ortodoxia 11 (1959), p. 535–566, soprattutto le tabelle comparative a p. 561-562.

[32] Daniar Mutalâp, The structure and composition of a proto-Philokalic Romanian manuscript from 1769, in Translations of Patristic Literature in South-Eastern Europe. Proceedings of the session held at the 12th International Congress of South-East European Studies (Bucharest, 2-6 September 2019), edited by Lora Taseva and Roland Marti, Editura Istros a Muzeului Brăilei ‘Carol I’, Brăila 2020, p. 301-333.

[33] Per il Prologo: Zagoreo, pagg. 7-14; per l’ufficiatura, Koutsas: Akolouthia, p. 45-75; Encomio, p. 117-124. Nicodemo sposta la data della memoria liturgica dal 12 marzo al 12 ottobre per evitare che la celebrazione della Grande Quaresima offuschi la memoria del santo.

[34] Fil. III, p. 347.

[35] Massimo il Confessore, Isacco Siro e Gregorio Palamas sono certamente tra gli autori preferiti di Nicodemo. Si veda in Συμβουλευτικóν ἐγχειρίδιον, ed. Volos 1969, p. 22 e p. 192.

[36] Or 39, 8, tr. Moreschini, p. 907.

[37] Isacco Siro, Discorso 25, Segni e operazioni dell’amore di Dio, p. 421 [tr. Chialà, Discorso XXXIII, p. 304]; Pseudo-Dionigi Areopagita, De Divinis Nominibus, IV, 13: “L’amore divino è anche estatico non permettendo agli amanti di appartenersi ma di appartenere agli amati”.

[38] PG 122, 600D.

[39] Rigo, Mistici bizantini, p. 17.

[40] Sembra di risentire le descrizioni dei contemporanei di s. Francesco d’Assisi come si legge nelle Fonti Francescane. Tra i numerosi passi che si potrebbero riportare, valga per tutti questo: “I frati che vissero con lui, inoltre sanno molto bene come ogni giorno, anzi ogni momento affiorasse sulle sue labbra il ricordo di Cristo; con quanta soavità e dolcezza gli parlava, con quale tenero amore discorreva con Lui. La bocca parlava per l’abbondanza dei santi affetti del cuore, e quella sorgente di illuminato amore che lo riempiva dentro, traboccava anche di fuori. Era davvero molto occupato con Gesù. Gesù portava sempre nel cuore, Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani, Gesù in tutte le altre membra. Quante volte, mentre sedeva a pranzo, sentendo o pronunciando lui il nome di Gesù, dimenticava il cibo temporale e, come si legge di un santo, «guardando, non vedeva e ascoltando non udiva». C’è di più, molte volte, trovandosi in viaggio e meditando o cantando Gesù, scordava di essere in viaggio e si fermava a invitare tutte le creature alla lode di Gesù. Proprio perché portava e conservava sempre nel cuore con mirabile amore Gesù Cristo, e questo crocifisso, perciò fu insignito gloriosamente più di ogni altro della immagine di Lui, che egli aveva la grazia di contemplare, durante l’estasi, nella gloria indicibile e incomprensibile seduto alla «destra del Padre», con il quale l’egualmente altissimo Figlio dell’Altissimo, assieme con lo Spirito Santo vive e regna, vince e impera, Dio eternamente glorioso, per tutti i secoli. Amen!” (FF 522).

[41] Giovanni Climaco, La Scala, Discorso XXX, 12.14: “La crescita del timore è l’inizio della carità, e la purezza perfetta è il fondamento della teologia. Colui che ha perfettamente unito a Dio i propri sensi, è da lui iniziato al mistero delle sue parole; ma finché i sensi non si sono uniti a lui, è difficile e rischioso parlare di Dio. …. La purezza può fare di un discepolo un teologo in grado di afferrare da solo i dogmi della Trinità” (tr. D’Ayala, p.457-458). Dionigi Areopagita, De Div. Nom., III [91]: “essendo completamente rapito, completamente fuori di sé e prendendo parte e soffrendo l’estasi delle cose che cantava, da parte di tutti coloro che lo ascoltavano e lo vedevano, sia che lo conoscessero oppure no, fu stimato un araldo divino ispirato da Dio” (tr. Scazzoso, p. 288).

[42] Diadoco di Foticea, Opere spirituali, Disc. 67 (tr. Artioli, p. 191).

[43] Trattati teologici ed etici, X (SC 129, p. 321-323).

[44] Massimo Confessore, Capitoli vari sulla teologia e l’economia, sulla virtù e il vizio, I Centuria, 8 (Fil. II, p. 166).

[45] Cf. Massimo Confessore, Ambigua, 35 (tr. Moreschini, p. 435).

[46] Isacco Siro, Discorsi ascetici, Disc. XXII, 9 (tr. Chialà, p. 240).

[47] Louis Massignon, La Passion de Hallâj, martyr mystique de l’Islam, Vol. III, La doctrine de Hallâj, Gallimard, Paris 1975, p. 51.

[48] Ibidem, p. 12-13.

[49] J. Gouillard, Constantin Chrysomallos sous le masque de Syméon le Nouveau Théologien, Travaux et mémoires du Centre de recherche d’Histoire et de Civilisation Byzantines, 5 (1973), pp. 313-327.