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Settimo ciclo

Anno liturgico B (2020-2021)

Tempo di Pasqua

IV Domenica di Pasqua

(25 aprile 2021)

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At 4,8-12;  Sal 117;  1Gv 3,1-2;  Gv 10,11-18

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Prima di definirsi ‘il pastore buono’ (in greco è usato l’aggettivo bello), Gesù si definisce secondo una duplice immagine. Si presenta prima come colui che entra dalla porta perché è conosciuto dal guardiano. Poco oltre Gesù dirà: “il Padre conosce me e io conosco il Padre”. Tale conoscenza è definita in rapporto al loro amore, totalmente condiviso, per le pecore. Quando Gesù dice che conosce il Padre allude fondamentalmente all’unità del loro sentire e agire in rapporto ai figli, che il Padre vuole nella piena comunione con Sé per partecipare loro la gioia del suo amore. Se Gesù dice di conoscere il Padre, lo dice in rapporto al suo amore per noi e il Padre conosce lui in rapporto alla sua radicale disponibilità a manifestarlo a noi in tutto il suo splendore.

Poi usa l’immagine della porta. Lui è la porta che introduce alla comunione della gioia dell’amore del Padre: “io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). È l’abbondanza messianica, quel ‘di più’ che solo il Messia poteva ottenerci e tale che sopravanza ogni tipo di merito, perché ciò che riempie il cuore dell’uomo è solo questa sovrabbondanza che proviene da lui e non la giustizia che proviene dalle nostre opere. Non è vano ricordare che, se il vangelo definisce questa porta come la porta stretta, è perché l’uomo con fatica abbandona la sua pretesa di giustizia per far posto a tale sovrabbondanza. Ma è una strettezza che prelude al passaggio della vita, proprio come per un bambino il quale, per nascere, deve passare per la porta stretta.

Poi la terza immagine: ‘il buon pastore’. Con questa immagine Gesù allude al come ci ha gratificato della vita in abbondanza, dandoci cioè la sua. Il testo evangelico, a dire la verità, è più preciso. Non dice semplicemente che dà la vita per noi, ma che la pone, la mette a disposizione, la mette in gioco totalmente. L’allusione è che Gesù, che pone la sua vita per noi, va colto nel mistero del Padre che gli ha comandato questo, nel mistero dell’amore eterno di Dio per i suoi figli. Il passo significativo di riferimento è l’inno di Paolo nella sua lettera ai Filippesi: “egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome” (Fil 2,6-9).

Dignità filiale, che Giovanni, nella sua prima lettera, definisce in questi termini: “Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1Gv 3,1-2). Passo che Paolo commenterà con la conclusione del suo stupendo inno alla carità: “Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto” (1Cor 13,12). È la tensione di intelligenza delle Scritture e della vita intera, oltre ogni psicologia o psichismo: conoscere come si è conosciuti. In altre parole, ciò che il paradiso svelerà sarà questo: un’esplosione di umanità allorquando tutto sarà visto percorso da questa abbondanza di amore, e precisamente in tutto ciò in cui si è espressa la nostra vita. Non solo tutto sarà consumato nell’amore ma che tutto è stato intriso di questo amore.

E quando Pietro dichiara: “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati” (At 4,12), vuole alludere alla dinamica di amore del Padre che ha accolto e raccolto tutti i suoi figli nell’unico Figlio, testimone del suo amore per noi. È una dichiarazione inclusiva, non esclusiva. Non vuol semplicemente dire che non ci si salva se non per mezzo della conoscenza diretta di Gesù, ma che ogni ricerca di salvezza, comunque sia vissuta dagli uomini, è mediata da Gesù, a lui si riferisce, perché a lui guarda il Padre, perché in lui riposa tutta la sua compiacenza.

Ora, la ragione di amore del Padre per il Figlio, è la stessa ragione di amore che vale per i discepoli di Gesù. Gesù è amato dal Padre perché pone la sua vita per noi, così noi siamo amati da Gesù perché poniamo la nostra vita per i fratelli. Non è una ragione di merito, ma una ragione fontale, di sorgente. Vale a dire, possiamo scoprire l’amore di Dio nel fatto di porre la nostra vita per i fratelli e lo possiamo fare nell’energia di Colui che ce l’ottiene con la sua morte e risurrezione. Per questo Giovanni dice che Gesù è stato inviato e muore in croce “per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi” (Gv 11,52). Se Gesù è il buon pastore, lo è per questo.

Di fronte ad ogni tipo di ingiustizia, di afflizione, di oppressione, interiore ed esteriore, potessimo dire con Gesù: “Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso”! Significherebbe diventare collaboratori con Dio alla sua opera di salvezza, quella di radunare i figli di Dio dispersi. Significherebbe non permettere che il nostro cuore ceda alla divisione con qualche fratello scavando fossati o respingendolo lontano da noi, perché in tal caso daremmo più importanza all’agire di un uomo che all’agire di Dio e ci sottrarremmo alla comunione con Lui, che non ha altro desiderio se non quello di attrarre alla sua comunione tutti i suoi figli. Quel desiderio si fa comando per il Figlio e tale è il senso di ogni comandamento: lasciare agire solo la forza dell’intimità di un amore. Quella intimità procura abbondanza di vita che si esprime con il metterla a disposizione di tutti in modo che niente e nessuno distolga da quella suprema dinamica.

L’amore del Padre si rivela in Gesù perché Gesù lascia che quell’amore, che in Lui riposa pieno, si espanda e conquisti tutti fino a far vivere tutti di quello stesso amore. Quando dice che il buon pastore conosce le sue pecore e le sue pecore conoscono lui allude al fatto che l’amore per loro, frutto dell’amore del Padre che su di lui riposa, è la ragione stessa della sua vita, la ragione che non permette a nessun’altra di avere voce nel suo cuore. E le pecore possono conoscere lui perché conoscono questo suo amore, che rivela loro la bontà di Dio per loro. Ma tale è la dinamica di ogni amore: conosco se dò la vita; solo se metto a disposizione dell’altro la mia vita potrò conoscerlo perché la conoscenza proviene e conduce all’amore. È il dono del Risorto a coloro che credono in lui. È la speranza che la chiesa deve al mondo per la sua fede nel Risorto che la raduna.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

Prima Lettura  At 4, 8-12

Dagli Atti degli Apostoli

In quei giorni, Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro:

«Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo, e cioè per mezzo di chi egli sia stato salvato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato.

Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo.

In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati».

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 117

La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo.

Rendete grazie al Signore perché è buono,

perché il suo amore è per sempre.

È meglio rifugiarsi nel Signore

che confidare nell’uomo.

È meglio rifugiarsi nel Signore

che confidare nei potenti.

Ti rendo grazie, perché mi hai risposto,

perché sei stato la mia salvezza.

La pietra scartata dai costruttori

è divenuta la pietra d’angolo.

Questo è stato fatto dal Signore:

una meraviglia ai nostri occhi.

Benedetto colui che viene nel nome del Signore.

Vi benediciamo dalla casa del Signore.

Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie,

sei il mio Dio e ti esalto.

Rendete grazie al Signore, perché è buono,

perché il suo amore è per sempre.

Seconda Lettura  1 Gv 3,1-2

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo

Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.

Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.

Vangelo  Gv 10, 11-18

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.

Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».