Ottavo ciclo
Anno liturgico C (2024-2025)
Tempo di Quaresima
IV Domenica di Quaresima
(30 marzo 2025)
Gs 5,9a.10-12; Sal 33 (34); 2Cor 5,17-21; Lc 15,1-3.11-32
La parabola del figlio prodigo sarebbe meglio chiamarla del padre misericordioso. In risalto non è tanto la vicenda dei due fratelli, ma la tenerezza invincibile del padre che li invita a far festa. L’insegnamento della parabola è per il cuore, che ritrova gioia se sta solidale con i sentimenti del padre. Di per sé, nessuno rifiuta la gioia, ma la si cerca in modo sbagliato. I due fratelli vogliono godere la vita, ma si ritrovano tutti e due a mani vuote, in vergogna o arrabbiati. La parabola va accolta nel contesto che l’ha generata: “I farisei e gli scribi mormoravano: Costui riceve i peccatori e mangia con loro”. In gioco è l’immagine di Dio che i cuori coltivano. Se l’uomo preferisce nascondersi nella sua pretesa di giustizia, come scoprirà la bontà di Dio? Se l’uomo cerca di distinguersi dai suoi fratelli esibendo una parvenza di giustizia, come potrà condividere i sentimenti di Dio, ragione della sua felicità?
L’antifona di ingresso della liturgia parafrasa un passo del profeta Isaia: “Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa tutti voi che l’amate. Sfavillate con essa di gioia tutti voi che per essa eravate in lutto. Così sarete allattati e vi sazierete al seno delle sue consolazioni; succhierete e vi delizierete al petto della sua gloria” (Is 66,10-11). L’immagine è di un bambino ingordo che succhia al seno della mamma e se ne sazia beato. È l’immagine dell’uomo peccatore che, pentito, torna al suo Dio e ne scopre la tenerezza. Non è però un’immagine usuale per la fantasia religiosa dell’uomo, tanto si è distanti dalla rivelazione evangelica nel proprio sentire interiore.
È chiaro che la comunione con il padre resta il segreto della felicità dei due figli. Ora, cosa sarebbe successo se il figlio minore, ritornato pentito, si fosse stizzito per l’atteggiamento del fratello maggiore che non poteva accettare quel trattamento di riguardo del padre a suo favore? Se avesse preteso comprensione anche dal fratello maggiore, sarebbe stato sincero nel suo pentimento verso il padre? E se il figlio maggiore si fosse sentito solidale con il padre nella sua gioia, avrebbe potuto rivendicare qualcosa per sé? Evidentemente non si è mai trovato, insieme al padre, durante tutto il tempo dell’assenza del fratello, a dire: “speriamo ritorni … speriamo non gli capiti qualcosa di irreparabile…”. Il punto è esattamente questo allora: stare solidali con il padre, con la sua premura e la sua angoscia, per poter godere della sua gioia. È lo stesso Gesù a rivelare a quale livello di intimità si situi il segreto della felicità nella comunione con il Padre: “Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie” (Gv 17,10), come esattamente il padre della parabola dice al figlio maggiore.
La gioia traboccherà quando il cuore potrà dire di Dio: “Chi avrò per me in cielo? Con te non desidero nulla sulla terra” (Sal 72/73,25-26). Allora i due figli saranno nella pace e godranno la fraternità. Nel testo ebraico del salmo: “Chi altri avrò per me in cielo? Fuori di te nulla bramo sulla terra. Se vengono meno la mia carne e il mio cuore, rupe del mio cuore e mia porzione è Dio per sempre”. Come dice un’antica orazione salmica: “Per noi il bene è aderire a te, Signore, ma tu accresci in noi il desiderio del bene, così che la speranza che ci unisce a te non vacilli per nessuna indecisione della fede ma perseveri nella saldezza della carità”.
Non per nulla il pentimento del figlio minore si risolve nel tornare dal padre. Non affoga in sentimenti di indegnità e disperazione, ma: “ritornò in sé e disse …. Si alzò e tornò da suo padre”. Tornare non significa semplicemente riprenderci, come se si trattasse di una questione tra me e me, tornando eventualmente agli ideali abbandonati. In termini psicologici, il nostro super-io non alimenta mai la vita del cuore. Significa invece tornare a fidarci dell’amore benevolente di Dio. Tutti i segni di premura del padre verso il figlio che è tornato (il vestito, l’anello, i sandali) alludono alla benevolenza del suo amore che non aspetta altro se non di riversarsi. Alla fin fine, il pentimento ha a che fare con il ritrovare le energie del cuore per vivere la vita nella gioia.
La figura del padre, pieno di bontà per i figli, vale come modello per la chiesa, dal momento che la gioia, che ci è partecipata, è la gioia della riconciliazione goduta, dell’amore perdonante e festoso di Dio che si riversa sui suoi figli, instancabilmente. Se s. Paolo proclama che il ministero della chiesa è la riconciliazione, come riporta la seconda lettura, vuol dire che l’esperienza fondamentale dell’uomo è l’accoglienza del perdono di Dio, in Cristo, esperienza così fondante della nuova umanità a noi donata in Cristo, che tutta la vita umana assume la tensione di estendere a tutto e a tutti il perdono ricevuto, nella condivisione comune. E se, come si legge nella stessa lettera: “Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione”, 2Cor 5,18), Dio affida all’uomo il ministero della riconciliazione, vuol dire che ritiene l’uomo suo compagno. “Siamo infatti collaboratori di Dio” (1Cor 3,9).
Parlare nella chiesa di redenzione, di salvezza, di grazia, significa alludere a questa opera di riconciliazione in atto nella storia, come dice Gesù: “Il Padre mio agisce anche ora e anch’io agisco” (Gv 5,17). Opera appunto la riconciliazione in Gesù, nostra pace (“Egli infatti è la nostra pace”, Ef 2,14). Noi tutti siamo chiamati a concorrere alla realizzazione di questa ‘opera’. In questo senso dobbiamo imparare a giudicare ogni cosa in base alla convergenza verso questo supremo scopo divino. Così si fa esperienza di essere solidali con i sentimenti di Dio, perché in questo consiste la letizia dell’uomo, la cui porta di accesso è il pentimento, come per il figlio che rientra in se stesso e pensa a suo padre decidendo di ritornare a casa, nonostante la sua vergogna.
Nella parabola il padre non parla mai direttamente ai figli, se non alla fine, quando si rivolge al figlio maggiore ricordandogli che è necessario far festa, in ciò rivelando tutto il suo intimo sentire. Se, nell’interpretazione tradizionale, i due figli costituiscono il popolo d’Israele e il popolo dei pagani, allora il rivolgersi al figlio maggiore allude alla rivelazione di Dio a Israele, che Gesù richiama e che mostra compiuta nella sua premura per i pubblicani e i peccatori. Tutti e due sono chiamati alla mensa dell’amore di Dio, che fonda la loro fraternità, nell’unico Padre di tutti.
Da una poesia di maica Teodosia sulla parabola:
TRAVIATO [RĂTĂCIT]
Io, Padre, so di aver peccato molto contro di te:
In diversi paesi, lontano ho vagato.
In paesi con lunghi tramonti violacei,
Con notti solcate da raggi argentati,
Con giornate chiare, dense di profumi,
E con miraggi a ogni svolta di strada.
Vedere donne tentatrici sulle strade,
Con occhi di cielo, con capelli pieni di sole,
Con corpi floridi, cotti per l’amore,
Sotto un velo di seta fine.
Ci sono, in quella terra lontana,
Feste come nelle favole. In tutto il mondo,
il cibo non è così scelto,
né i vini così ben serviti,
né le coppe così preziose,
né serve così ben agghindate.
Ho goduto di tutto. Sono passato
Per la strada impolverata di oro.
All’ombra scura di vecchi mirti,
Fiori nei capelli, altri fiori nelle mani.
E so che in questo non facevo peccato,
perché tutte queste cose mi hai dato,
E fiori e ombre dai dolci profumi;
E io magnificavo la bontà del cielo.
Ho passato spesso la notte intera,
bevendo vino dalla coppa che mi era cara,
E ho ascoltato con voce armoniosa,
Canticchiando una canzone o una melodia deliziosa,
E neanche in questo ho commesso peccato,
perché tutto, tutto, a me hai donato.
Spesso quando alzavo la coppa,
Piegavo le ginocchia del mio cuore,
Per ringraziare Te, Padre Santo,
Per la tua incommensurabile generosità.
Quando più tardi, come sai, mi innamorai
Di Fatma dal corpo dorato,
con occhi di miele e un comportamento assennato,
Anche allora non ho peccato, Padre;
Perché la sera mi inginocchiavo al suo fianco,
e alla tua bontà rendevamo culto.
Ma una sera ci fu un ricco banchetto
con vino in onde rosse profuso.
Allora, avvampato dal fuoco della sbornia,
Io, Padre, non ho più pensato a nulla,
Alla tua bontà indicibile,
Alla tua misericordia impareggiabile.
Eccitato da una cieca passione,
Io il tuo santo nome ho dimenticato
E allora in quella notte di ubriachezza,
Ho peccato, Padre, rovinosamente.
Di male in male sempre più grande sono sprofondato
E ogni peccato, Padre, ho commesso.
E il pensiero, che mi portava alla mente
La tua bontà paterna,
l’ho annegato nel fondo dei bicchieri
e l’ho soffocato con pensieri amari.
E tutte le volte che in sogno mi rimproverava,
Padre, il pensiero buono io l’ho ucciso.
Avevo dimenticato la indicibile bontà …
Tu, però, Padre, vegliavi dall’alto.
Perché non morissi straniero, in terre straniere,
Con la fame, ecco, mi hai chiamato a Te.
Sono venuto. Ma non oso più
Chiedere alla tua grazia paterna,
Se non questo: sappia che mi hai perdonato,
che mi accogli nella tua casa come un servitore.
So, Padre, che molto ho peccato
E non sono più degno di essere chiamato
Tuo figlio. Padre, lo so troppo bene.
Ma che fai? …. Tu, mi abbracci! …
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
[I testi delle letture sono tratti dal sito della Chiesa Cattolica italiana: chiesacattolica.it]
Prima Lettura
Il popolo di Dio, entrato nella terra promessa, celebra la Pasqua.
Dal libro di Giosuè
Gs 5,9a.10-12
In quei giorni, il Signore disse a Giosuè: «Oggi ho allontanato da voi l’infamia dell’Egitto».
Gli Israeliti rimasero accampati a Gàlgala e celebrarono la Pasqua al quattordici del mese, alla sera, nelle steppe di Gerico.
Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra, àzzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno.
E a partire dal giorno seguente, come ebbero mangiato i prodotti della terra, la manna cessò. Gli Israeliti non ebbero più manna; quell’anno mangiarono i frutti della terra di Canaan.
Parola di Dio.
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 33 (34)
R. Gustate e vedete com’è buono il Signore.
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino. R.
Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato. R.
Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce. R.
Seconda Lettura
Dio ci ha riconciliati con sé mediante Cristo.
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
2Cor 5,17-21
Fratelli, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove.
Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione.
In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio.
Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.
Parola di Dio.
Acclamazione al Vangelo
Lode e onore a te, Signore Gesù!
Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò:
Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te. (Lc 15,18)
Lode e onore a te, Signore Gesù!
Vangelo
Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita.
Dal vangelo secondo Luca
Lc 15,1-3.11-32
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola:
«Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
Parola del Signore.