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Ottavo ciclo

Anno liturgico A (2022-2023)

Tempo di Quaresima

IV Domenica

(19 marzo 2023)

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1Sam 16,1b.4.6-7.10-13;  Sal 22 (23);  Ef 5,8-14;  Gv 9,1-41

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Già il profeta Isaia aveva prospettato la rivelazione di Dio al popolo in termini di luce: “Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla su di te …” (Is 60,1-2). Se poi teniamo conto della prima lettura, con l’episodio della consacrazione regale di Davide da parte del profeta Samuele, allora possiamo comprendere l’immagine della luce in termini molto concreti, come avverrà per il cieco guarito. La luce, sempre allusiva del battesimo, è l’irradiazione della santità di Dio, splendore di amore per noi, nelle nostre persone rese re-sacerdote-profeta, secondo l’umanità di Gesù. E potremmo spiegare così: chi non serve nessun idolo non è schiavo di niente (re); chi sa benedire per ogni cosa il suo Dio celebra il culto a lui gradito (sacerdote); chi si fa illuminare dalla Parola di Dio non può che annunciare al mondo il mistero di Dio che si è fatto prossimo all’uomo (profeta).

Ora, proprio perché Gesù è la luce di santità di Dio che irradia dalla sua umanità, può rimodellare la nostra umanità e schiuderla al Regno, alla Presenza. Nel brano evangelico odierno ci sono molti particolari che vanno raccordati tra loro per cogliere il segreto del racconto. Il capitolo 8 di Giovanni si era concluso con l’annotazione che Gesù deve nascondersi e uscire dal tempio perché lo vogliono lapidare. E proprio nell’uscire dal tempio vede il cieco. Non lo guarisce subito, ma gli ordina di andare a lavarsi alla piscina di Siloe dopo aver impastato del fango con la sua saliva e averglielo spalmato sugli occhi. Va notato che impastare fango e applicarlo agli occhi in funzione terapeutica era espressamente proibito di sabato, secondo l’interpretazione rigorista della Legge. Il nome Siloe (piscina, dalla quale veniva attinta l’acqua portata solennemente verso il tempio e versata attorno all’altare nella solennità della festa delle capanne) significa ‘chi invia [le acque]’ma Giovanni, rendendolo al passivo, ‘Inviato’, vuole indicare che la nostra guarigione si trova in Gesù, che poco prima si era definito ‘inviato’ dal Padre, v. 4). Nelle parole del cieco guarito Gesù è indicato prima come ‘quell’uomo che si chiama Gesù’, poi ‘un profeta’, poi ‘che è da Dio’ e infine, davanti alla domanda di Gesù che lo va a cercare dopo che è stato cacciato dai farisei: “Tu credi nel Figlio dell’uomo?”, risponde: “Io credo, Signore!”.

La progressione segnala la dinamica spirituale del credente. Dalle cose si passa a scoprire un Volto e da questo Volto si torna, nuovi, alla propria vita, alla propria storia. Gli eventi ci sono dati per scoprire il Volto di colui che il nostro cuore cerca e la scoperta di questo Volto ci rimanda agli eventi perché siano vissuti nella luce e nella vita che da lui promanano.

Il brano è introdotto dalla interrogazione dei discepoli: “chi ha peccato, lui o i suoi genitori?”. La domanda esprimeva il tentativo di sfuggire all’angoscia del male da parte di una coscienza religiosa. Noi non formuleremmo più la domanda in quei termini, ma non per questo l’interrogativo di fronte al male ha perso la sua angoscia lancinante. Gesù non dà risposta in termini ‘ragionevoli’. Invita più semplicemente, ma più potentemente, a distogliere lo sguardo dal passato e volgerlo al futuro: “ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio”. Cosa significa? Vuol solo alludere al fatto che Gesù si appresta a fare il miracolo? No, certamente. Gesù indica la prospettiva per vivere la vita segnata dal male, nella fede in lui. Cercare la causa del male ‘indietro’ ci inchioda al non-senso e alla rabbia della frustrazione. La motivazione va cercata ‘in avanti’, rispetto a un qualcosa che per noi deve ancora farsi, deve ancora rivelarsi. Ma non si tratta più semplicemente di cose, di eventi, bensì di incontri, di volti. È il mistero stesso della fede. La vita scaturisce dalla fede nel senso che la si può vivere ricevendola dalle mani di colui che ci è venuto incontro ed ha mostrato il suo Volto. Del resto, il mistero dell’amore umano trova qui le radici del suo insopprimibile fascino, nonostante le ferite e le delusioni alle quali così spesso ci condanna.

L’unico modo per riscattare il male è quello di aprirsi allo spazio futuro, nella consapevolezza però di non stupirsi che il male ci venga a cercare. Ma se il male ci viene a cercare, è perché si manifestino in noi le opere di Dio. È l’insegnamento della Tradizione sulle tentazioni: “quando sopraggiunge una tentazione, non cercare perché o a causa di chi è venuta: ma in che modo sostenerla con rendimento di grazie, senza tristezza e senza rancori”; “Prega perché non venga su di te la tentazione. Ma se poi viene, accettala non come cosa estranea, ma tua” (Marco Asceta, A quelli che si credono giustificati, 198; La legge spirituale,164). E per quale scopo se non per rinunciare definitivamente alla rivendicazione dei nostri diritti e fidarsi invece del Bene di Colui che ci viene incontro? Non stare inchiodati al passato significa percepire che Qualcuno si è mosso per venirci incontro.

Il canto al vangelo che riporta la promessa di Gesù: “Io sono la luce del mondo; chi segue me avrà la luce della vita” (Gv 8,12), rivela la ragione della proclamazione del salmo responsoriale: “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla”. Quando non è vero che il Signore è il mio pastore perché ci lamentiamo di tutto, allora è vero che il Signore non è la luce del nostro cuore. Il brano del cieco guarito finisce con l’osservazione di Gesù ai farisei: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane”. E noi possiamo interpretare così. Le ragioni addotte dalle nostre lamentele rivelano la cecità del cuore. Se il cuore riconosce per valide le sue ragioni resta cieco; se invece riconosce la sua cecità torna luminoso per la luce del Signore.

Quando il salmo 22 proclama che il pastore fa riposare le pecore in pascoli erbosi e presso acque tranquille, allude proprio al dono della sua vita, che è vita eterna, sovrabbondante. Le acque tranquille – in ebraico, le acque di ‘menuchot’- richiamano la creazione del riposo/ristoro nel settimo giorno della creazione. Il testo della Genesi, dopo aver narrato la creazione di tutte le cose, dice: “Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto”. Gli antichi rabbini intravedono un atto di creazione anche nel settimo giorno: “Che cosa è stato creato il settimo giorno? La ‘menuchà’, la tranquillità, la serenità, la pace e il riposo” (Cfr Gen Rabbà, 10, 9). È lo stato in cui non vi è contesa né lotta, né paura né diffidenza; è felicità, pace e armonia; vita del mondo futuro, vita eterna. Proprio quella ‘vita abbondante’ che Gesù riconsegna agli uomini che lo accolgono. È la gioia di un amore che non sarà più mortificato da nulla, amore che, testimoniato nel suo splendore sul calvario, è donato come Spirito di vita agli uomini che nel ‘crocifisso’ colgono il compimento della promessa di Dio per l’uomo.

Non solo. Ma quando Gesù dice “Io sono la luce del mondo” non si può non risalire al racconto della creazione in Genesi 1,3, quando fu creata la luce. Non è semplicemente la luce fisica, quella che deriva dal sole, creato solo nel quarto giorno. È la luce della santità di Dio, splendore di amore per noi, che attraversa il mondo, luce che però è stata nascosta. È la luce che fa cogliere il mondo dentro uno sguardo unico. È la luce che il messia rivelerà. È la luce che Gesù ha fatto risplendere liberando gli uomini succubi dell’illusione dell’antico serpente che li ha privati della gloria di Dio. Come fa pregare l’orazione dopo la comunione: “O Dio, che illumini ogni uomo che viene in questo mondo, fa risplendere su di noi la luce del tuo volto [il Signore nostro Gesù Cristo], perché i nostri pensieri siano sempre conformi alla tua sapienza e possiamo amarti con cuore sincero”. Come spiega Francesco di Assisi nel suo commento al Padre nostro: “sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra: finché ti amiamo con tutto il cuore, sempre pensando a te; con tutta l’anima, sempre desiderando te; con tutta la mente, orientando a te tutte le nostre intenzioni e in ogni cosa cercando il tuo onore. E con tutte le nostre forze, spendendo tutte le nostre energie e sensibilità dell’anima e del corpo a servizio del tuo amore e non per altro; e affinché amiamo il nostro prossimo come noi stessi, trascinando tutti con ogni nostro potere al tuo amore, godendo dei beni altrui come dei nostri e compatendoli nei mali e non recando offesa a nessuno”.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono tratti dal sito della Chiesa Cattolica italiana: chiesacattolica.it]

Prima Lettura  1Sam 16,1b.4.6-7.10-13

Dal primo libro di Samuèle

In quei giorni, il Signore disse a Samuèle: «Riempi d’olio il tuo corno e parti. Ti mando da Iesse il Betlemmita, perché mi sono scelto tra i suoi figli un re». Samuèle fece quello che il Signore gli aveva comandato.

Quando fu entrato, egli vide Eliàb e disse: «Certo, davanti al Signore sta il suo consacrato!». Il Signore replicò a Samuèle: «Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore».

Iesse fece passare davanti a Samuèle i suoi sette figli e Samuèle ripeté a Iesse: «Il Signore non ha scelto nessuno di questi». Samuèle chiese a Iesse: «Sono qui tutti i giovani?». Rispose Iesse: «Rimane ancora il più piccolo, che ora sta a pascolare il gregge». Samuèle disse a Iesse: «Manda a prenderlo, perché non ci metteremo a tavola prima che egli sia venuto qui». Lo mandò a chiamare e lo fece venire. Era fulvo, con begli occhi e bello di aspetto.

Disse il Signore: «Àlzati e ungilo: è lui!». Samuèle prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi fratelli, e lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi.

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 22 (23)

R. Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.

Il Signore è il mio pastore:

non manco di nulla.

Su pascoli erbosi mi fa riposare,

ad acque tranquille mi conduce.

Rinfranca l’anima mia. R.

Mi guida per il giusto cammino

a motivo del suo nome.

Anche se vado per una valle oscura,

non temo alcun male, perché tu sei con me.

Il tuo bastone e il tuo vincastro

mi danno sicurezza. R.

Davanti a me tu prepari una mensa

sotto gli occhi dei miei nemici.

Ungi di olio il mio capo;

il mio calice trabocca.R.

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne

tutti i giorni della mia vita,

abiterò ancora nella casa del Signore

per lunghi giorni. R.

Seconda Lettura  Ef 5,8-14

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni

Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità.

Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente. Di quanto viene fatto in segreto da [coloro che disobbediscono a Dio] è vergognoso perfino parlare, mentre tutte le cose apertamente condannate sono rivelate dalla luce: tutto quello che si manifesta è luce. Per questo è detto:

«Svégliati, tu che dormi,

risorgi dai morti

e Cristo ti illuminerà».

Vangelo  Gv 9,1-41

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo».

Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.

Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».

Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».

Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.

Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».