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Settimo ciclo

Anno liturgico C (2021-2022)

Tempo Ordinario

XXX Domenica

(23 ottobre 2022)

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Sir 35,15b-17.20-22a;  Sal 33 (34);  2 Tm 4,6-8.16-18;  Lc 18, 9-14

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Lo proclama chiaramente il canto al vangelo: “Dio ha riconciliato a sé il mondo in Cristo, affidando a noi la parola della riconciliazione” (2Cor 5,19). La verità del regno che Gesù fa conoscere sta nella riconciliazione tra Dio e l’uomo. Ecco, la riconciliazione, che fa accedere alla comunione con Dio, comporta il ritornare a essere luminosi in umanità perché Dio è il Padre delle misericordie, è il Padre misericordioso.

La domanda, di conseguenza, suona: la preghiera del fariseo fa presagire questo ritorno alla luminosità in umanità? Non pare proprio. Primo, perché la sua preghiera non esalta la figura del Padre; secondo, perché non torna a stare solidale con i suoi fratelli, tutti figli dell’unico Padre. In lui, la persuasione del suo praticare la Legge, sicuramente suo merito, lavora nel senso della separazione, della distanza con il proprio fratello perché il suo agire non è teso ad esaltare la figura del Padre, ma più semplicemente e più perversamente ad esibire la sua propria giustizia. Ma l’uomo può esibire una sua giustizia davanti a Dio, per il quale, come dice il profeta: “Siamo divenuti tutti come una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia” (Is 64,5)? Non può che umilmente riconoscere, come celebra il salmo, che “il Signore è vicino a chi ha il cuore contrito, egli salva gli spiriti affranti” (Sal 34,19).

E ancora. C’è una contraddizione stridente tra il rendere grazie sottolineando di non essere come gli altri. Il male si vede fin troppo bene in questo mondo, ma lo si vede negli altri! La menzogna del cuore sta appunto nel volerlo vedere solo negli altri. Ed è per questo che un cuore siffatto ha bisogno di contrapporsi (‘non sono come gli altri’) per evitare di vederlo in se stesso. Gesù inchioda questo atteggiamento come ipocrisia. Come quando aveva detto: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?” (Lc 6,41). Qui, con l’aggravante che la cosa viene esibita davanti a Dio, nella preghiera. Il suo rendere grazie non è più espressione di umile gratitudine, bensì di presunzione che non tiene minimamente conto dei sentimenti di Dio.

La sapienza del Siracide conferma: “il Signore è giudice e per lui non c’è preferenza di persone (letteralmente: la gloria della persona non è nulla davanti a lui)” (Sir 35,15). Se l’uomo si gloria della sua giustizia, automaticamente dichiara che non cerca quella di Dio, nonostante creda il contrario. In effetti, il passo del Siracide tratta delle offerte al tempio e mette in guardia il credente dal presentare al Signore vittime ingiuste, sottolineando che uno può offrire vittime ingiuste in tre modi: a) praticare il rito dell’offerta materialmente senza impegnare la propria vita convertendosi; b) portare una vittima sottratta al povero, frutto quindi di ingiustizia e oppressione; c) presentare una vittima difettosa. Il Signore, che è giudice, vede i cuori e non si lascia ingannare da nessuna gloria esteriore. Quando il fariseo proclama la sua giustizia, non dice cose false, ma non è retto il suo cuore perché interpreta la sua giustizia come una gloria da esibire e Dio, per il quale la gloria delle persone non conta nulla, non può accogliere la sua offerta. Il fariseo offre una vittima difettosa.

Non si tratta evidentemente di disprezzare le pratiche buone, tanto più quelle inerenti al culto, che del resto procedono dai comandamenti di Dio, ma di svelare la condizione che rende quelle pratiche, gradite a Dio e portatrici di frutto per il cuore dell’uomo. L’insegnamento della parabola emerge in tutta la sua portata se mettiamo a confronto la preghiera del fariseo con quella che Gesù innalza al Padre al ritorno dei discepoli da una missione di predicazione: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25). Almeno tre sono le differenze vistose: la preghiera di Gesù prorompe da un’intimità goduta, esprime solidarietà con Dio e con gli uomini, celebra Dio e non l’uomo. Quella del fariseo è appiattita sull’esteriorità esibita, fa rimarcare la separazione, celebra l’uomo e non Dio. Se nella preghiera di Gesù Dio è benedetto come Padre, in quella del fariseo, la caratteristica che manca, è proprio la proclamazione della sua paternità.

Approfondendo il senso della parabola, veniamo a sapere due cose preziose. Se Gesù è l’offerta di salvezza da parte di Dio (Paolo lo proclama chiaramente nella sua lettera ai Corinzi: “Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo”, 2Cor 5,19), non c’è alcun bisogno di esibire alcunché davanti a Dio. Di conseguenza, non c’è più alcun bisogno di prendere le distanze dai nostri fratelli, perché possiamo godere insieme la salvezza di Dio. Più un uomo si loda e più piccola è l’immagine di Dio che coltiva; più un uomo si distingue e si separa dagli altri, meno conosce la dolcezza che viene dalla salvezza di Dio.

Del resto, come possiamo lodare il Padre svelando la sua presenza nel mondo? Come collaboratori della sua opera di riconciliazione. Con la sottolineatura: ‘tornò a casa sua giustificato’, siamo rimandati a questa suprema verità: Dio offre la sua pace a noi, non noi che dobbiamo fare di tutto per rabbonirlo. È questa la ‘buona notizia’, la radice di una gioia nuova, capace di cercare la comunione con Dio vivendo la comunione con noi stessi e con i fratelli, in Cristo, nostro Salvatore, nel quale “non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio né femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 4,28). E Paolo aveva commentato la verità dell’offerta della riconciliazione mediante il Cristo con “se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove” (2Cor 5,17). Non per nulla, il seguito del brano di oggi racconta l’accoglienza dei bambini da parte di Gesù con la sua solenne affermazione: “In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come l’accoglie un bambino, non entrerà in esso” (Lc 18,17).

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono tratti dal sito della Chiesa Cattolica italiana: chiesacattolica.it]

Prima Lettura  Sir 35,15b-17.20-22a

Dal libro del Siràcide

Il Signore è giudice

e per lui non c’è preferenza di persone.

Non è parziale a danno del povero

e ascolta la preghiera dell’oppresso.

Non trascura la supplica dell’orfano,

né la vedova, quando si sfoga nel lamento.

Chi la soccorre è accolto con benevolenza,

la sua preghiera arriva fino alle nubi.

La preghiera del povero attraversa le nubi

né si quieta finché non sia arrivata;

non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto

e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l’equità.

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 33 (34)

R. Il povero grida e il Signore lo ascolta.

Benedirò il Signore in ogni tempo,

sulla mia bocca sempre la sua lode.

Io mi glorio nel Signore:

i poveri ascoltino e si rallegrino. R.

Il volto del Signore contro i malfattori,

per eliminarne dalla terra il ricordo.

Gridano e il Signore li ascolta,

li libera da tutte le loro angosce. R.

Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,

egli salva gli spiriti affranti.

Il Signore riscatta la vita dei suoi servi;

non sarà condannato chi in lui si rifugia. R.

Seconda Lettura  2 Tm 4,6-8.16-18

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo

Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.

Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se ne tenga conto. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone.

Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Vangelo  Lc 18,9-14

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:

«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.

Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.

Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.

Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».