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Settimo ciclo

Anno liturgico C (2021-2022)

Tempo Ordinario

XXVII Domenica

(2 ottobre 2022)

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Ab 1,2-3;2,2-4;  Sal 94 (95);  2 Tm 1,6-8.13-14;  Lc 17, 5-10

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Non si dà ragione al vangelo proclamato oggi se non si collega a ciò che immediatamente lo precede. Gesù ha appena invitato i discepoli a perdonare sempre. Al che, i discepoli, sbalorditi, chiedono: Accresci in noi la fede! E immediatamente prima di invitare al perdono Gesù li aveva richiamati: State attenti a voi stessi. L’attenzione e la fede sono riferite al medesimo contesto.

Il canto al vangelo ci introduce in quel preciso contesto con la fiducia nella verità della parola di Dio: “la parola del Signore rimane in eterno. E questa è la parola del Vangelo che vi è stato annunciato” (1Pt 1,25). Se andiamo al passo della lettera di Pietro, che riprende Isaia 40,6-8, scopriamo che la eternità della parola è contrapposta alla precarietà dell’uomo paragonato al fiore del campo. Il senso è dato da questa precisa percezione: la verità svelata dalla parola di Dio è sempre la medesima, vale sempre e vale per sempre, vale per ogni cuore.

Se poi applichiamo questa affermazione al comando del perdono, allora scopriamo, non solo tutta la profondità dell’insegnamento di Gesù, ma anche tutto il mistero del cuore dell’uomo che non ha altro modo di scoprire il suo essere ‘a immagine e somiglianza di Dio’ se non per questa via. È la via del perdono ma che si può percorrere soltanto a partire dalla fede.

In effetti, tutta la liturgia di oggi mira a svelare la struttura del cuore dell’uomo che si gioca nella fede. Il profeta Abacuc proclama: “Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede”, nel contesto della prova che il giusto subisce e del ritardo di Dio a rispondere, ma fiducioso nella promessa del suo Dio. Il profeta si sta lamentando con il suo Dio della violenza che imperversa e non comprende perché Dio taccia e resti lontano. È l’epoca della conquista di Gerusalemme da parte dei babilonesi. Poi riflette, rivà alla storia di Israele e riscopre la fedeltà di Dio nel tempo, per cui si apre alla fiducia. L’animo retto si riferisce alla fede nelle promesse di Dio proprio quando imperversa la prova. Lo stesso salmo responsoriale (che però andrebbe letto per intero) sottolinea la drammaticità del credente. Si può benissimo incorrere in quella che suona come la minaccia più terribile per il cuore: «Per quarant’anni mi disgustò quella generazione e dissi: “Sono un popolo dal cuore traviato, non conoscono le mie vie”. Perciò ho giurato nella mia ira: “Non entreranno nel luogo del mio riposo”». Il salmo descrive la ‘non rettitudine’ come ‘durezza’ di cuore. È la lezione che hanno imparato per esperienza i nostri padri. Isacco Siro contrappone la mancanza di fede, che genera orgoglio, alla fede, a cui segue l’umiltà. Da Dio viene la misericordia mentre dalla mancanza di fede la paura. Tutto ciò che si muove in noi proviene da una di queste due cause, vissute come la ragione del nostro sentire: o dalla durezza di cuore o dalla fede in Dio.

Così, se rileggiamo il brano di vangelo a partire da queste considerazioni, possiamo domandarci: se la fede è il contrario della durezza di cuore, in quale contesto specifico l’uomo fa esperienza di durezza di cuore? Nelle relazioni fraterne, nella difficoltà a perdonare al proprio fratello: “Se il tuo fratello commetterà una colpa, rimproveralo; ma se si pentirà, perdonagli. E se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo: “Sono pentito”, tu gli perdonerai». Gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!»” (Lc 17,3-6). Da notare che nel testo di Luca, la difficoltà di obbedire al comando di Gesù di perdonare al fratello, anche se pecca sette volte al giorno, vale a dire continuamente, non è vincolata alla poca generosità, ma alla causa che la produce, vale a dire: il fatto che il fratello venga sette volte a chiedermi scusa suona alle mie orecchie come una presa in giro e perciò il senso della mia importanza pregiudica la mia generosità. La durezza di cuore, che impedisce il perdono, deriva quindi dalla mancanza di fede, dal fatto cioè di non avere più fiducia nella promessa di Dio, di non restare umile davanti a Dio, di esigere qualcosa per me o di me, il che contrasta esattamente con quello che il profeta aveva chiamato ‘animo retto’.

Il perdono non parla semplicemente della generosità dell’uomo, ma della conoscenza di Dio che abita i cuori, vale a dire della fede in Gesù professata e vissuta. La fede è domandata proprio per vivere il compito divino del perdono, che è il modo umano di vivere l’amore, assecondando quel mistero di riconciliazione in atto nella storia secondo l’espressione della lettera agli Efesini: “perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato [= ha fatto grazia di sé] a voi in Cristo”.

Il compito divino del perdono è espresso paradossalmente con l’esempio del gelso che si pianterebbe nel mare se uno glielo ordinasse con fede. Così tanto, in modo così nuovo, Gesù aveva insistito nella sua predicazione su questo comando divino: “tu gli perdonerai”! Il cuore dell’uomo sa e sente che non può riacquistare l’innocenza perduta se non nel perdono ricevuto e offerto, costantemente. Qui si radica l’esperienza di Dio, che non guarda a meriti o diritti. Nel perdonare si gioca la sincerità dell’aver incontrato Dio e dell’esserci percepiti solidali con i nostri fratelli. La difficoltà risiede proprio nel fatto che non è così semplice ritenerci peccatori, assillati come siamo dalla paura di venire respinti e che non è così facile non aver più paura di Dio. Si tratta sempre appunto della fede.

La fede, secondo le parole del salmo, è suscitata dall’ascolto: “Se ascoltaste oggi la sua voce!”. Perché è dalla mancanza di quell’ascolto che deriva all’uomo l’indurimento del cuore: “Non indurite il cuore come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto”. Tutto sta in quel ‘se…’. Un gustosissimo midrash lo illustra a meraviglia. Rabbi Jehoshua ben Levi interrogò il profeta Elia: “Quando verrà il Messia?”. “Va a chiederlo a lui”, rispose. “Dove lo posso trovare?”. “Alle porte di Roma”. “E come lo riconoscerò?”. “Egli siede tra i lebbrosi mendicanti. Ma mentre questi si tolgono e si rimettono le bende tutte in una volta, egli si toglie le bende a una a una e se le rimette una alla volta dicendo: ‘Forse sarò chiamato a manifestarmi, e in tal modo non ritarderò’ “. Rabbi Jehoshua andò da lui e lo salutò: “Pace a te Maestro!”. “Pace a te, figli di Levi”, rispose. “Quando verrai, Maestro?”. Gli disse: “Oggi”. Poi venne da Elia, che gli chiese: “Cosa ti ha detto?” “Mi ha mentito. Ha detto che sarebbe venuto oggi, e invece non è venuto”. Ma Elia disse: “No, egli ti ha detto questo: ‘Oggi, se ascoltate la sua voce!’”.

Se non ascolto oggi la parola, resto più indurito e domani farò più fatica ad ascoltare. L’aspetto caratteristico della proclamazione del salmo è il fatto che l’ogni giorno suppone un qui, un essere totalmente là dove siamo. L’ogni e il qui suppongono a loro volta che ciò che è trascorso non ipotechi ciò che inizia. In pratica, possiamo ascoltare Dio solo stando dove ci troviamo e adesso. Questa è la fede, questo è avere l’animo retto, questo è l’uscire dalla durezza di cuore.

Il brano evangelico comporta anche l’aggiunta della parabola del servo inutile. A dire il vero non è che il servo sia inutile, perché il suo compito lo esegue e serve al padrone. Ciò che la parabola vuole esprimere è il fatto che il servo non ha titoli di preferenza o di diritti presso il suo Signore! Rispetto al contesto del perdono al fratello, non è il servo che conquista il fratello (“Ma che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Servitori, attraverso i quali siete venuti alla fede, e ciascuno come il Signore gli ha concesso. Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere”, 1Cor 3,5-7). Essere servi inutili significa essere semplicemente servi e nulla di più. È solo Dio che dona. Il servo è solo testimone del dono di Dio che gli è stato fatto e che estende a tutti. Guai a farsi belli del bene che si compie perché significherebbe agire con animo non retto e che, col tempo, si trasformerà in durezza di cuore.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono tratti dal sito della Chiesa Cattolica italiana: chiesacattolica.it]

Prima Lettura  Ab 1,2-3;2,2-4

Dal libro del profeta Abacuc

Fino a quando, Signore, implorerò aiuto

e non ascolti,

a te alzerò il grido: «Violenza!»

e non salvi?

Perché mi fai vedere l’iniquità

e resti spettatore dell’oppressione?

Ho davanti a me rapina e violenza

e ci sono liti e si muovono contese.

Il Signore rispose e mi disse:

«Scrivi la visione

e incidila bene sulle tavolette,

perché la si legga speditamente.

È una visione che attesta un termine,

parla di una scadenza e non mentisce;

se indugia, attendila,

perché certo verrà e non tarderà.

Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto,

mentre il giusto vivrà per la sua fede».

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 94 (95)

R. Ascoltate oggi la voce del Signore.

Venite, cantiamo al Signore,

acclamiamo la roccia della nostra salvezza.

Accostiamoci a lui per rendergli grazie,

a lui acclamiamo con canti di gioia. R.

Entrate: prostràti, adoriamo,

in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.

È lui il nostro Dio

e noi il popolo del suo pascolo,

il gregge che egli conduce. R.

Se ascoltaste oggi la sua voce!

«Non indurite il cuore come a Merìba,

come nel giorno di Massa nel deserto,

dove mi tentarono i vostri padri:

mi misero alla prova

pur avendo visto le mie opere». R.

Seconda Lettura  2 Tm 1,6-8.13-14

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo

Figlio mio, ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza.

Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo.

Prendi come modello i sani insegnamenti che hai udito da me con la fede e l’amore, che sono in Cristo Gesù. Custodisci, mediante lo Spirito Santo che abita in noi, il bene prezioso che ti è stato affidato.

Vangelo  Lc 17,5-10

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».

Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.

Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?

Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».