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Settimo ciclo

Anno liturgico C (2021-2022)

Tempo Ordinario

VI Domenica

(13 febbraio 2022)

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Ger 17,5-8,  Sal 1;  1Cor 15,12.16-20;  Lc 6,17.20-26

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L’annuncio di Gesù si fa più trasparente nella sua potenza spirituale se messo in corrispondenza con l’annuncio del profeta Geremia. “Maledetto l’uomo che confida nella carne … Benedetto l’uomo che confida nel Signore”: questo è il grido del profeta a un popolo che stenta a riconoscere la via del Signore e del suo amore. Nella sua stessa spiegazione, la maledizione è indicata come uno spazio desertico, dove nessuno può vivere, mentre la benedizione è presentata come uno spazio di fecondità, di vita fluente. È caratteristico che la liturgia commenti l’annuncio del profeta con il salmo 1, che inizia con il termine ‘beato’. Si potrebbe rendere: ‘felicità per’ l’uomo che resta nella via del Signore. Come rivela il vocabolo ebraico, la cui traduzione letterale potrebbe essere: ‘in cammino’, ‘su, avanti’, ‘progredisci’, la felicità non è una cosa, ma un processo, un cammino che ha una meta, il cui raggiungimento produce quella felicità a cui il cuore anela. Il senso profondo di questo invito/promessa di felicità è reso dall’antica colletta di questa domenica: “O Dio, che hai promesso di abitare in coloro che ti amano con cuore retto e sincero, donaci la grazia di diventare tua degna dimora”, vale a dire: la grazia di essere felici.

Ecco, la felicità è stare nella via. In termini amorosi, come i cuori avvertono quando vivono una relazione appagante: il tuo abitarmi è il mio vivere! Quel ‘vivere’ diventa l’espressione di uno splendore di umanità, come Gesù promette nel suo annuncio. Gesù non si definisce lui stesso: “Io sono la via, la verità e la vita”? Via-verità-vita sono le dimensioni della ‘dimora’ di Dio nel cuore. Per quella dimora, come dice l’antifona di ingresso, noi preghiamo: “Sii per me una roccia di rifugio, un luogo fortificato che mi salva. Tu sei mia rupe e mia fortezza; guidami per amore del tuo nome”. Come si vede, ‘roccia’ e ‘via’ sono abbinate, nell’esperienza dell’amore del nostro Dio.

Così, se andiamo all’annuncio delle beatitudini secondo il testo di Luca, potremmo interpretare: quando siamo privati dei beni, del necessario, delle consolazioni, della compiacenza altrui, forse che perdiamo il suo amore? Se non lo perdiamo, siamo beati. Se lo perdiamo, guai a noi! In pratica, Gesù insegna a discernere dove il cuore si radica nella ricerca della sua felicità. Il particolare che spinge a interpretare le parole di Gesù in questa prospettiva è il paragone che stabilisce con il comportamento verso i profeti. Come si può verificare la sincerità di un profeta? Il profeta sincero è messo alla prova nella sua fedeltà al Signore che l’ha inviato per la salvezza del popolo. Il profeta fasullo è lisciato per la connivenza di coloro che invece dovrebbe portare a conversione, vale a dire preferisce la compiacenza all’amore e così agendo testimonia che il suo cuore non è abitato da Dio. Ma se non è abitato da Dio, come può portare salvezza al popolo?

Gesù parla alzando gli occhi sui suoi discepoli, non parla in generale. Come a dire: ciò che vi sto annunciando vale in ragione del fatto che avete accolto in me l’Inviato di Dio, colui che dalla parte di Dio non solo vi richiama al mistero del Regno, ma vi concede di gustarlo e di condividerlo. Nei termini delle beatitudini, la parola di Gesù si può intendere: chi cerca la sua felicità senza che la Mia gioia lambisca il suo cuore resterà nella fame e nel pianto; chi vuole a tutti i costi la sua felicità, solo calcolando come una eventuale aggiunta il dono della Mia gioia, finirà per trovarla traditrice e si troverà ingannato dai suoi fratelli e perderà la sua integrità. Perché la felicità di cui parla Gesù, quella alla quale anela profondamente, sebbene con mille contraddizioni, il nostro cuore, ha a che fare con la scoperta della prossimità di Dio che in Gesù rivela tutto il suo mistero di amore e accondiscendenza per noi e che sana i nostri cuori.

In effetti, in cosa consiste la felicità che Gesù promette ai suoi discepoli? Quale beatitudine nella povertà, nella fame, nel pianto e nella vessazione, se tutta la fatica degli uomini, nella loro ricerca di giustizia e di dirittura morale, consiste proprio nel combattere quelle situazioni che prostrano la dignità delle persone? C’è qualcosa di assolutamente affascinante, ma paradossale, nelle parole di Gesù, come del resto gli stessi discepoli noteranno sempre rispetto alla vita e al comportamento del loro Maestro. Come dice s. Gregorio di Nissa: “Siccome tutti gli uomini sono abitati dalla superbia, il Signore comincia le beatitudini, eliminando il male iniziale dell’orgoglio e invitando a imitare il vero Povero volontario che è beato in verità, in modo da rassomigliargli, secondo quanto sta nelle nostre possibilità, attraverso una povertà volontaria per aver parte alla sua beatitudine”. E dopo aver descritto l’ascesa di tutte le beatitudini dice: “Qual è lo scopo che perseguiamo? Quale la ricompensa? Quale la corona? Mi sembra che ogni oggetto della nostra speranza non è nient’altro che il Signore stesso … è lui l’eredità ed è lui che ti dona la tua parte; è lui che arricchisce ed è lui la ricchezza; è lui che ti mostra il tesoro e che è il tuo tesoro …”. La beatitudine allora è vivere quella comunione con colui che è l’Amato del tuo cuore. È l’essere abitato da lui. E tale amore risalterà in tutto il suo splendore proprio quando tutto e tutti cercheranno di rapirtelo e tu non cederai a niente e a nessuno. La cosa strana sarà che ti accorgerai che non te lo farai rapire quando lo custodirai per tutti, senza separarti da nessuno proprio a causa di quell’Amore. È quanto di più paradossale possa succedere a un essere umano, ma è proprio questa la verità di Dio per il cuore dell’uomo.

La prima beatitudine comporta il verbo al presente, le altre al futuro: “perché vostro è il regno di Dio”, “perché sarete saziati”. Il presente sottolinea che il dono è reale, ci appartiene; il futuro sottolinea che siamo chiamati a viverne la dinamica in tutta la sua estensione, a realizzarne i frutti, con la pazienza di chi sa di non essere lasciato solo e confuso ma felicemente accompagnato. È stare appunto nella via, sempre. Così, voler essere felici per poi vivere bene è un’assurdità, come voler prima vedere il Signore per poi seguirlo. L’unica possibilità è quella della promessa: accetto di vivere per essere felice perché la felicità è la promessa della vita. E questa suona veritiera nella parola di Gesù perché è venuto a dare la vita e a darla in abbondanza. É l’abbondanza di un amore non più soggetto a oppressioni, invincibile davanti ad ogni tormento o afflizione o ingiustizia perché il nome del Signore sia rivelato ad ogni cuore, al mondo intero. É lo spazio di tensione della promessa che riempie la nostra vita di discepoli di Cristo.

Nel linguaggio di Gesù l’apostrofe diventa la proclamazione della felicità accessibile all’uomo. É come se Gesù dicesse: so che il vostro cuore anela alla felicità, ma per quanto vi angosciate per trovarla o per imporvela è assai facile rimanere nell’amarezza invincibile dell’illusione. Quando Gesù parla della ricompensa grande nei cieli allude alla natura della felicità che partecipa dell’eterno e che si esprime nella nostra storia con uno splendore che ha a che fare con l’eterno. Ma il nostro cuore è ancora toccato dalla speranza dell’eterno? Come dice s. Paolo nella sua lettera ai Corinzi: “Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini” (1Cor 15,19). Non si tratta, a dire il vero, di guardare all’al di là, ma di guardare alla radice eterna, alla dimensione eterna dell’essere, a ciò che fonda la sua dignità essenziale e il suo splendore di creatura, che non può che provenire da Dio e portare a Dio.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono tratti dal sito della Chiesa Cattolica italiana: chiesacattolica.it]

Prima Lettura  Ger 17,5-8

Dal libro del profeta Geremìa

Così dice il Signore:

«Maledetto l’uomo che confida nell’uomo,

e pone nella carne il suo sostegno,

allontanando il suo cuore dal Signore.

Sarà come un tamarisco nella steppa;

non vedrà venire il bene, dimorerà in luoghi aridi nel deserto,

in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere.

Benedetto l’uomo che confida nel Signore

e il Signore è la sua fiducia.

È come un albero piantato lungo un corso d’acqua,

verso la corrente stende le radici;

non teme quando viene il caldo,

le sue foglie rimangono verdi,

nell’anno della siccità non si dà pena,

non smette di produrre frutti».

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 1

R. Beato l’uomo che confida nel Signore.

Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi,

non resta nella via dei peccatori

e non siede in compagnia degli arroganti,

ma nella legge del Signore trova la sua gioia,

la sua legge medita giorno e notte. R.

È come albero piantato lungo corsi d’acqua,

che dà frutto a suo tempo:

le sue foglie non appassiscono

e tutto quello che fa, riesce bene. R.

Non così, non così i malvagi,

ma come pula che il vento disperde;

poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti,

mentre la via dei malvagi va in rovina. R.

Seconda Lettura  1Cor 15,12.16-20

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi

Fratelli, se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è resurrezione dei morti?

Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti.

Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini.

Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti.

Vangelo  Lc 6,17.20-26

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne.

Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:

«Beati voi, poveri,

perché vostro è il regno di Dio.

Beati voi, che ora avete fame,

perché sarete saziati.

Beati voi, che ora piangete,

perché riderete.

Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo.

Rallegratevi in quel giorno ed esultate,

perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo.

Allo stesso modo infatti agivano

i loro padri con i profeti.

Ma guai a voi, ricchi,

perché avete già ricevuto la vostra consolazione.

Guai a voi, che ora siete sazi,

perché avrete fame.

Guai a voi, che ora ridete,

perché sarete nel dolore e piangerete.

Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi.

Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».