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Settimo ciclo

Anno liturgico A (2019-2020)

Solennità e feste

Corpus Domini

(14 giugno 2020)

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Dt 8,2-3.14b-16a;  Sal 147;  1Cor 10,16-17;  Gv 6,51-58

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L’intelligenza del mistero dell’eucaristia da parte della Chiesa è ben espressa, nella liturgia di oggi, dalla preghiera sulle offerte: “Concedi benigno alla tua Chiesa, o Padre, i doni dell’unità e della pace, misticamente significati nelle offerte che ti presentiamo”. Gli uomini presentano all’altare il pane e il vino, che verranno loro ridonati come corpo e sangue del Signore, perché di tutti si faccia un corpo solo. Quando s. Agostino si domanda quale sia la virtù specifica dell’Eucarestia, non può che rispondere: “La virtù propria di questo nutrimento è quella di produrre l’unità, affinché, ridotti ad essere il corpo di Cristo, divenuti sue membra, siamo ciò che riceviamo”. In effetti, quando ci accostiamo alla comunione eucaristica, l’amen che il fedele risponde non significa: sì, credo che quel pezzo di pane è il corpo di Cristo, ma, più in verità: sì, so che faccio parte di quel corpo e accetto di vivere come un corpo solo!

L’unità riguarda l’essere uno in Cristo, il rimanere in lui come lui rimane in noi. Esprime tutta l’intensità e la profondità dell’unione del discepolo con il suo Maestro nella stessa dinamica di vita che lo caratterizza: inviato per mostrare la grandezza dell’amore del Padre e per fare di tutti un’unica famiglia. La pace riguarda la dimensione di quell’unità nella storia nel senso che tutti gli uomini sono fratelli perché l’unico pane è per l’unico corpo. Il ‘vero pane’ disceso dal cielo, come Gesù dichiara nel vangelo, ha lo scopo di nutrire, vale a dire portare vita, accrescere la vita, renderci partecipi della sua potenza di ‘eternità’. Da non intendere: per ereditare domani la vita eterna in paradiso, ma: per avere oggi la qualità eterna della vita come splendore di amore immortificabile.

Il vangelo esprime questa tensione con termini estremamente realistici. Noi traduciamo: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui”. In realtà, il testo dice: ‘chi mastica la mia carne’. Esprime il realismo del mangiare. Già l’espressione di Gesù sembra irricevibile (in effetti, nel brano di Gv 6, i farisei respingono la cosa), ma l’accentuazione realistica la rende ancora più assurda. L’accentuazione sottolinea la veridicità del mistero, il realismo del mistero. Come comprenderlo?

L’eucaristia è chiamata ‘farmaco di immortalità’. Richiama il convito celeste a cui i santi partecipano nella lode perenne del loro Dio. Come preghiamo nel Padre nostro: ‘come in cielo così in terra’. Il mangiare però allude al partecipare alla dinamica che rende la vita ‘eterna’. Potremmo spiegare così. Chi mangia il corpo di Gesù, che si è consegnato nelle mani degli uomini perché fosse nota la grandezza dell’amore del Padre, resta abilitato, come Gesù e in Gesù, a consegnarsi a sua volta perché quell’amore che l’ha conquistato splenda nel mondo e lo trasfiguri (in effetti Gesù non dice solo che lui è il pane vivo, ma che è il pane disceso dal cielo e che lui darà per la vita del mondo), in modo da far entrare la concretezza della vita quotidiana nel movimento dell’amore divino. Questo significa vivere per il regno, secondo l’espressione programmatica di Gesù: “Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,33).

In questo senso il riferimento alla manna e al suo significato nel racconto del Deuteronomio resta essenziale. Nella discussione tra i farisei e Gesù ricorre il tema della manna come il segno che ha rivelato Mosè come l’inviato di Dio al suo popolo. Gesù accetta il riferimento e ne rivendica la verità applicandola direttamente a se stesso. Gli ascoltatori non potevano ancora comprendere ma noi possiamo afferrarne meglio la portata. Le parole di Mosè, nel libro del Deuteronomio, sono pronunciate alla fine della traversata del deserto dopo quarant’anni di peregrinazioni prima di arrivare alla terra promessa. Ad ascoltarle non ci sono più coloro che erano usciti dall’Egitto perché nel frattempo erano morti. Ci sono i loro figli, coloro che non avevano conosciuto la schiavitù in Egitto. Li istruisce spiegando perché la liberazione dei loro padri aveva richiesto un viaggio così difficile. La liberazione dalla schiavitù aveva comportato un periodo di umiliazione e di prova perché emergesse la verità dei cuori. Vale a dire, se fossero davvero disposti a seguire il loro Dio, a fidarsi di lui (ecco il segno della manna), a adorare solo lui. Dice loro di tenere a mente, di fare memoria che in realtà non si tratta tanto di essere soddisfatti nella fame materiale (non sparire come popolo) ma di essere nutriti della parola che esce dalla bocca di Dio (vivere nella e della santità di Dio). È come se ricordasse loro l’emozione delle origini quando Dio era intervenuto, quando Dio aveva fatto sentire la sua voce, quando Dio si è messo alla guida del popolo tramite Mosè.

L’eucaristia è entrare nell’emozione delle origini per il cammino tormentato della vita. È fare memoria della grazia delle origini, così potente da inglobare tutto il cammino nella sua luce e nella sua energia di vita. Il mangiare l’eucaristia, il corpo di Cristo dato per noi, vuol dire ricevere sostentamento ed energia per realizzare quello che significa: diventare un corpo solo, a immagine della comunità dei santi uniti nella lode dell’amore sovrano di Dio. È l’eucarestia, come dice s. Francesco, a comunicare al cuore dell’uomo credente, che fa affidamento alla logica che viene dall’alto, la potenza di una memoria, di una intelligenza e di un sentimento per un amore grande che ci ha toccati, per Colui che si è rivelato al nostro cuore come capace di amore per noi. Sperimentando questo, allora le sue parole, il suo agire ed il suo soffrire, si impastano con il nostro, lo lievitano e, mossi ormai dalla sua stessa dinamica di vita, impariamo a stare solidali con tutti, in quell’umanità che ci rende un unico corpo, un corpo solo con il nostro Dio.

Come i farisei di allora, anche noi mettiamo avanti le nostre resistenze, le nostre perplessità. Perché, quello che appare così tanto desiderabile, spesso non convince i nostri cuori nel viverne tutte le implicazioni nella vita concreta? Se rileggiamo tutto il capitolo 6 di Giovanni riusciamo a intuire la natura di questa difficoltà. Gesù si presenta come il pane disceso dal cielo, ma gli ascoltatori, che pure avevano goduto del miracolo della moltiplicazione dei pani, sono incapaci di riconoscere nel concreto la via di Dio che a loro si sta rivelando. Perché, pur desiderando la vita, non l’accolgono? Forse la risposta va cercata proprio in quel movimento di discesa che caratterizza l’agire di Dio. Il discendere dal cielo non indica semplicemente la provenienza di Gesù; indica piuttosto il movimento dell’abbassarsi di Dio per comunicare il suo amore e far vivere. Gli uomini non amano abbassarsi, benché vogliano la vita e desiderino l’amore. Pensano sempre in termini di grandezza, ma mondana, dove il potente prevale sul debole, il grande la spunta sul piccolo e l’affermazione di sé è una questione di innalzamento. Gesù invece, quando parla di innalzamento, allude sempre al suo essere innalzato sulla croce, cioè al suo abbassamento, perché è lì che risplende l’amore di Dio per l’uomo.

Il dimorare in Gesù, mangiando la sua carne e bevendo il suo sangue, allude al rimanere in questo movimento di discesa per essere testimoni dello splendore dell’amore di Dio in mezzo agli uomini, non avendo altro tesoro più prezioso da custodire. Dovremmo imparare a collegare il mangiare e il rimanere in funzione della manifestazione al mondo dell’amore di Dio.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

Prima Lettura  Dt 8, 2-3. 14b-16a

Dal libro del Deuteronòmio

Mosè parlò al popolo dicendo:

«Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti osservato o no i suoi comandi.

Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore.

Non dimenticare il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri».

Salmo Responsoriale  dal Salmo 147

Loda il Signore, Gerusalemme.

Celebra il Signore, Gerusalemme,

loda il tuo Dio, Sion,

perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,

in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli.

Egli mette pace nei tuoi confini

e ti sazia con fiore di frumento.

Manda sulla terra il suo messaggio:

la sua parola corre veloce.

Annuncia a Giacobbe la sua parola,

i suoi decreti e i suoi giudizi a Israele.

Così non ha fatto con nessun’altra nazione,

non ha fatto conoscere loro i suoi giudizi.

Seconda Lettura  1 Cor 10, 16-17

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Fratelli, il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?

Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane.

Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.

SEQUENZA

[ Sion, loda il Salvatore,

la tua guida, il tuo pastore

con inni e cantici.

    Lauda Sion Salvatorem,

    lauda ducem et pastorem,

    in hymnis et canticis.

Impegna tutto il tuo fervore:

egli supera ogni lode,

non vi è canto che sia degno.

    Quantum potes, tantum aude:

    quia major omni laude,

    nec laudare sufficis,

Pane vivo, che dà vita:

questo è tema del tuo canto,

oggetto della lode.

    laudis thema specialis,

    panis vivus et vitalis

    hodie proponitur.

Veramente fu donato

agli apostoli riuniti

in fraterna e sacra cena.

   Quem in sacræ mensæ coenæ,

    turbæ fractrum duodenæ

    datum non ambigitur.

Lode piena e risonante,

gioia nobile e serena

sgorghi oggi dallo spirito.

    Sit laus plena, sit sonora,

    sit jucunda, sit decora

    mentis jubilatio.

Questa è la festa solenne

nella quale celebriamo

la prima sacra cena.

    Dies enim solemnis agitur,

    in qua mensæ prima recolitur

    Hujus institutio.

E il banchetto del nuovo Re,

nuova, Pasqua, nuova legge;

e l’antico è giunto a termine.

    In hac mensa novi Regis,

    novum Pascha novæ legis,

       phase vetus terminat.

Cede al nuovo il rito antico,

la realtà disperde l’ombra:

luce, non più tenebra.

    Vetustatem novitas,

    umbram fugat veritas,

    noctem lux eliminat.

Cristo lascia in sua memoria

ciò che ha fatto nella cena:

noi lo rinnoviamo,

    Quod in coena Christus gessit,

    faciendum hoc expressit

    in sui memoriam.

Obbedienti al suo comando,

consacriamo il pane e il vino,

ostia di salvezza.

    Docti sacris institutis,

    panem, vinum in salutis

    consecramus hostiam.

È certezza a noi cristiani:

si trasforma il pane in carne,

si fa sangue il vino.

    Dogma datur christianis,

    Quod in carnem transit panis,

       Et vinum in sanguinem.

Tu non vedi, non comprendi,

ma la fede ti conferma,

oltre la natura.

    Quod non capis, quod non vides,

    animosa firmat fides,

    Præter rerum ordinem.

È un segno ciò che appare:

nasconde nel mistero

realtà sublimi.

      Sub diversis speciebus,

   signis tantum, et non rebus,

      latent res eximiæ.

Mangi carne, bevi sangue;

ma rimane Cristo intero

in ciascuna specie.

    Caro cibus, sanguis potus:

    manet tamen Christus totus

       sub utraque specie.

Chi ne mangia non lo spezza,

né separa, né divide:

intatto lo riceve.

    A sumente non concisus,

    non confractus, non divisus:

    integer accipitur.

Siano uno, siano mille,

ugualmente lo ricevono:

mai è consumato.

    Sumit unus, sumunt mille:

    quantum isti, tantum ille:

    Nec sumptus consumitur.

Vanno i buoni, vanno gli empi;

ma diversa ne è la sorte:

vita o morte provoca.

    Sumunt boni, sumunt mali:

    sorte tamen inæquali,

    vitæ vel interitus.

Vita ai buoni, morte agli empi:

nella stessa comunione

ben diverso è l’esito!

    Mors est malis, vita bonis:

    Vide paris sumptionis

    quam sit dispar exitus.

Quando spezzi il sacramento

non temere, ma ricorda:

Cristo è tanto in ogni parte,

quanto nell’intero.

    Fracto demum sacramento,

    ne vacille, sed memento

    tantum esse sub fragmento,

È diviso solo il segno

non si tocca la sostanza;

nulla è diminuito

della sua persona. ]

    Quantum tot tegitur.

    Nulla rei fit scissura:

    Signi tantum fit fractura,

    qua nec status, nec statura       

    signati minuitur.

Ecco il pane degli angeli,

pane dei pellegrini,

vero pane dei figli:

non dev’essere gettato.

    Ecce Panis Angelorum,

    factus cibus viatorum:

    vere panis flliorum,

    non mittendus canibus.

Con i simboli è annunziato,

in Isacco dato a morte,

nell’agnello della Pasqua,

nella manna data ai padri.

    In figuris præsignatur,

    cuni Isaac immolatur,

    Agnus Paschæ deputatur,

    datur manna patribus.

Buon pastore, vero pane,

o Gesù, pietà di noi:

nutrici e difendici,

portaci ai beni eterni

nella terra dei viventi.

    Bone pastor, panis vere,

    Jesu, nostri miserere:

    Tu nos pasce, nos tuere,

    tu nos bona fac videre

    in terra viventium.

Tu che tutto sai e puoi,

che ci nutri sulla terra,

conduci i tuoi fratelli

alla tavola del cielo

nella gioia dei tuoi santi.

    Tu qui cuncta seis et vales,

    qui nos pascis hic mortales:

    Tuos ibi commensales,

    coheredes et sodales

    fac sanctorum civium.

      Amen. (Alleluia).

Vangelo  Gv 6, 51-58

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse alla folla:

«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».

Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».