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Sesto ciclo

Anno liturgico B (2017-2018)

Solennità e feste

Corpus Domini

(3 giugno 2018)

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Es 24, 3-8;  Sal 115;  Eb 9, 11-15;  Mc 14, 12-16. 22-26

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Dal punto di vista storico, furono le visioni di Giuliana di Cornillon, monaca agostiniana di Liegi, ad avere un influsso decisivo nell’introduzione di questa festività, che per la prima volta si celebrò nella diocesi di Liegi nel 1247. Urbano IV, già arcidiacono di Liegi e confessore di Giuliana, la prescrisse per tutta la Chiesa nel 1264.

La celebrazione di oggi verte tutta sul tema dell’alleanza nelle sue tre dimensioni: la dimensione celebrativa-sacrificale, la dimensione misterica o sacramentale, la dimensione escatologica. L’alleanza sinaitica, che la lettura del cap. 24 del libro dell’Esodo commenta, è sigillata dall’aspersione con il sangue degli animali uccisi per l’olocausto e dall’obbedienza del popolo che si dichiara pronto a eseguire ciò che il Signore aveva comandato e che Mosè fa conoscere loro. Tra l’altro, l’espressione singolare con cui il libro dell’Esodo riporta la volontà del popolo (“Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto”, Es 25,7), è stata interpretata dalla Tradizione come la norma di intelligenza delle Scritture e della crescita spirituale: metto in pratica e comprendo, faccio e ascolto (ascolto, cioè, l’ispirazione interiore del comandamento, impossibile da cogliere senza la disponibilità a praticarlo, per la fiducia in Colui la cui promessa di vita è iscritta nella parola che mi rivolge). Quella alleanza sinaitica, che si compie definitivamente nella nuova alleanza, spiegata dalla seconda lettura tratta dalla lettera agli Ebrei, è sigillata nel sangue di Gesù. La nuova alleanza, nella sua dimensione misterica, è celebrata con gli apostoli nel Cenacolo ed è sigillata con il dono del Corpo e del Sangue di Gesù, oramai vero cibo e vera bevanda per l’accesso al Regno di Dio. Così che la comunione con Dio, frutto della nuova alleanza, è sigillata dalla fraternità in Cristo dei discepoli, vissuta nell’amore vicendevole, come annuncio del Regno.

La celebrazione eucaristica è animata proprio dalla tensione al Regno che i discepoli sono chiamati ad annunciare al mondo, radicati in Cristo, nell’attesa del compimento ultimo nel regno dei cieli. Come proclama la colletta: “Signore, Dio vivente, guarda il tuo popolo radunato intorno a questo altare, per offrirti il sacrificio della nuova alleanza; purifica i nostri cuori, perché alla cena dell’Agnello possiamo pregustare la Pasqua eterna della Gerusalemme del cielo”. Pensiero ripreso nella orazione dopo la comunione: “Donaci, Signore, di godere pienamente della tua vita divina nel convito eterno che ci hai fatto pregustare in questo sacramento del tuo Corpo e del tuo Sangue”.

La parte innica della liturgia è frutto dell’intelligenza del mistero da parte di s. Tommaso d’Aquino con i suoi componimenti Pange lingua e Lauda Sion, largamente usati dalla Chiesa nella sua devozione eucaristica. Sono però soprattutto i tre prefazi che suggeriscono le porte di accesso allo splendore di questa festa.

Il primo si incentra sul memoriale del sacrificio: viene celebrato il mistero d’amore di Dio per l’uomo, che nel sacramento continuamente si ripresenta perché ognuno vi possa essere immesso e in esso rimanere.

Il secondo celebra l’eucaristia come vincolo di unità e perfezione: “in questo grande mistero tu nutri e santifichi i tuoi fedeli, perché una sola fede illumini e una sola carità riunisca l’umanità diffusa su tutta la terra. E noi ci accostiamo a questo sacro convito, perché l’effusione del tuo Spirito ci trasformi a immagine della tua gloria”. È il mistero della santità come mistero di fraternità realizzata, a immagine della Trinità. La vita eterna che il sacramento ci procura è la vita nello Spirito che ci fa vivere un cuor solo e un’anima sola, nella lode di Dio; un assaggio di paradiso.

Il terzo celebra l’eucaristia come pegno di risurrezione: “nell’eucaristia, testamento del suo amore, egli si fa cibo e bevanda spirituale per il nostro viaggio verso la Pasqua eterna. Con questo pegno della risurrezione finale partecipiamo nella speranza alla mensa gloriosa del tuo regno”. È la celebrazione del mistero del Regno. Il principio di fondo, illustrato dai Padri nella spiegazione della preghiera del Padre nostro, è semplice: su quello che sarà e che non verrà mai meno va orientata la nostra esistenza. Accedere alla mensa del Corpo e Sangue di Cristo vuol dunque dire imparare a percepire ciò che soddisfa il cuore dell’uomo e a vivere del Dono di Dio, fino a che la verità di questo appaia finalmente al nostro cuore in tutto il suo splendore.

Tre sono i verbi significativi che ricorrono nei prefazi: “… a te per primo si offrì vittima di salvezza”, “in questo grande mistero tu nutri e santifichi”. “Si offrì” vuol dire ‘non si tirò indietro’, ‘non preferì nulla all’amore che lo consumava dentro’, ‘svelò tutta la sua passione d’amore per il Padre e per gli uomini’. In quell’offrirsi non è accentuato tanto la natura riparatrice del suo sacrificio quanto lo splendore dell’amore del Padre che tanto ha amato gli uomini da dare quel suo Figlio unigenito, su cui era posto tutto il suo compiacimento. Il nutrire (il suo Corpo si fa pane di vita, il suo Sangue bevanda di salvezza) allude al fatto che comunica la forza del suo amore che risana e vivifica, rendendoci capaci di percorrere la via per il Regno. Il santificare allude alla potenza di trasfigurazione dello Spirito che ci fa vivere in Cristo e di Cristo fino a che tutto di noi parli di Lui. La cosa straordinaria è che la tensione del santificare non mira che al mistero della fraternità, l’unico segno inequivocabile della presenza di Dio, dello splendore della sua gloria. Quando preghiamo che ci trasformi a immagine della sua gloria, in effetti, chiediamo di poter essere immessi nel mistero d’amore della Trinità da cui deriva la fraternità tra gli uomini. Il segno più eloquente di quell’amore e dello spazio nuovo di fraternità che ne deriva per gli uomini è la dicitura ‘re della gloria’ posta sul capo del Crocifisso.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

Prima Lettura  Es 24, 3-8

Dal libro dell’Esodo

In quei giorni, Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose a una sola voce dicendo: «Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo!».

Mosè scrisse tutte le parole del Signore. Si alzò di buon mattino ed eresse un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d’Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrifi­care giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore.

Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l’altra metà sull’altare. Quindi prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto».

Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!».

Salmo Responsoriale  dal Salmo 115

Alzerò il calice della salvezza  e invocherò il nome del Signore.

Che cosa renderò al Signore,

per tutti i benefici che mi ha fatto?

Alzerò il calice della salvezza

e invocherò il nome del Signore.

Agli occhi del Signore è preziosa

la morte dei suoi fedeli.

Io sono tuo servo, figlio della tua schiava:

tu hai spezzato le mie catene.

A te offrirò un sacrificio di ringraziamento

e invocherò il nome del Signore.

Adempirò i miei voti al Signore

davanti a tutto il suo popolo.

Seconda Lettura  Eb 9, 11-15

Dalla lettera degli Ebrei

Fratelli, Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione. Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna.

Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio – purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente?

Per questo egli è mediatore di un’alleanza nuova, perché, essendo intervenuta la sua morte in riscatto delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che era stata promessa.

 

SEQUENZA

 

[ Sion, loda il Salvatore,

la tua guida, il tuo pastore

con inni e cantici.

 

    Lauda Sion Salvatorem,

    lauda ducem et pastorem,

    in hymnis et canticis.

 

Impegna tutto il tuo fervore:

egli supera ogni lode,

non vi è canto che sia degno.

 

    Quantum potes, tantum aude:

    quia major omni laude,

    nec laudare sufficis,

 

Pane vivo, che dà vita:

questo è tema del tuo canto,

oggetto della lode.

 

    laudis thema specialis,

    panis vivus et vitalis

    hodie proponitur.

 

Veramente fu donato

agli apostoli riuniti

in fraterna e sacra cena.

 

   Quem in sacræ mensæ coenæ,

    turbæ fractrum duodenæ

    datum non ambigitur.

 

Lode piena e risonante,

gioia nobile e serena

sgorghi oggi dallo spirito.

 

    Sit laus plena, sit sonora,

    sit jucunda, sit decora

    mentis jubilatio.

 

Questa è la festa solenne

nella quale celebriamo

la prima sacra cena.

 

    Dies enim solemnis agitur,

    in qua mensæ prima recolitur

    Hujus institutio.

 

E il banchetto del nuovo Re,

nuova, Pasqua, nuova legge;

e l’antico è giunto a termine.

 

    In hac mensa novi Regis,

    novum Pascha novæ legis,

       phase vetus terminat.

 

Cede al nuovo il rito antico,

la realtà disperde l’ombra:

luce, non più tenebra.

  

    Vetustatem novitas,

    umbram fugat veritas,

    noctem lux eliminat.

 

Cristo lascia in sua memoria

ciò che ha fatto nella cena:

noi lo rinnoviamo,

 

    Quod in coena Christus gessit,

    faciendum hoc expressit

    in sui memoriam.

 

Obbedienti al suo comando,

consacriamo il pane e il vino,

ostia di salvezza.

 

    Docti sacris institutis,

    panem, vinum in salutis

    consecramus hostiam.

 

È certezza a noi cristiani:

si trasforma il pane in carne,

si fa sangue il vino.

 

    Dogma datur christianis,

    Quod in carnem transit panis,

       Et vinum in sanguinem.

 

Tu non vedi, non comprendi,

ma la fede ti conferma,

oltre la natura.

 

    Quod non capis, quod non vides,

    animosa firmat fides,

    Præter rerum ordinem.

 

È un segno ciò che appare:

nasconde nel mistero

realtà sublimi.

 

      Sub diversis speciebus,

   signis tantum, et non rebus,

      latent res eximiæ.

 

Mangi carne, bevi sangue;

ma rimane Cristo intero

in ciascuna specie.

 

    Caro cibus, sanguis potus:

    manet tamen Christus totus

       sub utraque specie.

 

Chi ne mangia non lo spezza,

né separa, né divide:

intatto lo riceve.

 

    A sumente non concisus,

    non confractus, non divisus:

    integer accipitur.

 

Siano uno, siano mille,

ugualmente lo ricevono:

mai è consumato.

 

    Sumit unus, sumunt mille:

    quantum isti, tantum ille:

    Nec sumptus consumitur.

 

Vanno i buoni, vanno gli empi;

ma diversa ne è la sorte:

vita o morte provoca.

 

    Sumunt boni, sumunt mali:

    sorte tamen inæquali,

    vitæ vel interitus.

 

Vita ai buoni, morte agli empi:

nella stessa comunione

ben diverso è l’esito!

 

    Mors est malis, vita bonis:

    Vide paris sumptionis

    quam sit dispar exitus.

 

Quando spezzi il sacramento

non temere, ma ricorda:

Cristo è tanto in ogni parte,

quanto nell’intero.

 

    Fracto demum sacramento,

    ne vacille, sed memento

    tantum esse sub fragmento,

 

È diviso solo il segno

non si tocca la sostanza;

nulla è diminuito

della sua persona. ]

 

    Quantum tot tegitur.

    Nulla rei fit scissura:

    Signi tantum fit fractura,

    qua nec status, nec statura       

    signati minuitur.

 

Ecco il pane degli angeli,

pane dei pellegrini,

vero pane dei figli:

non dev’essere gettato.

 

    Ecce Panis Angelorum,

    factus cibus viatorum:

    vere panis flliorum,

    non mittendus canibus.

 

Con i simboli è annunziato,

in Isacco dato a morte,

nell’agnello della Pasqua,

nella manna data ai padri.

 

    In figuris præsignatur,

    cuni Isaac immolatur,

    Agnus Paschæ deputatur,

    datur manna patribus.

 

Buon pastore, vero pane,

o Gesù, pietà di noi:

nutrici e difendici,

portaci ai beni eterni

nella terra dei viventi.

 

    Bone pastor, panis vere,

    Jesu, nostri miserere:

    Tu nos pasce, nos tuere,

    tu nos bona fac videre

    in terra viventium.

 

Tu che tutto sai e puoi,

che ci nutri sulla terra,

conduci i tuoi fratelli

alla tavola del cielo

nella gioia dei tuoi santi.

 

    Tu qui cuncta seis et vales,

    qui nos pascis hic mortales:

    Tuos ibi commensales,

    coheredes et sodales

    fac sanctorum civium.

      Amen. (Alleluia).

 

Vangelo  Mc 14, 12-16. 22-26

Dal vangelo secondo Marco

Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».

Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».

I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.

Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».

Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.