Sesto ciclo
Anno liturgico B (2017-2018)
Solennità e feste
Santissima Trinità
(27 maggio 2018)
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Dt 4,32-34.39-40; Sal 32; Rm 8,14-17; Mt 28,16-20
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L’antifona di ingresso della liturgia di oggi esprime molto bene il senso della confessione di fede nella Trinità: “Sia benedetto Dio Padre, e l’unigenito Figlio di Dio, e lo Spirito Santo: perché grande è il suo amore per noi”. È la stessa cosa che proclamano i beati in paradiso: “La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello” (Apoc 7,10). Corrisponde alla comprensione di Dio da parte degli uomini secondo la definizione giovannea: Dio è amore (1Gv 4,8). Come a dire: ora sappiamo per esperienza che il Dio che conosciamo è un Dio pieno di amore per noi! Ora ammiriamo la sua gloria nel vedere che Lui è tutto in tutti.
Lo proclama la prima lettura del Deuteronomio, presa dal primo discorso di Mosè al popolo, a conclusione della sua traversata del deserto, in procinto di entrare nella terra promessa. Sono tutte persone che non hanno visto nulla di quello che Mosè sta raccontando perché coloro che sono stati liberati dalla schiavitù dell’Egitto e hanno assistito alla rivelazione di Dio sul Sinai sono tutti morti nel deserto. Sono lì ad ascoltare i loro figli e Mosè li incalza con due potenti ‘ragionamenti’. È mai successo che un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco e sia rimasto vivo? Oppure, si è mai visto da qualche parte che un dio andasse a scegliersi un popolo combattendo per lui e liberandolo dalla schiavitù? Sono le due ‘evidenze’, la rivelazione al Sinai e la liberazione dall’Egitto, che Mosè ricorda per convincere la sua gente a seguire il Signore. Ecco, confessare il proprio Signore significa proclamare l’esperienza di quelle due evidenze. Certo, noi oggi non abbiamo naturalmente una concezione di Dio così viva da pensare che la cosa più prodigiosa sia effettivamente la sua conoscenza, l’esperienza del suo aiuto. Ma comprendiamo bene i nostri padri che di quella concezione sono stati i testimoni primi.
Proclamare la Trinità significa, prima di tutto, aver accolto la testimonianza di Gesù, aver riconosciuto che in lui si è rivelato lo splendore dell’amore del Padre per noi, con lo Spirito Santo che ci apre il cuore a quella rivelazione. Proclamando il Credo, nella liturgia, diciamo: benedico colui che ha fatto questo e questo per me, accetto di rispondere all’alleanza che ha voluto offrirmi, sono suo servo, erede delle sue promesse e fruitore del suo regno. La proclamazione delle Scritture come la celebrazione liturgica sono percepite come memoriale dell’iniziativa di Dio per l’uomo, il quale è chiamato a riconoscere l’amore di Dio per lui nella sua storia che diventa sacra, storia di salvezza.
Ed è caratteristico che il brano di vangelo, il quale riporta la confessione di fede battesimale, insista su due aspetti strettamente correlati: mentre fa leva sul fatto che il Signore Gesù ci accompagnerà lungo la storia, fino alla fine dei tempi, invita ad annunciare al mondo quello che Gesù ha insegnato e trasmesso. Intimità e missione, ecco i due perni della fede. Fede rivolta al Signore Gesù, ma radicata nel mistero di intimità di Gesù con il Padre e testimoniata nella missione al mondo con il dono dello Spirito, che guida i discepoli a fare esperienza dell’amore di Dio.
Quando Gesù aveva promesso lo Spirito, l’aveva descritto come colui che ci avrebbe guidati a tutta la verità (cfr Gv 16,13). Il che significa: farà vivere ogni circostanza nella logica di quell’amore del Padre che Gesù ci ha fatto conoscere, non permettendo che ci possa essere evento capace di mortificare quella esperienza.
Non bisogna dimenticare che l’invocazione del Padre come Abbà, così tipica della fede nel Padre di Gesù, che ce lo ha rivelato nel suo volto di misericordia, sulle labbra di Gesù compare solo nella sua preghiera al Getsemani (Mc 14,36), cioè nel momento più angoscioso della sua vita terrena. Le altre due volte, nel Nuovo Testamento, che compare quell’appellativo, è messo sulle labbra dei credenti come proferito dallo Spirito Santo nei nostri cuori: “Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà! Padre!” (Rm 8,15); “Che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre!” (Gal 4,6). Non posso non pensare che la circostanza nella quale quell’invocazione sgorgherà più potente sarà quella nella quale la prova opprimerà. L’intimità sta insieme all’angoscia perché così è stato per Gesù e così sarà per la nostra umanità, chiamata alla mensa dell’amore di Dio, insieme a tutti i fratelli. Gesù, che è sempre con noi, ci innesta nel suo movimento di rivelazione al mondo dell’amore di Dio, riunendo tutti alla stessa mensa, perché tutti chiamati allo stesso destino. Questo comporta la proclamazione della fede nella Trinità.
Rifacendomi ai versi di Dante, poeta del paradiso, avverrà anche per noi quello che è avvenuto per lui nella sua ascesa verso Dio:
Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo
cominciò, ‘gloria!’, tutto ‘l paradiso,
sì che m’inebriava il dolce canto.
Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
de l’universo; per che mia ebbrezza
intrava per l’udire e per lo viso (Par XXVII).
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]
Prima Lettura Dt 4, 32-34. 39-40
Dal libro del Deuteronòmio
Mosè parlò al popolo dicendo: «Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te: dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra e da un’estremità all’altra dei cieli, vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l’hai udita tu, e che rimanesse vivo?
O ha mai tentato un dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo a un’altra con prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso e grandi terrori, come fece per voi il Signore, vostro Dio, in Egitto, sotto i tuoi occhi?
Sappi dunque oggi e medita bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra: non ve n’è altro.
Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandi che oggi ti do, perché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te e perché tu resti a lungo nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà per sempre».
Salmo Responsoriale Dal Salmo 32
Beato il popolo scelto dal Signore.
Retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
Egli ama la giustizia e il diritto;
dell’amore del Signore è piena la terra.
Dalla parola del Signore furono fatti i cieli,
dal soffio della sua bocca ogni loro schiera.
Perché egli parlò e tutto fu creato,
comandò e tutto fu compiuto.
Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.
L’anima nostra attende il Signore:
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo.
Seconda Lettura Rm 8, 14-17
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!».
Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.
Vangelo Mt 28, 16-20
Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono.
Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».