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Ottavo ciclo

Anno liturgico B (2023-2024)

Tempo di Pasqua

IV Domenica di Pasqua

(21 aprile 2024)

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At 4,8-12;  Sal 117 (118);  1Gv 3,1-2;  Gv 10,11-18

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Gesù si definisce il buon pastore (in greco si usa l’aggettivo bello a indicare bellezza e verità del suo essere buono). Non parla ai discepoli, ma alla gente, ai farisei. Questi sono infastiditi per il miracolo del cieco nato perché se, da una parte, non possono negare il miracolo, dall’altra, non vogliono riconoscere l’identità di colui che l’ha operato. Gesù riprende il discorso con loro con l’immagine, prima della porta e poi del pastore, ma senza riuscire a scalfire la loro resistenza, tanto che alla fine decidono di catturarlo, pur senza riuscirci. La cosa strana sarà che, più tardi, nel tempio, espliciteranno la motivazione del loro rifiuto: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio» (Gv 10,33). Questo è appunto ciò che non comprendono, cioè che Gesù manifesta l’amore del Padre nell’unico modo che lo caratterizza, quello della spogliazione di sé e proprio in questo si fa Dio.

L’aveva già annunciato con l’immagine della porta. Lui è la porta che introduce alla comunione della gioia dell’amore del Padre: “io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). È l’abbondanza messianica, quel ‘di più’ che solo il Messia poteva ottenerci e tale che sopravanza ogni tipo di merito, perché ciò che riempie il cuore dell’uomo è solo questa sovrabbondanza che proviene da lui e non la giustizia che proviene dalle nostre opere. Quella porta è detta ‘stretta’, perché l’uomo con fatica abbandona la sua pretesa di giustizia per far posto a tale sovrabbondanza. Ma è una strettezza che prelude al passaggio della vita, proprio come per un bambino, il quale, per nascere, deve passare per la porta stretta.

Con l’immagine del buon pastore Gesù allude al come ci ha gratificato della vita in abbondanza, dandoci cioè la sua. Il testo evangelico, a dire la verità, è più preciso. Non dice semplicemente che dà la vita per noi, ma che la mette a disposizione, la cede, la depone. L’espressione risale al passo di Mc 10,43-45: “Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”. L’espressione di Marco è coniata sul passo messianico di Is 53,12: “ha spogliato se stesso fino alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli”. La frase può essere resa in modo più appropriato: ‘ha consegnato se stesso alla morte’, ‘ha versato la sua vita nella morte’.

Ecco il punto allora. Gesù, uomo, si fa Dio? Ebbene, può essere riconosciuto tale proprio perché ha spogliato se stesso e sta tutto nella manifestazione dello splendore dell’amore del Padre per noi. L’allusione è che Gesù, che pone la sua vita per noi, va colto nel mistero del Padre che gli ha comandato questo, nel mistero dell’amore eterno di Dio per i suoi figli. Il passo significativo di riferimento è l’inno di Paolo nella sua lettera ai Filippesi: “egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome” (Fil 2,6-9). Non è vano ricordare la profezia di Zac 11,12-13, là dove il Signore è rifiutato dai suoi servi e la cui persona, come pastore del gregge, è valutata trenta sicli d’argento, lo stesso prezzo del tradimento di Giuda. Sarà appunto attraverso la sua passione e morte che, come dice Pietro, nella sua lettera, noi siamo ricondotti al pastore e custode delle nostre anime (1Pt 2,21-25). Possiamo riconoscerlo Dio, e perciò veritiero nelle sue parole, perché ha accettato di rinunciare ad ogni rivendicazione di gloria che non si riconduca allo splendore dell’amore del Padre per noi.

E quando Pietro dichiara: “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati” (At 4,12), vuole alludere alla dinamica di amore del Padre che ha accolto e raccolto tutti i suoi figli nell’unico Figlio, testimone del suo amore per noi. È una dichiarazione inclusiva, non esclusiva. Non vuol semplicemente dire che non ci si salva se non per mezzo della conoscenza diretta di Gesù, ma che ogni ricerca di salvezza, comunque sia vissuta dagli uomini, è mediata da Gesù, a lui si riferisce, perché a lui guarda il Padre, perché in lui riposa tutta la sua compiacenza, rivolta a noi in lui.

Ora, la ragione di amore del Padre per il Figlio, è la stessa ragione di amore che vale per i discepoli di Gesù. Gesù è amato dal Padre perché pone la sua vita per noi, così noi siamo amati da Gesù perché poniamo la nostra vita per i fratelli. Non è una ragione di merito, ma una ragione fontale, di sorgente. Vale a dire, possiamo scoprire l’amore di Dio nel fatto di porre la nostra vita per i fratelli e lo possiamo fare nell’energia di Colui che ce l’ottiene con la sua morte e risurrezione. Per questo Giovanni dice che Gesù è stato inviato e muore in croce “per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi” (Gv 11,52). Se Gesù è il buon pastore, lo è per questo.

E quando Gesù parla di altre pecore, che non gli appartengono ancora ma dell’unico ovile, allude al fatto che chi ancora non lo conosce, ne riconoscerà la voce nella parola dei discepoli inviati nel mondo ad annunciare la buona novella, che è lui stesso. Proprio colui che ha deposto la sua vita per riprenderla di nuovo, che ha versato la sua vita nella morte perché la morte non potesse ghermire più nessuno.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono tratti dal sito della Chiesa Cattolica italiana: chiesacattolica.it]

Prima Lettura  At 4,8-12

Dagli Atti degli Apostoli

In quei giorni, Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro:

«Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo, e cioè per mezzo di chi egli sia stato salvato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato.

Questo Gesù è la pietra che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo.

In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati».

Salmo Responsoriale Dal Sal 117 (118)

R. La pietra scartata dai costruttori è divenuta pietra d’angolo.

Rendete grazie al Signore perché è buono,

perché il suo amore è per sempre.

È meglio rifugiarsi nel Signore

che confidare nell’uomo.

È meglio rifugiarsi nel Signore

che confidare nei potenti. R.

Ti rendo grazie, perché mi hai risposto,

perché sei stato la mia salvezza.

La pietra scartata dai costruttori

è divenuta la pietra d’angolo.

Questo è stato fatto dal Signore:

una meraviglia ai nostri occhi. R.

Benedetto colui che viene nel nome del Signore.

Vi benediciamo dalla casa del Signore.

Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie,

sei il mio Dio e ti esalto.

Rendete grazie al Signore, perché è buono,

perché il suo amore è per sempre. R.

Seconda Lettura  1Gv 3,1-2

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo

Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.

Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.

Vangelo  Gv 10,11-18

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.

Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».