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Settimo ciclo

Anno liturgico C (2021-2022)

Tempo di Quaresima

Mercoledì delle Ceneri

(2 marzo 2022)

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Gl 2,12-18;  Sal 50;  2Cor 5,20-6,2;  Mt 6,1-6.16-18

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L’esortazione forte della quaresima alla conversione comporta un triplice movimento del cuore: “ritornate a me” (Gioele), “lasciatevi riconciliare con Dio” (s. Paolo), “imparate a rimanere nel segreto del cuore” (vangelo).

Con il rito delle ceneri, che sancisce la decisione del cuore di entrare nello spazio di conversione, i riferimenti delle Scritture si aprono a prospettive insospettate. Certamente ognuno di noi tende a sentirsi e a comportarsi come immortale e non è male che in qualche occasione ci si ricordi che la realtà non segue i nostri sogni (sei polvere e in polvere ritornerai). Ma il senso del rito celebrato ha tutta un’altra portata.

Ritorniamo al racconto della creazione di Adamo, quando Dio prese della polvere della terra, la plasmò e con il suo soffio la rese essere vivente. Nel salmo 50 si dice che Dio gradisce un cuore contrito. Il termine contrito, dal latino conterere, allude proprio a questo rendere polvere il cuore. Quando ci sentiamo afflitti, quando subiamo un’offesa o un’ingiustizia, quando subiamo una prova, senza ribellarci o adirarci, è come se il nostro cuore venisse pestato fino ad essere ridotto in polvere. È reso polvere quando non ha più diritti da accampare, da rivendicare. Allora, come polvere della terra, Dio lo può plasmare di nuovo e il nostro cuore rinasce come essere nuovo, capace di sentimenti nuovi, più umani e divini allo stesso tempo.

È il senso appunto della penitenza quaresimale: riconsegnare il nostro cuore a Dio perché possa essere di nuovo modellato da Lui. Come ci avverte il profeta Gioele: sarà possibile convertirsi al Signore senza spogliarsi delle vanità e illusioni del vivere quotidiano? Cercheremmo il Signore se potessimo soddisfarci con le nostre vanità e con i nostri soprusi? Ricordarci allora della nostra finitudine significa intravedere la possibile dignità della vita che scaturisce dall’incontro con il Dio vivente. In effetti, se impariamo a percepire il senso del mistero che viviamo, il cuore scoprirà nuove energie per viverlo fino in fondo e troverà finalmente quella gioia che cerca, nonostante non manchino i tormenti.

La prima parola della liturgia quaresimale suona: “Tu ami tutte le tue creature, Signore, e nulla disprezzi di ciò che hai creato; tu dimentichi i peccati di quanti si convertono e li perdoni, perché tu sei il Signore nostro Dio” (cfr. Sap 11,23-26, antifona d’ingresso). In questa professione di fede e di amore si innesta l’invito alla penitenza, tipica del tempo quaresimale. Salta agli occhi il contrasto tra l’austerità del cammino penitenziale quaresimale e la levità a cui la Chiesa esorta, sulla base delle parole di Gesù ai suoi discepoli: “E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un’aria disfatta … Invece, quando tu digiuni, profumati la testa e lavati il volto” (Mt 6,16.17). È il contrasto tra penitenza secondo gli uomini e conversione secondo Dio. Quale la ragione? La conversione è il ritorno a un’intimità, a un percepire sempre più intensamente la presenza di quel Dio che ci ha amati e che ci chiama al Suo amore; è un imparare a vedere le cose a partire da questa intimità con Dio. Scompare la scena sia esteriore che interiore. C’è scena dove non c’è intimità, dove non si riesce mai ad entrare nella camera segreta, a stare in compagnia di Dio senza servirci di tale presunta compagnia per altri scopi. La penitenza ha lo scopo appunto di toglierci da questa scena. E se non produce intimità vuol dire che non raggiunge lo scopo.

Il brano evangelico descrive l’atteggiamento penitenziale in tre ambiti: elemosina, preghiera e digiuno. La dimensione negativa è stigmatizzata nell’ipocrisia, mentre la dimensione positiva risulta sottolineata dalla capacità di relazionarsi al prossimo (l’elemosina, oltre che una sorta di restituzione, è un atto fraterno, una condivisione, un riconoscimento del prossimo come nostro fratello) e a Dio (la preghiera è abolizione del teatro, cioè del fare le cose per essere visti sia dagli altri che da se stessi; il digiuno serve come sostegno alla preghiera, all’agire interiore pulito e retto, contrassegnato dalla gioia del cuore che va incontro al proprio Dio e di conseguenza è libero di incontrare i suoi fratelli).

L’ipocrisia è la deviazione dello scopo di un’azione (la faccio per me piuttosto che per Dio) con l’aggravante del bisogno di fare teatro (faccio un’azione davanti agli uomini piuttosto che al cospetto di Dio). L’ipocrisia può essere soggettiva, vale a dire che perseguo scopi meschini e interessati nel compiere un’azione buona oppure semplicemente oggettiva, nel senso che io sono in buona fede, ma mi limito all’azione esteriore, senza coinvolgere la conversione del cuore. Una penitenza di questo tipo non solo non porta frutti secondo lo Spirito, ma macchia il cuore, nel senso che lo rende insensibile al mistero di Dio e dell’uomo. L’elemento che suggerisce meglio la corrispondenza dell’azione esteriore con la conversione interiore del cuore è appunto la gioia, quel senso di levità, di non seriosità con cui si compiono le buone opere, lontani da quel dannato senso di importanza che ci diamo o da quell’ottuso bisogno di affermazione presso gli altri che ci divora. È significativo che la chiesa, all’inizio del cammino quaresimale, ricordi proprio questa condizione di levità con cui occorre compiere tutte le opere di penitenza. È il modo più autentico per far rimarcare come le opere di penitenza non riguardino che la conversione del cuore e la conversione del cuore non consista in altro che in una capacità di fare incontro con Dio, con il prossimo, con noi stessi. La ricompensa promessa non ha nulla a che fare con la paga dovuta al lavoro fatto; riguarda solo la rivelazione e la pienezza che gusta il cuore quando viene incontrato da Qualcuno, di cui porta il desiderio, quando si apre alla vita di una relazione che trasforma totalmente il suo modo di vedere e di sentire. Questo significa entrare nella camera segreta, dove abita il Padre e dove il Padre, che vede nel segreto, ricompensa.

Un aspetto della penitenza risulta dall’esortazione di Paolo ad essere collaboratori di Dio, collaboratori al mistero della riconciliazione, perché gli uomini possano fare esperienza dell’amore di Dio. Fare le opere davanti agli uomini significa privare gli uomini dell’occasione di porsi davanti a Dio. Fare le opere davanti a Dio significa porsi dentro questo mistero di riconciliazione con tutto il bisogno dei nostri cuori di essere perdonati e di scambiarsi il perdono vicendevolmente, come segno dell’amore di Dio arrivato fino a noi. Ogni tipo di penitenza gradita a Dio ci ottiene l’inserimento in questo mistero di riconciliazione, dove, per la verità dell’amore provato, non c’è più spazio per la scena, nemmeno in noi stessi.

Come suggerimento di preghiera quaresimale, riporto la preghiera di s. Efrem, che nella tradizione bizantina si ripete nove volte al giorno in quaresima. Da sottolineare la finale: la preghiera non finisce con la richiesta della carità, ma della coscienza del proprio peccato e con l’impegno a non ferire il prossimo, condizioni essenziali per non perdere la carità mai.

Signore e Sovrano della mia vita,

non darmi uno spirito di pigrizia, di dissipazione, di predominio e di loquacità.

Dona invece al tuo servo

uno spirito di purità, di umiltà, di pazienza e di carità.

Sì, Re e Signore, fa’ che io riconosca i miei peccati e non giudichi mio fratello,

poiché tu sei benedetto nei secoli. Amen.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono tratti dal sito della Chiesa Cattolica italiana: chiesacattolica.it]

Prima Lettura  Gl 2,12-18

Dal libro del profeta Gioèle

Così dice il Signore:

«Ritornate a me con tutto il cuore,

con digiuni, con pianti e lamenti.

Laceratevi il cuore e non le vesti,

ritornate al Signore, vostro Dio,

perché egli è misericordioso e pietoso,

lento all’ira, di grande amore,

pronto a ravvedersi riguardo al male».

Chi sa che non cambi e si ravveda

e lasci dietro a sé una benedizione?

Offerta e libagione per il Signore, vostro Dio.

Suonate il corno in Sion,

proclamate un solenne digiuno,

convocate una riunione sacra.

Radunate il popolo,

indite un’assemblea solenne,

chiamate i vecchi,

riunite i fanciulli, i bambini lattanti;

esca lo sposo dalla sua camera

e la sposa dal suo talamo.

Tra il vestibolo e l’altare piangano

i sacerdoti, ministri del Signore, e dicano:

«Perdona, Signore, al tuo popolo

e non esporre la tua eredità al ludibrio

e alla derisione delle genti».

Perché si dovrebbe dire fra i popoli:

«Dov’è il loro Dio?».

Il Signore si mostra geloso per la sua terra

e si muove a compassione del suo popolo.

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 50

Perdonaci, Signore: abbiamo peccato.

Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;

nella tua grande misericordia

cancella la mia iniquità.

Lavami tutto dalla mia colpa,

dal mio peccato rendimi puro.

Sì, le mie iniquità io le riconosco,

il mio peccato mi sta sempre dinanzi.

Contro di te, contro te solo ho peccato,

quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto.

Crea in me, o Dio, un cuore puro,

rinnova in me uno spirito saldo.

Non scacciarmi dalla tua presenza

e non privarmi del tuo santo spirito.

Rendimi la gioia della tua salvezza,

sostienimi con uno spirito generoso.

Signore, apri le mie labbra

e la mia bocca proclami la tua lode.

Seconda Lettura  2 Cor 5,20-6,2

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Fratelli, noi, in nome di Cristo, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.

Poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti:

«Al momento favorevole ti ho esaudito

e nel giorno della salvezza ti ho soccorso».

Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!

Vangelo  Mt 6,1-6.16-18

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli.

Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipòcriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

E quando pregate, non siate simili agli ipòcriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipòcriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».