WORDPDF

Settimo ciclo

Anno liturgico B (2020-2021)

Tempo Ordinario

XXIX Domenica

(17 ottobre 2021)

___________________________________________________

Is 53,2a.3a.10-11;  Sal 32;  Eb 4.14-16;  Mc 10,35-45

___________________________________________________

Per la terza volta Gesù annuncia la sua passione descrivendola dettagliatamente, parole che la prima lettura riprende con il quarto carme del Servo del Signore nella visione del profeta Isaia. L’annuncio del profeta, però, non va ascoltato nella tragicità degli eventi dolorosi che fa intravedere, ma nella logica del salmo 32 che lo commenta, cantato come salmo responsoriale, a partire dal versetto 11: “Ma il disegno del Signore sussiste per sempre, i progetti del suo cuore per tutte le generazioni”. Il disegno del Signore, il disegno del suo amore per l’uomo dall’eternità, quello di cui domandiamo nel salmo: “Su di noi sia il tuo amore, Signore, come da te noi speriamo”, non è che l’abbassamento del Figlio, abbassamento nel cui spazio gli uomini sono collocati per apprendere l’amore del loro Dio, mentre tutti gli eventi della vita sono retti dalla Provvidenza di Dio che ci vuole partecipi del frutto che quell’abbassamento ci ha procurato. Questa rivelazione, tutta la liturgia oggi si premura di sottolineare con la solenne dichiarazione di Gesù: “il Figlio dell’uomo è venuto per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”, ripreso dal canto al vangelo.

La rivelazione di Gesù può essere così intesa: se su di noi è l’amore del Signore, non ci saranno più contese e divisioni tra noi, perché i cuori saranno conquistati alla sua gloria, cioè allo splendore del suo amore, che si rivela nel Cristo che patisce e muore per noi. Gesù spiega queste cose rispondendo al desiderio di gloria dei due discepoli, che sono, con Pietro, tra i preferiti. La richiesta dei due discepoli non procede da cuori vanesi o boriosi. Effettivamente sono discepoli che seguiranno il maestro fino alla fine e Gesù riconosce la loro lealtà. Non dimentichiamo che, insieme a Pietro, questi due discepoli sono quelli che hanno ricevuto un nome nuovo da Gesù, a differenza di tutti gli altri. Nell’elenco degli apostoli (cfr. Mc 3,16-19), Giacomo e Giovanni vengono subito dopo Pietro e sono denominati ‘Boanerghes’, figli del tuono. Insieme a Pietro, accompagnano Gesù nei momenti più significativi e misteriosi e hanno sentito la voce dal cielo: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!” (Mc 9,7). Sono presenti al Getsemani. E Gesù sa che sono disposti a seguirlo fin nella sua passione [di fatto Giacomo morì martire verso l’anno 44 a Gerusalemme, secondo At 12,2, mentre la tradizione che, fondandosi su questo passo, fa martire Giovanni è chiaramente posteriore. Anche in questo risalta la ‘misteriosità’ della parola di Dio: in che senso Giovanni ha bevuto il calice della passione, se non è morto martire?]. Eppure, la loro richiesta di sedere a fianco del Messia vittorioso è inaccoglibile e non certo per evitare la gelosia degli altri.

In poche parole, Gesù rifiuta ogni collegamento tra il desiderio di gloria e la sua sequela. Quel nesso è custodito da Dio solo. Non che non esista, ma guai a volerlo perseguire, perché ne scaturirebbe un fraintendimento colossale per i nostri cuori. La ragione profonda credo risieda nel fatto che ad attirare a Gesù è il Padre: “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato” (Gv 6,44). Essere mossi dal Padre significa condividere l’amore di benevolenza che in quel Figlio ci raggiunge e ci fa riposare. Non si può desiderare altro. Volere altro, volere la gloria per sé significa uscire da quella dinamica e fallire il compimento dei desideri del cuore. A questa assolutezza Gesù richiama e rimanda. È l’assolutezza che lui ha vissuto e che il profeta Isaia ben delinea nella sua profezia sul Servo del Signore, proclamato nella prima lettura.

Del resto si concatena bene a questa anche l’altra risposta di Gesù all’irritazione dei discepoli contro i due figli di Zebedeo:“…chi vuole diventare grande  tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”. La domanda di fondo suona: perché voler essere grandi comporta il servire? Di nuovo si è rimandati al mistero del Padre che attira al Figlio. Servire significa compiere quella ‘volontà di benevolenza’ del Padre nei confronti degli uomini che in Gesù si realizza perfettamente. Compiere la volontà di benevolenza significa far risplendere, comunque, in qualsiasi condizione, quell’amore di Dio per gli uomini in cui si radica la loro dignità e la loro libertà. Non per nulla Gesù si definisce come colui che serve e dà la propria vita in riscatto per molti. Non viene semplicemente detto che Gesù è il prezzo pagato per il nostro riscatto, ma più propriamente che la sua vita diventa fonte di vita per noi perché anche noi possiamo dare la nostra perché altri l’abbiano e a loro volta diventino capaci di darla. Si tratta di attivare il circolo virtuoso dell’amore. Qui non è sottolineata la generosità di chi si offre in sacrificio, ma la natura del sacrificio, che è quella di liberare la vita altrui, di far risplendere l’amore di Dio capace di dare la vita. Non è un’azione di merito, ma di mistica.

L’assoluta importanza della cosa risalta anche dal fatto che Gesù riprende l’ammonizione proprio nell’ultima cena, poco prima di subire la sua passione È proprio il servire a procurare questo riscatto: libera la dignità degli uomini e fa risplendere la presenza del Signore. E se non porta lì, allora vuol dire che il servire messo in atto sa troppo di questo mondo, sul quale esercita il suo potere il diavolo. Se non porta lì, vuol dire che il dinamismo del sacrificio di Gesù, dinamismo di amore sotto la duplice forma di docilità filiale verso Dio e di solidarietà fraterna aperta a tutti, non ci ha toccati. Ma se quel dinamismo non ci ha toccati, allora non siamo discepoli di Gesù e la nostra sequela di lui è illusoria. Occorre lasciare ogni tipo di potere e prestigio se si vuole condividere la grandezza dell’amore, che in Gesù splende di tutta la sua bellezza in umanità.

Nel brano di Marco, rispetto alla grandezza vale il servizio vicendevole (nel testo: sarà vostro servitore), rispetto al primato vale l’essere ultimi nel senso di essere schiavi di tutti (nel testo: sarà schiavo di tutti). Nell’ultima cena, Gesù si muove non solo come servitore, ma come schiavo e in questo rivela il segreto di Dio per l’uomo. Se l’uomo potesse condividere quel segreto, si troverebbe a muoversi come Gesù e vivrebbe la sua vita nella dinamica di liberare la dignità degli uomini in modo che sia esaltato l’amore di Dio per loro.

***

I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

Prima Lettura  Is 53,10-11

Dal libro del profeta Isaia

Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori.

Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione,

vedrà una discendenza, vivrà a lungo,

si compirà per mezzo suo la volontà del Signore.

Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce

e si sazierà della sua conoscenza;

il giusto mio servo giustificherà molti,

egli si addosserà le loro iniquità.

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 32

Donaci, Signore, il tuo amore:

in te speriamo.

Retta è la parola del Signore

e fedele ogni sua opera.

Egli ama la giustizia e il diritto;

dell’amore del Signore è piena la terra.

Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,

su chi spera nel suo amore,

per liberarlo dalla morte

e nutrirlo in tempo di fame.

L’anima nostra attende il Signore:

egli è nostro aiuto e nostro scudo.

Su di noi sia il tuo amore, Signore,

come da te noi speriamo.

Seconda Lettura  Eb 4, 14-16

Dalla lettera agli Ebrei

Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato.

Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.

Vangelo  Mc 10, 35-45

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».

Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».

Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi cori Giacomo e Giovanni. Allora [Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».]