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Settimo ciclo

Anno liturgico B (2020-2021)

Tempo di Natale

Santa Famiglia

(27 dicembre 2020)

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Gn 15,1-6; 21,1-3;  Sal 104;  Eb 11,8.11-12.17-19;  Lc 2,22-40

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È significativo che la tradizione non celebri l’incarnazione del Figlio di Dio in generale, ma dentro una singola famiglia della famiglia umana. Per quanto misteriosa e singolare questa famiglia, è proprio a questa famiglia che tutte le altre famiglie possono guardare per comprendere e vivere il loro stesso mistero.

La liturgia di oggi contempla il mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio sottolineandone gli aspetti di veracità storica. Dio si fa uomo in un determinato popolo, dentro una determinata storia, rispettando certe regole: la mamma si dovrà purificare, il bambino ebreo dovrà essere circonciso, gli si darà un nome, sarà presentato al tempio e vivrà in una famiglia che gli assicurerà la crescita e l’educazione.

Due sono i personaggi che introducono a questa contemplazione: Abramo e Simeone. Proprio di Abramo Gesù dirà: “Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia” (Gv 8,56). E Simeone esultante proclama, prendendo tra le sue braccia il bambino Gesù: “i miei occhi hanno visto la tua salvezza”. Quando o come Abramo avrà potuto vedere il giorno di Gesù? L’ha visto profeticamente alla nascita di Isacco, il figlio della promessa, avuto in vecchiaia, ma soprattutto dopo aver riavuto il suo Isacco, amatissimo, allorché il Signore gli impedisce di sacrificarlo e gli fa trovare l’ariete per l’olocausto sul monte Moria (cfr Gn 22). E l’ha visto nella sua discendenza, in Simeone, che da Abramo deriva e che ha tenuto Gesù bambino nelle sue braccia. L’esultanza di Abramo attraversa tutta la sua discendenza per giungere a compiersi in Simeone e da Simeone risale indietro fino a ricadere sullo stesso Abramo.

Il testo del vangelo di Luca che narra della presentazione al tempio di Gesù è ricco di particolari misteriosi, particolari che tradiscono la contemplazione di un mistero, velato ma percepibile. Luca parla della loro purificazione: ma solo la mamma era tenuta a purificarsi dopo il parto (cfr. Lev 12,1-8). Non c’è nessuna legge che prescrive di portare il bambino al tempio. La Legge di Mosè prescrive di consacrare e riscattare ogni primogenito (cfr Es 13); Luca, citando quella norma, ne modifica l’espressione dicendo che ‘ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore’ ed usa le stesse parole dell’angelo Gabriele quando reca l’annunzio a Maria. Come a sottolineare: Gesù non ha bisogno di essere consacrato al Signore e non deve essere riscattato; anzi, lui è il Consacrato, il Cristo di Dio; lui sarà il riscatto per il suo popolo, per l’intera umanità. In lui si concentra tutto il senso della storia sacra perché compie in verità quello che nella Legge veniva descritto in simbolo: Gesù è il primogenito diletto che compie il sacrificio di Isacco, come lui è il vero pane celeste che era prefigurato nella manna.

Simeone, che aspettava la consolazione di Israele, figura di tutta l’umanità in attesa, ha ricevuto la promessa che non avrebbe visto la morte prima di aver veduto il Messia del Signore, cioè colui stesso che era la consolazione di Israele, colui nel quale tutte le attese di consolazione si sarebbero compiute. E siccome si sarebbero compiute attraverso la passione della croce, Simeone vede la spada di dolore che trafiggerà la mamma di quel bambino, non solo in ragione del suo dolore di mamma, e nemmeno solo in ragione della sofferenza della divisione nel suo popolo che sperimenta in se stessa in tutta la sua tragedia, ma anche e soprattutto in ragione della sua solidarietà con il Figlio Redentore e con l’Amore del Padre che così perdutamente testimonia la sua dilezione per gli uomini.

Ma anche la visione di Simeone, come quella di Abramo, come del resto la visione di ogni credente, è una visione profetica. Tiene il bambino Gesù in braccio e vede avanti, vede in spirito, sente il mistero di quel bambino venuto a compiere tutte le attese: “Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele”. È il cantico che la chiesa innalza a compieta, tutti i giorni, come a riprova che l’esito dei nostri giorni mortali non può che risolversi in questa contemplazione di Dio. Eppure, le parole di Simeone hanno un’altra forza. Potremmo tradurle così: Signore, ora che ho potuto trattenere una tua parola, fa che sia sciolto da ogni legame che impedisce a questa parola di esprimere la sua potenza di salvezza, che impedisce al mio cuore di goderne la potenza e possa cominciare a vivere in quella pace che compie la mia attesa ed anche la tua! Sì, perché non è soltanto l’uomo ad aspettare la consolazione, è anche Dio e la consolazione di Dio è la condivisione della sua gioia e della sua pace con noi. Come dirà Gesù nella sua preghiera al Padre per noi: “perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia” (Gv 17,13).

Il riferimento del ritorno a Nazaret, dove il bambino cresce in sapienza e grazia, allude al mistero di Dio che si compie nell’ordinarietà della vita. È la fede che permette agli occhi del cuore di leggere la vita quotidiana nella sua trasparenza divina. In effetti, la realizzazione di sé, come diremmo oggi, passa per l’assunzione di un compito di grazia che fa dell’obbedienza a Dio, nel cammino di fedeltà all’assolvimento di tutto ciò che un tal compito comporta nel concreto delle situazioni, la porta dell’amore. Porta, che può essere intravista solo se gli occhi del cuore ‘vedono’ quanto basta per non tirarsi indietro, come è stato per Maria e Giuseppe, come è stato per Abramo, per Simeone e per Anna.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

Prima Lettura  Gn 15, 1-6; 21, 1-3

Dal libro della Genesi

In quei giorni, fu rivolta ad Abram, in visione, questa parola del Signore: «Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande». Rispose Abram: «Signore Dio, che cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Elièzer di Damasco». Soggiunse Abram: «Ecco, a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede». Ed ecco, gli fu rivolta questa parola dal Signore: «Non sarà costui il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede».

Poi lo condusse fuori e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza».

Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.

Il Signore visitò Sara, come aveva detto, e fece a Sara come aveva promesso. Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella vecchiaia, nel tempo che Dio aveva fissato. Abramo chiamò Isacco il figlio che gli era nato, che Sara gli aveva partorito.

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 104

Il Signore è fedele al suo patto.

Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome,

proclamate fra i popoli le sue opere.

A lui cantate, a lui inneggiate,

meditate tutte le sue meraviglie.

Gloriatevi del suo santo nome:

gioisca il cuore di chi cerca il Signore.

Cercate il Signore e la sua potenza,

ricercate sempre il suo volto.

Ricordate le meraviglie che ha compiuto,

i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca,

voi, stirpe di Abramo, suo servo,

figli di Giacobbe, suo eletto.

Si è sempre ricordato della sua alleanza,

parola data per mille generazioni,

dell’alleanza stabilita con Abramo

e del suo giuramento a Isacco.

Seconda Lettura  Eb 11, 8.11-12.17-19

Dalla lettera agli Ebrei

Fratelli, per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava.

Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare.

Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: «Mediante Isacco avrai una tua discendenza». Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo.

Vangelo  Lc 2,22-40

Dal vangelo secondo Luca

[Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, (Maria e Giuseppe) portarono il bambino (Gesù) a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.]

Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:

«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo

vada in pace, secondo la tua parola,

perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,

preparata da te davanti a tutti i popoli:

luce per rivelarti alle genti

e gloria del tuo popolo, Israele».

Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».

C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.

[Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.]