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Settimo ciclo

Anno liturgico A (2019-2020)

Tempo Ordinario

XXXII Domenica

(8 novembre 2020)

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Sap 6,12-16;  Sal 62;  1Ts 4,13-18;  Mt 25,1-13

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La parabola delle dieci vergini è riportata solo da Matteo, preoccupato di custodire la freschezza della fede nella comunità dei credenti, dove non valgono ruoli o meriti che garantiscano automaticamente la partecipazione al banchetto messianico. Le ultime tre domeniche dell’anno liturgico presentano tre immagini di Dio: quella dello sposo, del padrone e del giudice, a fronte della vita dell’uomo che si gioca nella profondità dei desideri, nell’esercizio di una responsabilità e nella maturità di un frutto che diventa criterio di discernimento dell’autenticità di una vita ben spesa.

La pressante esortazione con cui si chiude la parabola: “Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora” (Mt 25,13) fa da eco al grido con cui ha inizio la proclamazione del vangelo sia sulla bocca di Giovanni Battista che di Gesù: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 3,2; 4,17). Matteo si fa premura del fatto che, una volta accolto il movimento di conversione e aver incontrato Gesù, non è scontato viverne la dinamica di salvezza che si è prodotta. Ci si può perdere in questioni di prestigio personale, di lotte fraterne, di supremazie rivendicate e, comunque, in negligenza e perdita di entusiasmo.

Non per nulla la preghiera dopo la comunione della messa di oggi dice: “la forza dello Spirito Santo, che ci hai comunicato in questi sacramenti, rimanga in noi e trasformi tutta la nostra vita”. Sì, perché non è scontato che lasciamo che quella forza trasformi la nostra vita. Prima dell’ascensione al cielo, Gesù promette ai suoi discepoli, di essere investiti proprio da quella forza perché possano vivere da testimoni suoi fino ai confini della terra: “riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra” (At 1,8). Ecco, la parabola delle dieci vergini rivela, da una parte, che è in azione quella forza dello Spirito nella nostra vita di credenti per essere testimoni nel mondo di Gesù e, dall’altra, che si può restare impermeabili all’azione di quella forza, che si può spegnere in noi lo Spirito.

Non è però strano questo atteggiamento del cuore perché il Signore, che ha promesso la sua presenza, spesso non si sente; che ha promesso di venire presto, ritarda e si fa aspettare. Se la parabola invita alla vigilanza è perché l’anima può perdersi dietro illusioni fascinose ma inconsistenti. La Sapienza, nella prima lettura, proclama che facilmente è contemplata da chi l’ama. Il che significa che la sapienza è connaturale al cuore dell’uomo, creato per godere di Dio. E se l’uomo deve constatare che nel concreto non è per nulla facile trovare la sapienza, a dispetto di quanto dice il libro della Sapienza, ciò significa che il desiderio di lei, la vigilanza sul desiderio di lei è venuta meno. Questo la parabola vuole scongiurare.

Suona invece strano che nella parabola si parli di nozze senza parlare della sposa, perché sono nozze speciali, le nozze del Figlio dell’Uomo: con Lui l’umanità è ormai unita a Dio. È l’evento più gioioso della storia che sbocca nella condivisione della gioia di Dio stabilmente goduta nel suo regno, segno di quell’amore che ci ha raggiunti e lievitati dal di dentro. Per questo la vita non può essere che un uscire incontro a. Le vergini escono incontro allo sposo, come Abramo esce dalla sua terra, come Israele esce dall’Egitto. È la vocazione della vita da viversi come un continuo uscire da per andare incontro a. Ciò significa che la vita non la si possiede, ma la si riceve, continuamente. Ciò comporta la fatica di separarsi da qualcosa per poter godere l’avventura sacra della vita.

L’immagine dello sposo e delle vergini allude al mistero di intimità tra Dio e l’uomo, unico motivo di storia seria per l’anima alle prese con i suoi desideri. La divisione in due gruppi delle vergini allude alla doppia possibilità concessa all’anima: a tale incontro ci si può predisporre con intelligenza o con stoltezza, in modo conveniente o in modo sbadato. Matteo aveva già parlato di questa doppia possibilità a proposito di chi costruisce la sua casa sulla roccia o sulla sabbia (cfr. Mt 7,24-27).

La parabola è raccontata come immagine di ciò che avverrà alla fine ma per mostrare ciò che avviene quotidianamente nella nostra storia terrena in rapporto al desiderio del cuore di godere pienezza, perché è nella storia terrena che noi giochiamo il desiderio del cielo. Non per nulla la punta della parabola è proprio la vigilanza, vale a dire quell’attenzione del cuore a far convergere sul vero obiettivo i desideri del cuore perché possano trovare pienezza. L’ammonizione finale invita a stare pronti, da intendersi secondo l’immagine di predisporre le lampade con l’olio, immagine che corrisponde all’altro invito di Gesù a far splendere le nostre opere buone. Non semplicemente però nel fare le opere buone, ma nel far sì che le nostre opere facciano splendere l’amore di Dio per il mondo, che in Gesù, Sposo, si svela in tutta la sua bellezza. L’olio corrisponde a quell’amore fraterno, frutto dell’agire dello Spirito e nello Spirito, che san Paolo descrive nell’inno alla carità in 1Cor 13. Potremmo fregiarci di altre grandezze o altri vanti rispetto agli uomini, ma davanti a Dio non conterebbero nulla e ci farebbero restare con le lampade spente, con il cuore vuoto.

Come molto significativamente spiega Gregorio di Nissa che paragona le vergini stolte alla pratica virtuosa che non porta i frutti dello Spirito enumerati dall’apostolo in Gal 5,22-23: « … nelle loro anime non c’era la luce, frutto della virtù, e nel loro pensiero non c’era il lume dello Spirito. Giustamente, quindi, la Scrittura le ha chiamate stolte: in loro la virtù si era spenta prima ancora che giungesse lo Sposo, e per questo lo Sposo tenne fuori le misere dalla camera nuziale celeste; fece bene a non prendere in considerazione il loro impegno nella verginità, giacché non si faceva sentire in loro l’attività dello Spirito».

In primo piano dunque non è l’impegno di una vita buona, ma il frutto di quell’impegno, che corrisponde ai desideri del cuore, vale a dire la solidarietà con lo Spirito del Signore, la possibilità di intimità con il Signore che per primo ci ha amati e nel cui Volto il cuore desidera fissare gli sguardi. Come dice s. Francesco di Assisi: “Avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione”. Se l’attesa è questa, tutta la vita sarà giocata nella vigilanza a che nulla e nessuno possa impedire quello sguardo, a che nulla e nessuno possa separarci da quell’amore, nonostante i sonni e gli addormentamenti che inevitabilmente ci sorprenderanno.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

Prima Lettura  Sap 6,12-16

Dal libro della Sapienza

La sapienza è splendida e non sfiorisce,

facilmente si lascia vedere da coloro che la amano

e si lascia trovare da quelli che la cercano.

Nel farsi conoscere previene coloro che la desiderano.

Chi si alza di buon mattino per cercarla non si affaticherà,

la troverà seduta alla sua porta.

Riflettere su di lei, infatti, è intelligenza perfetta,

chi veglia a causa sua sarà presto senza affanni;

poiché lei stessa va in cerca di quelli che sono degni di lei,

appare loro benevola per le strade

e in ogni progetto va loro incontro.

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 62

Ha sete di te, Signore, l’anima mia.

O Dio, tu sei il mio Dio,

dall’aurora io ti cerco,

ha sete di te l’anima mia,

desidera te la mia carne

in terra arida, assetata, senz’acqua.

Così nel santuario ti ho contemplato,

guardando la tua potenza e la tua gloria.

Poiché il tuo amore vale più della vita,

le mie labbra canteranno la tua lode.

Così ti benedirò per tutta la vita:

nel tuo nome alzerò le mie mani.

Come saziato dai cibi migliori,

con labbra gioiose ti loderà la mia bocca.

Quando nel mio letto di te mi ricordo

e penso a te nelle veglie notturne,

a te che sei stato il mio aiuto,

esulto di gioia all’ombra delle tue ali.

Seconda Lettura  1 Ts 4,13-18

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési

[ Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti. ]

Sulla parola del Signore infatti vi diciamo questo: noi, che viviamo e che saremo ancora in vita alla venuta del Signore, non avremo alcuna precedenza su quelli che sono morti. Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, che viviamo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti insieme con loro nelle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così per sempre saremo con il Signore.

Confortatevi dunque a vicenda con queste parole.

Vangelo  Mt 25, 1-13

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:

«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.

A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.

Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.

Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».