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Settimo ciclo

Anno liturgico A (2019-2020)

Tempo Ordinario

XX Domenica

(16 agosto 2020)

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Is 56, 1.6-7;  Sal 66;  Rm 11, 13-15.29-32;  Mt 15, 21-28

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Il tema della liturgia di oggi è l’ingresso dei pagani nell’alleanza del Signore: a tutti si rivolge la salvezza operata dal Signore. Come l’annuncia il profeta Isaia: “… il mio tempio si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli”. Con il capitolo 56 inizia la terza parte del libro di Isaia. Siamo a Gerusalemme, pochi decenni dopo la tragedia dell’esilio, in attesa che la promessa di liberazione si compia. La visione del profeta non riguarda però semplicemente la liberazione dall’esilio, ma la valenza profetica di quella liberazione: sarà estesa a tutti i popoli; tutti, pagani e eunuchi (categoria di persone che erano escluse dal culto in Israele), tutti potranno godere della misericordia di Dio, tanto che il Dio di Israele non sarà più indicato come il Dio che trasse Israele dall’Egitto, come il Dio che liberò Israele dall’esilio, ma come il Dio che raduna il suo popolo ‘da tutte le nazioni’.

A dire il vero, siamo piuttosto abituati a considerare l’universalità della salvezza del Signore nella sua dimensione storica: da una persona a tutto un popolo (Abramo e Israele), da un popolo a tutti i popoli (Israele e le genti). Comporta però anche una dimensione personale. Il che significa: se io ho accolto l’alleanza del Signore, non tutto di me l’ha accolta; se io ho accolto la buona novella, non tutto di me è stato evangelizzato e poco a poco l’insieme di me deve poter godere dei beni di questa alleanza. Se le mie qualità e virtù mi riportano al Signore, anche i miei difetti e peccati devono potermi riportare a Lui attraverso il pentimento. Se un pensiero buono mi svela qualcosa del mio Signore, mi introduce nella sua intimità, anche un pensiero cattivo cela qualcosa da scoprire per il mio cuore in rapporto al Signore, e così un mio peccato, una mia debolezza. “Tutti i confini della terra” del salmo 66 alludono proprio alla totalità degli aspetti che ci compongono e ci strutturano: tutti appartengono al Signore, tutti sono destinati a essere riportati al Signore.

Il brano del vangelo lo mostra splendidamente. I pagani sarebbero entrati nell’Alleanza non con la predicazione o i miracoli, ma attraverso la morte redentrice di Gesù. L’ora però non era ancora giunta e Gesù respinge sulle prime la richiesta della donna cananea. Era ancora il tempo riservato alle pecore perdute della casa di Israele. Ma allora perché Gesù cede all’insistenza della donna, come se lui fosse costretto ad accelerare, ad anticipare la sua ora? Era già successo con la richiesta del centurione (cfr. Mt 8), che Gesù aveva esaudito. Ma qui Gesù sembra alzare il prezzo, sembra voler accentuare una distanza, una inopportunità che tende a suonare ai nostri occhi, oltre che sgradevole, dura e irrispettosa. Non è però stato così per la donna cananea che non recede, non si fa intimidire, ha la risposta pronta, nella quale Gesù vede la fede del suo cuore, a cui non resiste. Addirittura, si potrebbe pensare che la fede della cananea faccia presagire alla coscienza di Gesù l’orizzonte universale della salvezza, che solamente più tardi si farà evidente. La donna, da pagana, sa che può contare sulla generosità di Dio, sebbene sia perfettamente cosciente di non poter avanzare alcun titolo di pretesa. Non solo, ma sa che nel banchetto messianico il pane sarà così in sovrabbondanza che lei si può accontentare delle briciole, sebbene Gesù alla fine le dà proprio il pane dei figli.

La particolarità dell’atteggiamento della cananea sta in quel grido ‘Signore figlio di Davide’ dove compare tutto lo stridore della distanza tra lei, pagana e quel profeta, ebreo. Non minimizza la distanza, la sottolinea, la rimarca e quando Gesù le rinfaccia che non si dà il pane ai cagnolini (i pagani erano chiamati ‘cani’ dai giudei), non si lamenta e non si ritrae sdegnata del paragone, sviluppa anzi il paragone a suo favore. Riconosce che non ha diritto a quel pane, ma che per la sua sovrabbondanza alcune briciole possono cadere anche per lei. Grande era la sua fiducia in quel profeta e nello stesso tempo era priva di qualsiasi pretesa.

La fede della cananea proveniva poi dall’urgenza del suo bisogno. Non vedeva altri rimedi, troppo era l’amore per sua figlia e allora perché non rivolgersi a quel ‘profeta’ di cui sentiva dire cose meravigliose, sebbene non possedesse alcun titolo per trovare soddisfazione?

L’aspetto misterioso che va colto è il fatto che fiducia e indegnità vanno di pari passo, mentre normalmente, nelle dinamiche interiori che possiamo osservare, tendiamo a separarle. Invece l’una è custode dell’altra, l’una dice la sincerità dell’altra. Davanti al Signore il nostro cuore è come la donna cananea. È vero, noi siamo nella grazia, abbiamo già incontrato il Signore, ma tutto di noi non è ancora nella luce del suo vangelo. Per molti aspetti siamo cananei, pagani. E possiamo trovare accesso al Signore, Salvatore nostro, solo come la donna cananea, dove la fiducia nella potenza di Gesù sta in stretta compagnia con la coscienza della propria indegnità e l’urgenza del bisogno di guarigione e di vita. L’insincerità del nostro cuore, quello che indebolisce la nostra fede e l’annacqua, è la pretesa di trovar soddisfazione comunque. È la debolezza dell’israelita ‘fariseo’ che crede di avere la vita perché Dio gliela deve. In questo modo non scoprirà nulla e il miracolo non avverrà.

Ci si avvicina a Dio più si ha coscienza di essere peccatori e meno scusanti si adducono ai propri guai. Quando finiremo di giustificarci accusando gli altri, gli eventi, il mondo, allora saremo sinceri davanti a Dio e scopriremo che Dio non potrà resistere al nostro grido perché indegnità e fiducia accelereranno la sua manifestazione di grazia al nostro cuore. Manifestazione che avverrà secondo l’invocazione dell’antica colletta: “O Dio, che hai preparato beni invisibili per coloro che ti amano, infondi in noi la dolcezza del tuo amore, perché, amandoti in ogni cosa e sopra ogni cosa, otteniamo i beni da te promessi, che superano ogni desiderio”. La chiesa insegna a pregare con insistenza presso il Signore al fine di provare nel cuore, non semplicemente l’amore, ma la dolcezza del suo amore, perché sa che non è agevole credere che i beni del Signore, non solo rispondono ai nostri desideri, ma li precedono e li sopravanzano! Sarà quella ‘dolcezza’, gustata almeno una volta, a convincere il cuore a stare nella pazienza e nella fiducia, a dispetto della nostra evidente indegnità.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

Prima Lettura  Is 56, 1.6-7

Dal libro del profeta Isaia

Così dice il Signore:

«Osservate il diritto e praticate la giustizia,

perché la mia salvezza sta per venire,

la mia giustizia sta per rivelarsi.

Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo

e per amare il nome del Signore,

e per essere suoi servi,

quanti si guardano dal profanare il sabato

e restano fermi nella mia alleanza,

li condurrò sul mio monte santo

e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera.

I loro olocausti e i loro sacrifici

saranno graditi sul mio altare,

perché la mia casa si chiamerà

casa di preghiera per tutti i popoli».

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 66

Popoli tutti, lodate il Signore.

Dio abbia pietà di noi e ci benedica,

su di noi faccia splendere il suo volto;

perché si conosca sulla terra la tua via,

la tua salvezza fra tutte le genti.

Gioiscano le nazioni e si rallegrino,

perché tu giudichi i popoli con rettitudine,

governi le nazioni sulla terra.

Ti lodino i popoli, o Dio,

ti lodino i popoli tutti.

Ci benedica Dio e lo temano

tutti i confini della terra.

Seconda Lettura  Rm 11, 13-15.29-32

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani

Fratelli, a voi, genti, ecco che cosa dico: come apostolo delle genti, io faccio onore al mio ministero, nella speranza di suscitare la gelosia di quelli del mio sangue e di salvarne alcuni. Se infatti il loro essere rifiutati è stata una riconciliazione del mondo, che cosa sarà la loro riammissione se non una vita dai morti?

Infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!

Come voi un tempo siete stati disobbedienti a Dio e ora avete ottenuto misericordia a motivo della loro disobbedienza, così anch’essi ora sono diventati disobbedienti a motivo della misericordia da voi ricevuta, perché anch’essi ottengano misericordia.

Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti!

Vangelo  Mt 15, 21-28

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola.

Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».

Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».

Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.