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Settimo ciclo

Anno liturgico A (2019-2020)

Tempo di Pasqua

II Domenica

(19 aprile 2020)

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At 2,42-47;  Sal 117;  1Pt 1, 3-9;  Gv 20, 19-31

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Se ascoltiamo la proclamazione del vangelo dall’invito della lettera di Pietro ai cristiani percepiremmo più nitidamente l’intensità e la forza della confessione di Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. È appena scoppiata a Roma la persecuzione di Nerone contro i cristiani. Siamo nell’anno 64. Forse è lo stesso anno in cui trova la morte lo stesso Pietro (alcuni la datano all’anno 67). Nel 66 scoppia la ribellione a Gerusalemme e Nerone manda Vespasiano e Tito a ristabilire l’ordine in Palestina. Nel 70 è incendiato il tempio di Gerusalemme e nel 73 cade Masada, l’ultimo baluardo della resistenza. La comunità romana dei cristiani è violentemente perseguitata. E Pietro scrive: “Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva … Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove … Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui” (1Pt 1,3.6.8). Sulla bocca di quei cristiani, perseguitati ma gioiosi, risuonano potenti le parole del salmo responsoriale: “Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre”. Quella letizia, nelle prove e nelle afflizioni sopportate per il nome di Gesù, rivela l’onda lunga della straordinaria confessione di Tommaso, che è diventata la confessione di tutti i credenti in Cristo: “Mio Signore e mio Dio”. Potente e intima. La confessione di fede più solenne (è l’unico passo in tutto il vangelo in cui Gesù è chiamato ‘mio Dio’) e più intima (dove il cuore di ciascuno è implicato nel modo più personale). Tutta la narrazione evangelica tende a portare il possibile lettore a quella confessione.

La prima lettera di Pietro lo dice chiaro riferendosi a coloro che sono venuti alla fede dopo gli apostoli: “voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa” (1Pt 1,8). Per cogliere a fondo il senso si dovrebbe però tradurre: ‘senza averlo visto, voi l’amate; senza vederlo ancora, ma credendo in lui, voi trasalite di gioia’. L’espressione si riferisce a noi, che siamo venuti dopo l’epoca apostolica. L’accento non è più posto tanto sul ‘vedere’ ma sulla ‘fede’ che permette il vedere in modo da avere la vita, la stessa vita che scorre nel Figlio di Dio, morto e risorto. Si passa dalla gioia della presenza ‘vista’ (apparizioni del risorto agli apostoli) alla gioia della presenza percepita (celebrazione dell’eucaristia) fino alla letizia nello Spirito quando si dovrà soffrire per il nome di Cristo perché la sua pace conquisti il mondo intero e la gioia dell’essere in lui riveli a tutti lo splendore dell’amore di Dio per gli uomini.

Teniamo presente che nel racconto evangelico non si tratta tanto di riconoscere che Gesù è davvero risorto, quanto piuttosto di restare intimamente coinvolti nel dinamismo di un rapporto che porta vita e cambia tutto, perché Lui ormai è sempre con noi. Se Tommaso, che non era stato presente alla prima apparizione di Gesù, non vuol credere ai suoi compagni, non è per mancanza di fede, ma per eccesso di zelo, come ben si attaglia al suo personaggio, fervido e coraggioso. Ha preso sul serio la storia con Gesù e non vuole alcuna illusoria consolazione. Vuole Gesù e basta. Non vuole essere semplicemente informato della verità dell’evento, vuole la presenza di Colui di cui si certifica che è vivo. Parla con foga. Non dice che vuol semplicemente toccare Gesù (non è un fantasma) ma che vuol ficcare il dito e la mano nelle sue ferite (il risorto è davvero il crocifisso). Quando Gesù si ripresenta una settimana dopo, si rivolge a lui con le sue stesse parole. Noi traduciamo: metti il dito, metti la mano …, ma il testo è più espressivo: getta, ficca il dito, ficca la mano nel mio fianco. Tommaso vuole vedere, non Gesù, ma il segno dei chiodi nelle sue mani; vuole ficcare il suo dito, la sua mano, proprio nelle ferite del corpo di Gesù. Vuole come sincerarsi che il Risorto è proprio il suo Maestro, quello che hanno trattato in modo così ignominioso e crudele. E quando Gesù gli sta davanti, Tommaso non ha bisogno di alcuna comprova (di ficcare cioè il dito e la mano nelle ferite), perché evidentemente Gesù gli ha letto i pensieri, ha ascoltato il suo sfogo davanti ai compagni e, sopraffatto, riesce solo a sussurrare: “Mio Signore e mio Dio”. La frase conclusiva di Gesù: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” è spesso letta come un rimprovero nei suoi confronti, ma niente autorizza a leggerla così. Tommaso ha semplicemente avuto quello che è stato concesso agli altri apostoli e la cosa risponde alla promessa di Gesù nell’ultima cena: “Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi” (Gv 14,19-20).

Perché però Gesù proclama beati quelli che non hanno visto e hanno creduto? La narrazione evangelica ha presente non semplicemente la cronaca degli eventi pasquali, ma la storia dei credenti. Finirà il tempo di una certa ‘visione’, come finirà il tempo dei testimoni oculari sulla cui autorevolezza coloro che verranno dopo continueranno a credere al Signore Gesù. Quello che non finisce, perché continua eterno il giorno fatto dal Signore, è la possibilità reale dell’incontro, è la percezione della Presenza in mezzo al suo popolo, a cui il dono della pace fa riferimento e di cui la gioia è il segnale per eccellenza.

È interessante osservare la successione dei comportamenti pasquali di Gesù come sono narrati nel vangelo di Giovanni. Quando appare la sera di Pasqua ai discepoli tutti riuniti (eccetto Tommaso, di cui però viene ripresa la testimonianza con l’apparizione la domenica successiva) Gesù, prima dona la sua pace, la pace messianica, quella capace di attraversare ogni afflizione possibile perché l’amore del Signore è invincibile; poi invia i discepoli nel mondo, a prosecuzione del suo invio al mondo perché tutti conoscano l’amore del Padre; poi soffia su di loro lo Spirito per il perdono dei peccati. La pace è in rapporto al segno dei chiodi e alla ferita del costato (è la pace pasquale, che deriva dall’agnello immolato, che invita a far dono di sé perché quella pace tutti conquisti); l’invio nel mondo è in rapporto alla missione di Gesù (adombrata dal fatto che lo Spirito, di cui è ripieno al battesimo nel Giordano, lo spinge nel deserto e lo conduce a consegnarsi alla passione perché l’amore di Dio possa splendere su tutto); il dono dello Spirito è in rapporto alla adozione a figli con il perdono dei peccati (Dio non è mai stato separato da noi ma noi possiamo vivere separati da Dio e dai fratelli, cosa che costituisce la sostanza del peccato. Se veniamo perdonati, ritroviamo la possibilità della nostra dignità di figli, che vivono secondo i sentimenti del Padre, il quale vuole tutti alla mensa del suo amore). Se Gesù risorge, vuol dire che il peccato non ha più potere definitivo sul cuore dell’uomo, che può vivere della vita del Risorto, cioè di quell’amore che non può più essere mortificato da nulla. Credere in Gesù per avere la vita, questa è la confessione di fede nel Risorto, lo stesso che ha patito per noi. La prima comunità cristiana di questo è testimone nel mondo.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

Prima Lettura  At 2,42-47

Dagli Atti degli Apostoli

Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli.

Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno.

Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo.

Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 117

Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre.

Celebrate il Signore, perché è buono,

perché eterna è la sua misericordia.

Dica Israele che egli è buono:

eterna è la sua misericordia.

Dica Israele:

«Il suo amore è per sempre».

Dica la casa di Aronne:

«Il suo amore è per sempre».

Dicano quelli che temono il Signore:

«Il suo amore è per sempre».

Mi avevano spinto con forza per farmi cadere,

ma il Signore è stato il mio aiuto.

Mia forza e mio canto è il Signore,

egli è stato la mia salvezza.

Grida di giubilo e di vittoria

nelle tende dei giusti:

la destra del Signore ha fatto prodezze.

La pietra scartata dai costruttori

è divenuta la pietra d’angolo.

Questo è stato fatto dal Signore:

una meraviglia ai nostri occhi.

Questo è il giorno che ha fatto il Signore:

rallegriamoci in esso ed esultiamo!

Seconda Lettura  1 Pt 1, 3-9

Dalla prima lettera di san Pietro apostolo

Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, in vista della salvezza che sta per essere rivelata nell’ultimo tempo.

Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco –, torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime.

Vangelo  Gv 20, 19-31

Dal vangelo secondo Giovanni

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.

Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.