Lectio quotidiana

5 aprile – Domenica delle Palme

Chi è costui?». E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea».

  non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi.

  Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?

  svuotò se stesso assumendo una condizione di servo

  disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». 

  Quando Matteo racconta l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme si preoccupa di annotare come Gesù compia le profezie. Si riferisce al profeta Zaccaria dando all’ingresso in città di Gesù il sapore messianico regale e al profeta Malachia la successiva purificazione del tempio. Gesù è un re mite, pacifico, cavalca un’asina e non un cavallo, non viene a conquistare, compie le promesse di Dio. Mentre però tutti esultano e Gesù acconsente a tale esultanza, nessuno si avvede di quello che sta succedendo. È un ingresso per la passione, non per la gloria. Solo Gesù lo sa. Il racconto evangelico letto per disteso sembra suggerire che almeno due personaggi presagiscono il segreto di Gesù e lo accompagnano, tanto che la liturgia di oggi invita ad ascoltare la narrazione della passione con il cuore di questi due personaggi: Bartimeo, il cieco di Gerico, l’ultima tappa di Gesù prima di salire a Gerusalemme, quando inaspettatamente lo chiama: Rabbunì, termine che designa una intimità con un maestro (il termine affiora alle labbra della Maddalena quando riconosce Gesù risorto, un termine che rivela un mondo!). Appena guarito il cieco segue Gesù e presagisce il suo segreto. Come anche Maria di Betania che onora (e Gesù lo interpreta in relazione alla sua morte) con l’ungere i suoi piedi con un unguento preziosissimo. Ecco, con gli occhi di questi due personaggi seguiamo Gesù nel suo cammino di passione.

Prima del racconto della passione,la liturgia fa leggere il terzo canto del servo di Jahvé dove la descrizione dei tormenti a cui sarà sottoposto appare come la cronaca precisa di quello che Gesù subisce. E poi il brano di Paolo della sua lettera ai Filippesi che riporta la meditazione dei primi cristiani sulla figura diGesù: Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo. La vicenda di Gesù è colta come un rinunciare alla gloria divina per assumere la nostra umanità. Non solo, ma Gesù vive la sua umanità nello stesso movimento di svuotamento, di rinuncia cioè alla gloria,perché da uomo si fa servo, da servo schiavo e schiavo degli schiavi (a questo allude la lavanda dei piedi). Due sono i momenti nevralgici del racconto della passione: al Getsemani, quando Gesù si affida al Padre nella sua tristezza di morte neanche ha il sostegno dei suoi tre amici che non reggono al dramma e si addormentano invece di vegliare; sulla croce, quandoGesù affida al Padre tutti prima di morire: Padre,perdona,perché non sanno quello che fanno. Sono i due momenti che mostrano il fondo della sua umanità, così intimo con ilPadre da condividere il suo amore per noi comunque e così solidale con noi da non separarsi mai da noi, perché su tutto prevalga e tutti conquisti l’immenso amore del Padre. È l’esito dell’aver ascoltato con tenerezza la proclamazione della passione di Gesù.


6 aprile – Lunedì Santo

Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni

  Salve, nostro Re:

tu solo hai compassione di noi peccatori.

  Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo.

  I primi giorni della settimana santa preparano il cuore a partecipare alla passione/morte/risurrezione diGesù che costituirà il mistero della celebrazione del Triduo sacro, i tre giorni più significativi in assoluto di tutta la storia dell’uomo. Viene letto il profeta Isaia nei tre brani del Servo di Jahvé, profezia diretta della passione di Gesù. Il brano di oggi comincia con il versetto: Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Il versetto è ripreso nella rivelazione al Tabor quando Gesù si trasfigura e la voce dal cielo proclama: questi è l’amato, l’eletto, in cui ho posto il mio compiacimento, ascoltatelo! È anche ripreso sul Calvario, con Gesù crocifisso, ma a modo di scherno: I capi invece lo deridevano dicendo: “Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto. Ciò che costituisce il segreto di Dio nel suo amore per l’uomo diventa motivo di scherno. Quale indurimento dei cuori! Quale cecità! La colletta di oggi ben descrive il nostro cuore: Guarda, Dio onnipotente, l’umanità sfinita per la sua debolezza mortale, e fa’ che riprenda vita per la passione del tuo unico Figlio. 

Quella durezza di cuore che ci costringe alla cecità rispetto al mistero della vita è superata da Maria, la sorella di Lazzaro, che in una cena in onore del suo amico e maestro unge i piedi di Gesù con un unguento molto prezioso (a giudicare dal costo, 300 denari, molto costoso) e asciugandoglieli con i suoi capelli. Evidentemente il profumo si espande per tutta la casa e siccome il vangelo non descrive mai semplicemente per far sapere ma per illustrare il mistero che viene significato, i Padri hanno letto in quel profumo il pentimento del cuore dell’uomo. Quel pentimento ha che fare con la tenerezza per Gesù di cui si percepisce tutto l’amore in quel suo dare la vita per noi. Per questo il gesto della sua amica Gesù lo mette in relazione alla sua morte. Maria onora il corpo di Gesù ‘dato per noi’. E laChiesa vede in quell’onorare la persona di Gesù il simbolo del pentimento, l’atteggiamento che scioglie l’indurimento e la cecità del cuore per aprirsi al segreto di Dio. Con gli occhi di Maria, a Betania, siamo invitati ad accompagnare Gesù nella sua passione.


7 aprile – Martedì Santo

Mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria

  Salve, nostro re, obbediente al Padre:

sei stato condotto alla croce,

come agnello mansueto al macello.

  Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lu…. Pietro disse: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!».

  Oggi la chiesa,, che ha sempre davanti agli occhi il suo maestro condotto alla croce come agnello al macello, fa pregare: Concedi a questa tua famiglia, o Padre, di celebrare con fede i misteri della passione del tuo Figlio, per gustare la dolcezza del tuo perdono. Accompagna a questa esperienza: gustare la dolcezza del perdono. E il perdono si ottiene contemplando il Signore crocifisso. Con le letture di oggi la liturgia ci avvicina al mistero di quell’uomo crocifisso per noi. La prima lettura proclama il secondo canto del servo di Jahvé: su di lui Dio manifesterà la sua gloria che consisterà nel fatto di portare la salvezza fino agli estremi confini della terra. Tutte le genti troveranno in lui la salvezza che cercano. Nell’antica versione greca del testo ebraico si legge: in te sarò glorificato. È Dio a parlare. In quel Servo suo lui sarà riconosciuto il Dio dell’amore, in lui splenderà per sempre tutta la grandezza dell’amore suo per noi. È esattamente quello che dice Gesù nell’ultima cena dopo che Giuda è uscito per andare a consegnare Gesù. La narrazione di Giovanni è rivelatrice anche solo considerando la successione degli eventi dell’ultima cena. Gesù ha appena lavato i piedi agli apostoli (c’è anche Giuda). Poi commenta il suo gesto invitando tutti a fare come lui. Lui sa che quel gesto è espressione della sua disponibilità a morire e si turba pensando che proprio uno dei suoi discepoli, che ha vissuto con lui, che ha goduto del suo lavargli i piedi, proprio uno di loro lo tradirà. Giuda esce e Gesù commenta: ora Dio è glorificato in me. Ora tutti vedranno lo splendore del suo amore nel fatto di porre la mia vita per voi. Solo dopo, Gesù consegna il suo comandamento di amarsi vicendevolmente. Ciò significa che l’amore vicendevole è il profumo del dono della vita da parte di Gesù per noi, è la conseguenza della rivelazione della gloria di Dio in Gesù e come tale deve essere vissuto dai discepoli. Ma per realizzare questo Gesù deve prima morire, andare là dove nessuno può ancora raggiungerlo. Ed è a questo punto che interviene Pietro: Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te! Gesù accetta l’amore di Pietro ma sa che di lì a poco anche Pietro lo tradirà e glielo preannuncia. Il valore delle sue parole però sta in questo: Pietro, non puoi fare una cosa che io non ho ancora fatto per te. Quando io l’avrò fatta, allora anche tu diventerai capace di farla. Spesso noi diciamo, come Pietro, che diamo la vita al Signore. Ma Gesù non chiede la vita dei suoi discepoli per lui. È lui che dà la vita ai suoi discepoli. Quello che chiede, in base al suo esempio, è che i discepoli diano la vita per i loro fratelli in modo che l’amore di Dio splenda in questo mondo.


8 aprile – Mercoledì Santo

tu hai voluto che il Cristo tuo Figlio

subisse per noi il supplizio della croce

  Ho presentato il mio dorso ai flagellatori,

  Mi aspettavo compassione, ma invano,

consolatori, ma non ne ho trovati.

Mi hanno messo veleno nel cibo

e quando avevo sete mi hanno dato aceto.

   Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?»

  La liturgia di oggi anticipa la crudezza della passione che Gesù vivrà e che costituirà l’oggetto specifico del Triduo sacro. La colletta fa memoria del supplizio della croce. La prima lettura descrive quel supplizio con il terzo canto del Servo di Jahvé che fornisce dettagli precisi: flagellazione, sputi e insulti. Particolari che vengono ripresi con il salmo responsoriale, il salmo 68 (69): insulti, vergogna, aceto da bere. E nel più completo abbandono perché nessuno ha compassione di lui, nessuno lo consola. Non solo quindi tormenti fisici, ma anche morali. Il brano evangelico si inserisce in questa descrizione del tormento dell’anima di Gesù con il racconto del tradimento di Giuda secondo la narrazione di Matteo. Non si tratta solo del fatto materiale del tradimento, ma del disprezzo che l’ha accompagnato. Matteo fornisce due particolari estremamente significativi e coinvolgenti per noi. L’atto di Giuda è presentato nel determinare il prezzo di quell’uomo che sta per tradire: 30 monete d’argento. Un prezzo che segnala il disprezzo: Gesù è valutato così poco! Il momento del tradimento è poi presentato nell’atto di condivisione da parte di tutti i discepoli: intristiti, si chiedono tutti se le parole di Gesù che annuncia il tradimento riguardano ciascuno di loro. Io leggo in questi due particolari la situazione nostra nei confronti di Gesù. Quando chiudiamo occhi e orecchi alla parola di vita di Gesù per seguire le nostre voglie, calcoliamo così poco la sua persona da poterlo disprezzare. Non è tanto la nostra singola azione di peccato che è grave quanto il disprezzo per il Signore che il nostro cuore vive. È lo stesso disprezzo di Giuda. Il fatto che tutti i discepoli si sentano possibili responsabili del tradimento significa che tutti siamo causa della passione di Gesù. Se Gesù è il Salvatore di tutti significa che tutti in qualche modo abbiamo favorito la passione di Gesù. Non per scelta cattiva espressa ma per indurimento di cuore, incapaci di provare compassione per lui, incapaci di tenerezza per lui. Del resto, la radice profonda, misteriosa, del peccato è proprio l’incapacità di vedere l’amore di Dio per noi, è quel non voler farci toccare dal suo amore. Gesù però né viene meno mai all’amore del Padre per noi né si separa mai da noi nonostante la nostra cattiveria. Perché così ci libera dal potere del nemico, perché così ci attrae nella sua alleanza.


9 aprile – Giovedì Santo

Io sono il Signore! Il sangue sulle case dove vi troverete servirà da segno in vostro favore: io vedrò il sangue e passerò oltre

  io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me».

  Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.

  L’evangelista Giovanni così inizia il racconto della passione di Gesù: avendo amato i suoi li amò sino alla fine. Non intende semplicemente dire che li amò fino alla fine della sua vita, ma più misteriosamente che li amò fino a che si rivelasse in tutta la sua portata il segreto per il quale era venuto, era stato inviato. Così il racconto dell’ultima cena con i gesti e le parole che lo caratterizzano è rivelativo di quel segreto. Siccome il vangelo di Giovanni non racconta l’istituzione dell’eucaristia, come fanno i tre Sinottici (l’allusione all’eucaristia si trova nel cap. 6), passa subito a descrivere il mistero dell’eucaristia nel come Gesù lo vive e nel come invita i discepoli a viverlo. Si cinge di un asciugamano e passa a lavare i piedi a tutti, Giuda compreso. Secondo la legge romana in vigore nella società palestinese del tempo di Gesù, a uno schiavo ebreo era consentito rifiutarsi di lavare i piedi al padrone e il lavare i piedi al padrone era compito specifico degli schiavi. Gesù, non solo ha assunto la figura di servo, ma di schiavo e per giunta oltre la legge in vigore: sceglie di fare lo schiavo a dei servi lavando loro i piedi. È l’immagine più espressiva per comprendere il senso di quello che di lì a poche ore subirà volontariamente, cioè essere preso, giudicato, condannato, messo a morte. L’incomprensione dei discepoli è totale. Mai si sarebbero aspettati un comportamento del genere. Quando Pietro si rifiuta, Gesù non ha altra ragione per convincerlo di questa: se non ti lasci lavare i piedi, non avrai parte con me. Come discepoli, non potremo aver parte con Gesù se non assumendo questo compito vicendevole: rinunciando a ogni proprio diritto, onorare il fratello preferendolo a noi stessi. Ma il senso è: se onori il fratello, vuol dire che hai gustato l’intimità con me. Il valore di ogni gesto di servizio è che profumi dell’amore di Gesù, di quel Gesù che si è consegnato perché splenda tra noi l’amore del Padre. Significato ancora più segreto è questo: con l’onorare il fratello comunque, entriamo a far parte della stessa intimità di vita e di sentire tra il Padre e il Figlio, partecipiamo allo stesso segreto di vita della Trinità. La celebrazione dell’eucaristia, memoriale specifico del giovedì santo, che si rinnova ad ogni Messa, ha esattamente questo scopo: renderci partecipi della vita stessa di Dio che si dona all’uomo perché la lode del suo amore conquisti tutto. La condizione e, nello stesso tempo, l’effetto, è di condividere l’esempio di Gesù: se anche voi vi laverete i piedi gli uni gli altri, allora conoscerete il Signore nel suo amore per voi.


10 aprile – Venerdì Santo

Una veste di mandorlo fiorito

trasparenza d’aurora

ti ho cucito, Figlio;

una veste profumata

d’incenso e di nardo…

Con essa risorgerai

dal tuo dolore,

ed io con te

perché viva è la speranza

ancora.

(A.M.Canopi)

Correrò e chiuderò le porte dello Sheol davanti a questo Morto la cui morte mi ha rapinato.

Chi sentirà ciò si meraviglierà della mia umiliazione, perché son stata sconfitta da un Morto venuto da fuori: tutti i morti vogliono andar fuori, e lui insiste per entrare.

Un farmaco di vita è entrato nello Sheol e ha riportato i suoi morti indietro alla vita.

Chi è colui che ha introdotto per me e nascosto il fuoco vivente in cui le fredde e scure viscere dello Sheol si fondono?

(Efrem Siro)

Non ha apparenza né bellezza

per attirare i nostri sguardi,

non splendore per poterci piacere.

Disprezzato e reietto dagli uomini,

uomo dei dolori che ben conosce il patire… perché ha spogliato se stesso fino alla morte

ed è stato annoverato fra gli empi,

   Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.

  E Pilato disse loro: “Ecco l’uomo!”. 

    La liturgia del venerdì santo è tutta incentrata sulla passione di Gesù. I testi sono così espressivi, coinvolgenti, che è impossibile sottrarsi a un senso di compassione per quell’uomo dei dolori. Viene proclamato il quarto canto del Servo di Jahvé, il canto che suona come una descrizione precisa di tutto il tormento, in tutta la sua crudezza, che Gesù ha dovuto patire. Il testo insiste su di un particolare che è ripreso varie volte: il disprezzo, lo spregio, l’ignominia. In effetti, anche nella descrizione evangelica, l’aspetto più espressivo del tipo di supplizio che Gesù subisce con l’essere crocifisso non è il dolore, ma l’ignominia. Tutto gli è fatto per disprezzo, per annientarlo nell’ignominia. Il racconto evangelico non conosce il timbro eroico della sopportazione del dolore;  mette in risalto invece l’accettazione dell’ignominia più estrema. È questo che rivela in tutto il suo splendore l’amore perché nell’ignominia, custodire l’amore, significa aver ceduto in modo così radicale il proprio diritto da far vedere l’unica cosa che muoveva il cuore di Gesù. Non solo, ma restando fedele a quell’amore, mostra di cosa è capace l’intimità con il Padre e la solidarietà con i suoi fratelli tanto da conquistare tutto e tutti a quell’amore. Lo sguardo della liturgia è quello che viene descritto dalla lettera agli Ebrei: imparò l’obbedienza e divenne causa di salvezza per tutti coloro che gli obbediscono. In questo testo obbedire si riferisce all’intimità in amore con il Padre nella sua immensa misericordia per i figli degli uomini, per i suoi figli. Lo stesso vale per i discepoli di Gesù invitati a vivere la loro ‘passione’ per vivere l’amore come lui, radicati in lui. 

Sotto questo risguardo, la narrazione della passione di Gesù secondo il vangelo di Giovanni è particolarmente espressiva. Il racconto è dettagliato nell’elenco di tutte le sofferenze patite, ma l’evangelista si premura di indicare la prospettiva di senso in cui sono vissute. A un lettore attento non sfugge, ad esempio, che quando Pilato giudica Gesù, lo presenta alla folla, ricoperto di sangue dopo la flagellazione, con la corona di spine in testa, il manto di porpora addosso, evidentemente a spregio e scherno e dice: ecco l’uomo! L’espressione è ironica, crudelmente ironica, ma l’evangelista, con il particolare che Pilato fa sedere Gesù, rimarca: lui è giudicato, ma il vero giudice è lui, a lui spetta il compito di giudicare in verità e il suo giudizio sarà il suo perdono. Gli uomini l’hanno sfigurato con le loro torture, ma l’unico a custodire la vera umanità è lui. Nella sua umanità, fedele all’amore, tutti troveranno motivo di umanità. Tutti torneranno ‘uomini’ da veri figli di Dio! La stessa condanna a morte eseguita con la crocifissione ha il valore di sottolineare che Gesù è innalzato, perché dall’alto della croce rivela la sua gloria, quella dell’amore. L’ultima trafittura nel corpo morto dalla cui ferita escono sangue e acqua, a indicare i sacramenti dell’eucaristia e del battesimo, ha il valore di una nuova creazione. Come Eva è formata da una costola di Adamo, così la nuova Eva, la Chiesa, scaturisce dal nuovo Adamo, Gesù. Sarà lo Spirito, esalato sulla croce e ora diffuso nei cuori, a innestare tutti nell’umanità di Gesù e a renderci partecipi della sua stessa vita, la vita non più soggetta ad alcuna mortificazione dell’amore.


11 aprile – Sabato Santo

Venite, adoriamo il Signore, crocifisso e sepolto per noi.

  Con questa antifona inizia la preghiera del giorno del sabato santo. La Chiesa oggi si astiene da ogni celebrazione in attesa della grande Veglia della risurrezione. Sosta presso il sepolcro di Gesù, ne contempla il mistero della sua discesa agli inferi per prorompere poi con la gioia della risurrezione. Negli antichi racconti ebraici si parla di quattro notti memorabili annotate nei libri celesti. La prima è quella della creazione. Nelle tenebre più assolute erompe la parola di Dio: sia la luce! Tutto ha inizio con la luce, che è la luce della santità di Dio nel suo amore per noi, nella quale tutto è stato creato. Quella luce, sottratta agli sguardi, tornerà di nuovo visibile con il Messia. La seconda notte è quella della promessa dell’alleanza ad Abramo, quando la conoscenza del vero Dio si fa strada in questo mondo con la fede di Abramo, padre di tutti i credenti. La terza notte è quella del passaggio dell’angelo sterminatore in Egitto quando,per piegare il faraone a lasciar partire il popolo di Israele, uccide tutti i primogeniti egiziani risparmiando gli ebrei. Il passaggio avviene mentre gli ebrei consumano l’agnello pasquale. Ne avevano preso il sangue per segnare le loro porte in modo da essere riconoscibili all’angelo sterminatore. Lo consumano con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangiano in fretta perché è la Pasqua del Signore! Prende inizio il loro esodo dall’Egitto, la liberazione dalla schiavitù egiziana. Poi ci sarà una quarta notte, la notte della redenzione di Israele da ogni male quando gli empi saranno sterminati e il popolo godrà del regno di Dio ormai compiuto. Ecco, questa quarta notte, sognata dagli antichi ebrei e tramandata nei racconti di generazione in generazione, è la notte che custodisce il segreto della risurrezione di Gesù. Gli apostoli hanno gioito nel vedere il loro Maestro, crocifisso, morto, ora vivo, il Vivente, ma nessuno è stato testimone del momento in cui Gesù esce dalla tomba. La tomba vuota sarà il segno che Gesù è vivo, ma solo segno. La pietra rotolata via sarà il segno della sua risurrezione, ma solo segno. Solo quella notte custodisce il segreto. E quando, all’inizio della veglia, dopo l’ingresso in chiesa del cero Pasquale acceso, il diacono annuncia al mondo la risurrezione di Gesù, canta: beata la notte che ha visto risorgere il Signore! Tutte le letture della veglia sono proclamate accanto al cero pasquale acceso a indicare che il senso di quello che è annunciato potrà essere colto solo alla luce del Figlio di Dio, morto e risorto. Tanto che, per cogliere il filo rosso che collega tutte le letture della veglia, occorre ascoltarle come dal fondo al principio. Dalla luce che prorompe dalla quarta notte con l’annuncio del Signore risorto, luce che per noi è scaturita dal battesimo, si risale alla promessa di rinnovamento radicale dei cuori con il brano del profeta Ezechiele. Il profeta Baruch aveva appena fatto comprendere che la gloria di Israele consisteva nel fatto di conoscere quello che piace a Dio nel suo amore per lui. Lo aveva preceduto il profeta Isaia nel presentare Dio come lo Sposo di Israele nella sua volontà di bene e salvezza che non sarebbe mai venuta meno nonostante l’ingratitudine umana. Per risalire alla notte dell’esodo di Israele dall’Egitto, alla notte dell’alleanza con Abramo, fino alla notte della creazione quando la luce di Dio prorompe dalle tenebre. Ecco,il disegno di Dio è unico, il suo amore radicale e assolutamente gratuito, confermato in modo inequivocabile e definitivo dalla risurrezione dell’Uomo dei dolori! E noi, suoi fratelli in umanità, di nuovo possiamo sperare nella gioia della vita nonostante tutti i dolori della storia: IL SIGNORE È RISORTO! È VERAMENTE RISORTO.


12 aprile – Pasqua di Resurrezione del Signore

Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù

  Questo è il giorno che ha fatto il Signore , rallegriamoci ed esultiamo

  Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

  L’esultanza per il Signore risorto contagia tutte le nostre profondità come ben esprime un canto bizantino: “Giorno della risurrezione! Irradiamo gioia per questa festa solenne e abbracciamoci gli uni gli altri. Chiamiamo fratelli anche quelli che ci odiano: tutto perdoniamo per la risurrezione e poi acclamiamo: Cristo è risorto dai morti, con la morte ha calpestato la morte, e ai morti nei sepolcri ha elargito la vita”. Nel racconto di Giovanni, la domenica di Pasqua, il giorno uno della settimana, dischiude un tempo completamente diverso, un tempo nel quale tutto ciò che è stato compiuto fino ad ora appare nella sua luce vera. Il personaggio che ci conduce alla soglia di questa scoperta è proprio Maria Maddalena, quella che per prima sente la dolcissima voce amica chiamarla per nome. Quella voce che un’antica preghiera descrive: “Oh, la tua divina, la tua dolcissima voce amica! Con verità hai promesso, Cristo, che saresti rimasto con noi fino alla fine dei secoli. E noi fedeli esultiamo, possedendo quest’ancora di speranza”. Maria Maddalena viveva un’angoscia personale, un sentimento di assenza irrimediabile; per lei il Signore era l’Assente; non poteva che sentirlo così. Per prima vede la pietra del sepolcro tolta via e corre ad avvertire i discepoli: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove lo hanno posto”. E Giovanni parla della pietra tolta via dal sepolcro per sottolineare, in questo Giorno della Risurrezione, che viene tolto l’ultimo impedimento alla ‘vista’, alla ‘visione’, come poi il brano dirà a proposito di Giovanni entrato nel sepolcro: “Vide e credette”. Il brano evangelico introduce al mistero della risurrezione con un crescendo rispetto alla ‘potenza’ del vedere espressa in greco da tre verbi. Prima semplicemente si guarda (Maria Maddalena vede la pietra tolta dal sepolcro e Giovanni, arrivato per primo al sepolcro, guarda da fuori nel sepolcro e vede i teli); poi si osserva attentamente, si contempla (Pietro, entrato nel sepolcro, guarda attentamente i teli e il sudario posto in un luogo a parte); infine si conosce, si intuisce intimamente la verità delle cose (Giovanni, entrato nel sepolcro, vede e crede). È l’ascesa suggerita dall’evangelista per fare esperienza del mistero della risurrezione, assolutamente imprevedibile per gli uomini. Fino a sentire anche noi, non solo le parole di un angelo che ci annuncia che il Signore è vivo, ma a sentire la sua stessa voce. Quella voce, che potremo udire e riconoscere nelle parole di vita del suo vangelo quando penetrano nel nostro cuore, quando rivelano la forza prodigiosa di vita che celano perché in esse sentiamo l’eco della dolcissima voce amica, di Colui che, vivo, vive in mezzo a noi. E la gioia, allora, per noi si risolve nel dolce perdono che Gesù ci riversa: “Tu, o Cristo, sei il nostro dolce perdono. Fa’ che di Te in ogni istante io mi sappia rivestire e non abbia potere su di me la miseria con cui mi vedo e mi sento. Con le tue ferite risanami, che io respiri e viva del tuo sguardo verso il Padre. Nelle tue piaghe nascondimi, che il sentimento della mia malinconia non si erga a obiezione della tua grandezza. Lasciami entrare nel tuo cuore, che io mi avvolga della sua benevolenza e mi faccia rinascere, finiti i terrori della notte, al mattino della tua presenza”.

IL SIGNORE È RISORTO. È VERAMENTE RISORTO.

Buona Pasqua a tutti