WORDPDF

Sesto ciclo

Anno liturgico C (2018-2019)

Tempo Ordinario

XXVII Domenica

(4 ottobre 2019)

___________________________________________________

Ab 1,2-3; 2, 2-4;  Sal 94;  2 Tm 1,6-8.13-14;  Lc 17, 5-10

___________________________________________________

Tutta la liturgia di oggi mira a svelare la struttura del cuore dell’uomo che si gioca nella fede. Il profeta Abacuc proclama: “Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede”, nel contesto della prova che il giusto subisce e del ritardo di Dio a rispondere, ma fiducioso nella promessa del suo Dio. Il salmo responsoriale (che andrebbe letto per intero) sottolinea la drammaticità del credente; può benissimo incorrere in quella che suona come la minaccia più terribile per il cuore: «Per quarant’anni mi disgustò quella generazione e dissi: “Sono un popolo dal cuore traviato, non conoscono le mie vie”. Perciò ho giurato nella mia ira: “Non entreranno nel luogo del mio riposo”». Per questo il profeta contrappone la mancanza di fede all’animo non retto. Il salmo invece descrive questa ‘non rettitudine’ come ‘durezza’ di cuore. È la lezione che hanno imparato per esperienza i nostri padri. Isacco Siro contrappone la mancanza di fede che genera orgoglio, alla fede a cui segue l’umiltà, da Dio viene la misericordia mentre dalla mancanza di fede la paura, tutto ciò che si muove in noi proviene da una di queste due ragioni: o dalla durezza di cuore o dalla fede in Dio.

Il vangelo, a sua volta, colloca la domanda di fede degli apostoli in un contesto preciso (che però manca nel brano proclamato oggi). Se la fede è il contrario della durezza di cuore, in quale contesto specifico l’uomo fa esperienza di durezza di cuore? Nelle relazioni fraterne, nella difficoltà a perdonare al proprio fratello: “Se il tuo fratello commetterà una colpa, rimproveralo; ma se si pentirà, perdonagli. E se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo: “Sono pentito”, tu gli perdonerai». Gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!» (Lc 17,3-6). Da notare che nel testo di Luca il comando di Gesù di perdonare al fratello anche se pecca sette volte al giorno, vale a dire continuamente, la difficoltà del perdonare non è vincolata alla poca generosità, ma alla causa che la produce, vale a dire: il fatto che il fratello venga sette volte a chiedermi scusa suona alle mie orecchie come una presa in giro e perciò il senso della mia importanza pregiudica la mia generosità. La durezza di cuore che impedisce il perdono deriva quindi dalla mancanza di fede, dal fatto cioè di non avere più fiducia nella promessa di Dio, di non restare umile davanti a Dio, di esigere qualcosa per me o di me, il che contrasta esattamente con quello che il profeta aveva chiamato ‘animo retto’.

Il perdono non parla semplicemente della generosità dell’uomo, ma della conoscenza di Dio che abita i cuori, vale a dire della fede in Gesù professata e vissuta. La fede è domandata proprio per vivere il compito divino del perdono, che è il modo umano di vivere l’amore, assecondando quel mistero di riconciliazione in atto nella storia secondo l’espressione della lettera agli Efesini: “perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato [= ha fatto grazia di sé] a voi in Cristo”.

Così tanto, in modo così nuovo, Gesù aveva insistito nella sua predicazione su questo comando divino: “tu gli perdonerai”! Il cuore dell’uomo sa e sente che non può riacquistare l’innocenza perduta se non nel perdono ricevuto e offerto, costantemente. Qui si radica l’esperienza di Dio: ognuno sente che non riuscirà credibile nell’offerta del suo amore se l’Amore del Signore non l’avrà raggiunto, se il Signore non gli riverserà in grembo quella tenerezza che non guarda a meriti o a diritti. Nel perdonare si gioca la sincerità dell’aver incontrato Dio e dell’esserci percepiti solidali con i nostri fratelli. La difficoltà risiede proprio nel fatto che non è così semplice ritenerci peccatori, assillati come siamo dalla paura di venire respinti e che non è così facile non aver più paura di Dio. Si tratta sempre appunto della fede.

Ritorna in gioco la proclamazione del salmo responsoriale, il salmo 94 (95), che la chiesa indica come la prima preghiera da fare alzandoci al mattino: “Se ascoltaste oggi la sua voce!”. Come si accede alla fede? Ascoltando. Perché è dalla mancanza di quell’ascolto che deriva all’uomo l’indurimento del cuore: “Non indurite il cuore come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto”. Tutto sta in quel ‘se…’. Un gustosissimo midrash lo illustra a meraviglia. Rabbi Jehoshua ben Levi interrogò il profeta Elia: “Quando verrà il Messia?”. “Va a chiederlo a lui”, rispose. “Dove lo posso trovare?”. “Alle porte di Roma”. “E come lo riconoscerò?”. “Egli siede tra i lebbrosi mendicanti. Ma mentre questi si tolgono e si rimettono le bende tutte in una volta, egli si toglie le bende a una a una e se le rimette una alla volta dicendo: ‘Forse sarò chiamato a manifestarmi, e in tal modo non ritarderò’ “. Rabbi Jehoshua andò da lui e lo salutò: “Pace a te Maestro!”. “Pace a te, figli di Levi”, rispose. “Quando verrai, Maestro?”. Gli disse: “Oggi”. Poi venne da Elia, che gli chiese: “Cosa ti ha detto?” “Mi ha mentito. Ha detto che sarebbe venuto oggi, e invece non è venuto”. Ma Elia disse: “No, egli ti ha detto questo: ‘Oggi, se ascoltate la sua voce!’”.

Se non ascolto oggi la parola, resto più indurito e domani farò più fatica ad ascoltare. L’aspetto caratteristico della proclamazione del salmo è il fatto che l’ogni giorno suppone un qui, un essere totalmente là dove siamo. L’ogni e il qui suppongono a loro volta che ciò che è trascorso non ipotechi ciò che inizia. In pratica, possiamo ascoltare Dio solo stando dove ci troviamo e adesso. Questa è la fede, questo è avere l’animo retto, questo è l’uscire dalla durezza di cuore. E dove questo si vede? Nel perdono.

Con l’esempio poi del granello di senape Gesù non allude alla ’quantità’ della fede, poca o tanta. Allude alla ‘natura’ della fede, che è, sì, piccola come un granello di senape, ma ha la potenza del seme di senape, è capace di dispiegare la sua potenza vitale una volta seminato in terra, tanto da crescere e diventare l’arbusto più grande fra i vari ortaggi o addirittura un albero (cfr. Lc 13,19). Il paragone usa la stessa immagine riferita al regno di Dio, insignificante all’inizio, ma che col tempo cresce e diventa pianta dove vanno a nidificare gli uccelli, simbolo di tutti i pensieri e i desideri del cuore dell’uomo che vengono attratti dalla vita di Dio gustata nel cuore.

Il brano evangelico comporta anche l’aggiunta della parabola del servo inutile. A dire il vero non è che il servo sia inutile, perché il suo compito lo esegue e serve al padrone. Piuttosto si dovrebbe intendere: non ho titoli di preferenza o di diritti presso il mio Signore! Quanto è facile cadere nella rivendicazione dei nostri diritti, di quel che è giusto, di quel che ci viene! La vita non si allea con chi avanza titoli di pretesa. Il Signore nemmeno, per quanto aspetti alle porte del nostro cuore in attesa che impariamo semplicemente a chiedere e non a esigere, semplicemente a dare e non a pretendere, semplicemente a fare e non ad aspettarci che ci venga fatto. E questo sarà possibile quando ci accorgeremo che essere servi, nell’esperienza evangelica, significa non aver più bisogno di dimostrare nulla, di esibire nulla, di imporci in nulla. Il vero servo è proprio Gesù, che nella confidenza più totale con il Padre, serve tutti per conquistare tutti a quella stessa confidenza.

Essere servi inutili significa essere semplicemente servi e nulla di più. Ma il nostro titolo di gloria e di onore sta proprio qui: non voler essere e avere altro che quello che l’amore del Signore ha voluto per noi. La rettitudine del servizio sta esattamente in questo accogliersi nei confronti del Padrone senza perdersi nei confronti con gli altri servi. È l’altra faccia dell’espressione: “il giusto vivrà per la sua fede” del profeta Abacuc e vuol dire: chi non avanza pretese, confida davvero in Dio e non inciamperà nella vita perché non sarà in contesa con gli uomini. Quello che non deriva dalla confidenza in Dio viene dalla paura e se viene dalla paura è la rivendicazione che avanza, rivendicazione che stoppa il cammino della comunione con se stessi, con gli altri, con Dio, con le cose.

***

I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

Prima Lettura  Ab 1,2-3; 2, 2-4

Dal libro del profeta Abacuc.

Fino aquando, Signore, implorerò aiuto

e non ascolti,

a te alzerò il grido: «Violenza!»

e non salvi?

Perché mi fai vedere l’iniquità

e resti spettatore dell’oppressione?

Ho davanti a me rapina e violenza

e ci sono liti e si muovono contese.

Il Signore rispose e mi disse:

«Scrivi la visione

e incidila bene sulle tavolette,

perché la si legga speditamente.

È una visione che attesta un termine,

parla di una scadenza e non mentisce;

se indugia, attendila,

perché certo verrà e non tarderà.

Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto,

mentre il giusto vivrà per la sua fede».

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 94

Ascoltate oggila voce del Signore.

Venite, cantiamo al Signore,

acclamiamo la roccia della nostra salvezza.

Accostiamoci a lui per rendergli grazie,

a lui acclamiamo con canti di gioia.

Entrate: prostràti, adoriamo,

in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.

È lui il nostro Dio

e noi il popolo del suo pascolo,

il gregge che egli conduce.

Se ascoltaste oggi la sua voce!

«Non indurite il cuore come a Merìba,

come nel giorno di Massa nel deserto,

dove mi tentarono i vostri padri:

mi misero alla prova

pur avendo visto le mie opere».

Seconda Lettura  2 Tm 1,6-8.13-14

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timoteo

Figlio mio, ti ricordo diravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani.Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di caritàe di prudenza.

Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me,che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per ilVangelo.

Prendi come modello i sani insegnamenti che hai udito da me con la fede el’amore, che sono in Cristo Gesù. Custodisci, mediante lo Spirito Santo cheabita in noi, il bene prezioso che ti è stato affidato.

 

Vangelo  Lc 17, 5-10

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, gliapostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».

Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape,potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, edesso vi obbedirebbe.

Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà,quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non glidirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi esérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordiniricevuti?

Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è statoordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamofare”».