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Sesto ciclo

Anno liturgico B (2017-2018)

Tempo Ordinario

XXXII Domenica

(11 novembre 2018)

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1 Re 17,10-16;  Sal 145;  Eb 9,24-28;  Mc 12,38-44

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Nella liturgia di oggi qualcosa di strano risuona per il nostro modo di ragionare. Dio ordina al profeta Elia di rifugiarsi a Sarepta, in territorio pagano, perché una vedova provvederà a lui, ma quella donna non ha di che sfamarlo. Come vedova già viveva di elemosine e ora che è tempo di carestia raccoglie solo briciole. Eppure proprio a lei il profeta viene inviato per la sua sopravvivenza. Prima, nella sua solitudine, il profeta riceveva cibo dai corvi, termine che alcuni commentatori rendono con ‘arabi’ intendendo che un israelita viene aiutato proprio da uno straniero. Gesù, che si è messo in posizione di osservazione davanti al tesoro del tempio, elogia una povera vedova per i due spiccioli che vi aveva buttato restando senza più risorse lei per vivere.

Tutta la liturgia di oggi può essere letta come il commento della Chiesa alla prima beatitudine cantata nel versetto all’alleluia: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5,3), secondo l’elogio che Gesù tributa ad una povera vedova a sua insaputa. L’antifona alla comunione ne svela la ragione la ragione profonda: “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla …”. Di questa certezza era colmo il suo cuore, certezza che fa dire a Gesù: “In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”.

Gesù, elogiando la vedova, vuol esaltare un tipo di legame, di attaccamento, di comportamento dei cuori tra Dio e i suoi servi. La vedova, nel dare tutto quello che aveva per vivere, fa affidamento alla promessa di Dio che, nella sua grandezza e generosità, non lascerà mancare il necessario ai suoi servi. Quella donna, che vuole ottemperare al comando di Dio di portare l’offerta al tempio, come era richiesto a tutti gli ebrei, si fida del suo Dio, con tutto il suo cuore. E come sempre, la promessa di Dio, per rivelarsi nella sua gratuità, non ha bisogno di sfruttare nulla che appartenga all’uomo. Dio in effetti ha soltanto bisogno dello spazio di un cuore che si faccia semplicemente e totalmente accogliente, anche quando le apparenze sembrano giocare a sfavore.

Traducendo letteralmente si potrebbe rendere: “i ricchi hanno preso sul loro superfluo, lei, vedova, ha preso sulla sua indigenza tutto quello che aveva, che costituiva tutta la sua vita”. Oppure, ancora più significativamente: “dalla sua mancanza gettò tutto quanto aveva, tutta la sua vita”. Il nostro Dio è un Signore strano: non chiede né poco né tanto né tutto; chiede quello che non hai. Il gesto della vedova, che trae dalla sua mancanza quello che costituiva la sua vita, assume una valenza spirituale paradigmatica. Basta pensare ai comandamenti. Dio ci comanda: “siate miti … portatori di pace … misericordiosi …”. Uno dà quello che ha, questa è la norma dell’agire tra gli uomini. Con Dio non vale: uno deve dare quello che non ha per averlo anche lui. Così, io, che non sono affatto mite, che non sono affatto in pace, sono richiesto di usare mitezza, di portare pace. Ma come è possibile? Sulla promessa della fedeltà di Dio al suo comandamento. Dare mitezza in nome di Dio a un fratello vuol dire fidarsi totalmente della promessa che farà gustare anche al mio cuore quella mitezza. Ed in questo gusto trovare finalmente la compagnia di colui che il mio cuore ama. Perché se già non lo amassi, come farei a fidarmi? Per questo la vedova è tanto elogiata da Gesù. Il fidarsi del suo Dio rivela il suo amore per lui, per tutte le sue cose, vale a dire il tempio e il popolo per cui si portavano le monete al tesoro. E in cambio tutta la sua vita resta assicurata, in modo inspiegabile, sulla fedeltà di Dio.

Come annota Madeleine Delbrel commentando la prima beatitudine: “Non pensate che la nostra gioia sia trascorrere i giorni a vuotare le nostre mani, le nostre menti, i nostri cuori. La nostra gioia è trascorrere i giorni a scavare nelle nostre mani, nelle nostre menti, nei nostri cuori un posto per il Regno dei Cieli che passa. Perché è straordinario saperlo così imminente, saper Dio così vicino. È prodigioso sapere il suo amore tanto possibile in noi e su di noi. E non aprirgli questa porta unica e semplice che è la povertà di spirito”.

Gregorio Magno, commentando la prontezza dei pescatori a seguire la chiamata di Gesù, riflette sul fatto che a dire il vero quegli uomini avevano ben poco da lasciare essendo poveri. Ma – aggiunge – “ha molto lasciato chi non ha tenuto nulla per sé”. É il senso della fede genuina. Non importa lasciare poco o tanto; l’importante è non conservare nulla per sé, vale a dire fidarsi fino in fondo, lungo tutto il cammino, con tutte le fatiche che comporta, in modo che la grazia dell’incontro possa rivelare tutti i suoi frutti, nel tempo.

La vicenda del profeta Elia e della vedova di Sarepta allude alla medesima realtà. Se la vedova si fida della parola del profeta, il quale si era fidato della parola di Dio, non solo non muore nella sua indigenza, ma con la sua indigenza, offerta, ricostituirà la vita del profeta e la sua. Così, rispetto alla prima beatitudine, la vedova è tra quei poveri nei quali prevale la beatitudine promessa perché la fedeltà di Dio per lei è cosa saputa, vera, tanto da scavare nella sua indigenza la gioia del vivere, proprio perché con il suo Dio. Ma la beatitudine va letta non solo in rapporto al fatto che i poveri in spirito toccheranno il regno dei cieli, ma anche in rapporto al fatto che, se incontreremo questi poveri, il regno dei cieli sarà reso visibile a noi. Così in effetti prega la chiesa dopo la comunione: “La forza dello Spirito Santo, che ci hai comunicato in questi sacramenti, rimanga in noi e trasformi tutta la nostra vita”. Come a dire: lo Spirito del Signore radichi i nostri cuori nello stesso atteggiamento di fede della vedova che ha strappato a Gesù quell’elogio pieno di ammirazione.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

Prima Lettura  1 Re 17, 10-16

Dal primo libro dei Re

In quei giorni, il profeta Elia si alzò e andò a Sarèpta. Arrivato alla porta della città, ecco una vedova che raccoglieva legna. La chiamò e le disse: «Prendimi un po’ d’acqua in un vaso, perché io possa bere».

Mentre quella andava a prenderla, le gridò: «Per favore, prendimi anche un pezzo di pane». Quella rispose: «Per la vita del Signore, tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo».

Elia le disse: «Non temere; va’ a fare come hai detto. Prima però prepara una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, poiché così dice il Signore, Dio d’Israele: “La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra”».

Quella andò e fece come aveva detto Elia; poi mangiarono lei, lui e la casa di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia.

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 145

Loda il Signore, anima mia.

Il Signore rimane fedele per sempre

rende giustizia agli oppressi,

dà il pane agli affamati.

Il Signore libera i prigionieri.

Il Signore ridona la vista ai ciechi,

il Signore rialza chi è caduto,

il Signore ama i giusti,

il Signore protegge i forestieri.

Egli sostiene l’orfano e la vedova,

ma sconvolge le vie dei malvagi.

Il Signore regna per sempre,

il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.

Seconda Lettura  Eb 9, 24-28

Dalla lettera agli Ebrei

Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte.

Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza.

 

Vangelo  Mc 12, 38-44

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».

[Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.

Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».]