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Sesto ciclo

Anno liturgico A (2016-2017)

Tempo Ordinario

XV Domenica

(16 luglio 2017)

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Is 55,10-11;  Sal 64;  Rm 8,18-23;  Mt 13,1-23

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Per tre domeniche successive la Chiesa farà proclamare la lettura del cap. 13 di Matteo, il capitolo delle sette parabole del Regno. Oggi viene proclamata la prima parabola, quella del seminatore, non semplicemente la prima delle sette, ma la parabola che fa da sfondo a tutte le parabole.

Possiamo introdurci al mistero svelato da questa parabola con la prima lettura tratta dal profeta Isaia. La parola è paragonata all’acqua, che sembra scomparire nella terra, in realtà la feconda. Il cap. 55 conclude il libro del secondo Isaia, il libro della consolazione (capp. 40-55). Il contesto riguarda il popolo esiliato a Babilonia che riceve la promessa di liberazione imminente: “Voi dunque partirete con gioia, sarete ricondotti in pace” (Is 55,12). È la fiducia nel perdono rigenerante di Dio, che resta fedele alle sue promesse.

La chiesa accosta questo brano alla parabola evangelica per approfondirne l’intelligenza. È quella parola, che ha l’efficacia dell’acqua che feconda la terra, ad essere seminata nei cuori degli uomini; è la parola che rivela i misteri del Regno in chi l’accoglie. Da notare che la parabola del seminatore è preceduta dalla solenne dichiarazione di Gesù: “Poi tendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: ‘Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre” (Mt 12,48-50). E subito segue la parabola del seminatore. Possiamo comprendere: accogliere la parola significa diventare familiari di Dio, condividere i suoi segreti, diventare eredi del Regno del Padre. Proprio quello che Gesù dirà alla fine di tante parabole: “prendi parte alla gioia del tuo padrone” (Mt 25,21). Come anche san Paolo sottolinea nella sua lettera ai Romani: “… avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà! Padre!” (Rm 8,15).

Come riferito dal profeta Isaia: tutto è fondato sulla fedeltà di Dio alle sue promesse. E come la parabola rivela sottolineando l’azione del seminatore che esce: “Quel giorno Gesù uscì di casa … Ecco, il seminatore uscì a seminare”. Gesù, Verbo del Padre, lascia il Padre e viene tra gli uomini, non solo seminando la Sua parola nei cuori, ma seminando Sé, Sua Parola Vivente, nei cuori. Quello che Giovanni riassume in due espressioni paradigmatiche del segreto di Gesù: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito …” (Gv 3,16) e “Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi” (Gv 12,51-52). Il seminatore esce per svelare il volto del Padre che è misericordia per noi e per riunirci alla mensa del suo amore. Così c’è identità tra il seminatore e il seme, perché Colui che semina e la cosa che viene seminata è la stessa realtà, Gesù stesso. Ognuno è chiamato a far nascere e far crescere Gesù dentro il proprio cuore. E questo è il significato profondo della parabola. L’eredità del Regno è proprio Lui, quel Figlio dell’uomo che riunisce la famiglia degli uomini nella gioia del Padre che vuole la comunione con i suoi figli.

Siccome si tratta di seminagione, l’elemento tempo è essenziale. Lo ricorda il passo parallelo di Luca: “Quello sul terreno buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza”. Da intendere: nella pazienza. La perseveranza dice il tempo necessario perché la magnanimità e la tenacia con cui si pazienta sveli il frutto agognato.

La comprensione della parabola comporta però un aspetto angosciante, come intollerabile: “Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono”. E qui Gesù cita Is 6,9-10. Quel passo di Isaia, che conferma angosciosamente la possibilità del rifiuto da parte del popolo, come tutta la storia sacra dimostra, è citato da tutti i vangeli e anche dagli Atti degli apostoli. In Giovanni 12,40 il passo si riferisce allo scandalo della passione che impedisce a molti di riconoscere il Messia.

Credo sia da vedere in questa drammaticità della rivelazione la dimensione dell’amore del Padre che si svela nello scandalo della passione di Gesù. Tutto ciò che si riferisce al Regno (il che significa: tutto ciò che ha attinenza con il compimento dei desideri profondi del cuore nella vita) passa per l’accettazione della debolezza di Dio che è più forte della forza degli uomini. Forse non riusciamo più a cogliere il mistero di Bene che il Signore ci squaderna. Possiamo ancora sentire la verità di quel “beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano”, eco della preghiera di lode di Gesù: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25) e della comunanza di vita che Gesù ci offre: “chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre” (Mt 12,50)? Con le parabole del Regno Gesù ci invita appunto alla sua comunanza di vita con il Padre, che è amore per noi.

Ogni dono dell’Amato è sempre presenza dell’Amato; dietro ogni Parola annunciata, ascoltata, sta sempre il desiderio di Dio di essere accolto e l’invito suo ad accoglierlo. Questa alleanza di Dio con l’umanità costituisce il quadro di riferimento della parabola del seminatore. Lo proclama anche il passo di Isaia che precede il brano letto oggi: “O voi tutti assetati venite all’acqua…Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e voi vivrete. Io stabilirò con voi un’alleanza eterna” (Is 55,1.3). In quel contesto prende significato la prodigalità del seminatore (non si stanca mai di seminare, non teme di buttar via il seme, si rivolge a ogni tipo di terreno, evidentemente perché sempre Dio ricerca la conversione del cuore dell’uomo che da un tipo di terreno può passare a un altro) e la potenza di crescita del seme (che può sempre produrre fino a 100 volte tanto), mostrando in questo il compimento dei desideri del cuore dell’uomo (“Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna” (Mt 19,29).

Quanto ai vari tipi di terreno, che possiamo intendere come le possibili condizioni di una conversione sempre più coinvolgente e radicale, sono presentati come la strada, i sassi, le spine, la terra buona. Dobbiamo operare tre passaggi per arrivare a produrre qualche frutto.

Dobbiamo prima lasciare l’essere come la strada, terreno calpestato, quando diamo diritto d’accesso al cuore a qualsiasi pensiero, senza imparare a distinguere e a lottare per non andar dietro ad ognuno che passa e subire vessazioni di ogni tipo.

Poi dobbiamo lasciare l’essere come i sassi, il terreno con poca terra, quando il cuore teme di soffrire per seguire il Signore, quando non ha fiducia nella sua promessa e cedendo a questa paura non conoscerà mai l’amore e la vita!

Poi dobbiamo lasciare il terreno con le spine, il terreno infestato, quando nel cuore si fa sentire la resistenza al distacco da tutto ciò che momentaneamente ci alletta. Troppi beni finiscono per nascondere il vero Bene; le pretese impediscono al cuore di godere. Lavorando per non compromettere il cuore in cose che ritardano o addirittura soffocano i suoi aneliti più genuini, la terra diventa buona.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

Prima Lettura  Is 55, 10-11

Dal libro del profeta Isaia.

Così dice il Signore:

«Come la pioggia e la neve scendono dal cielo

e non vi ritornano senza avere irrigato la terra,

senza averla fecondata e fatta germogliare,

perché dia il seme a chi semina

e il pane a chi mangia,

così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca:

non ritornerà a me senza effetto,

senza aver operato ciò che desidero

e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata».

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 64

Tu visiti la terra, Signore, e benedici i suoi germogli.

Tu visiti la terra e la disseti,

la ricolmi di ricchezze.

Il fiume di Dio è gonfio di acque;

tu prepari il frumento per gli uomini.

Così prepari la terra:

ne irrìghi i solchi, ne spiani le zolle,

la bagni con le piogge e benedici i suoi germogli.

Coroni l’anno con i tuoi benefici,

i tuoi solchi stillano abbondanza.

Stillano i pascoli del deserto

e le colline si cingono di esultanza.

I prati si coprono di greggi,

le valli si ammantano di messi:

gridano e cantano di gioia!

Seconda Lettura  Rm 8, 18-23

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani

Fratelli, ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio.

La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio.

Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo.

 

Vangelo  Mt 13,1-23

Dal vangelo secondo Matteo

[ Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia.

Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti».  ]

Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono.

Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice:

“Udrete, sì, ma non comprenderete,

guarderete, sì, ma non vedrete.

Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,

sono diventati duri di orecchi

e hanno chiuso gli occhi,

perché non vedano con gli occhi,

non ascoltino con gli orecchi

e non comprendano con il cuore

e non si convertano e io li guarisca!”.

Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!

Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».