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Ottavo ciclo

Anno liturgico A (2022-2023)

Tempo Ordinario

XXVIII Domenica

(15 ottobre 2023)

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Is 25,6-10a;  Sal 22 (23);  Fil 4,12-14.19-20;  Mt 22,1-14

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Rispetto alle parabole precedenti, con questa Gesù aggiunge due particolari nuovi al tentativo di svegliare la coscienza dei capi del popolo. Prima l’accento era sul padrone, ora sugli invitati. Per farci un’idea più verosimile della scena dell’invito per le nozze, dobbiamo rifarci al passo parallelo di Luca 14, più sobrio, dove un uomo facoltoso dà una cena e manda a chiamare gli invitati, rispondendo a un commensale che si era entusiasmato al discorso che Gesù andava facendo nella casa del suo ospite e che aveva pensato alla gioia del banchetto nel regno. Nel racconto di Matteo tutto è inverosimile, ma all’evangelista non interessano le incongruenze evidenti (banchetto di nozze, spedizione di guerra e ritorno al banchetto). Probabilmente Matteo legge la parabola nel suo significato di giudizio profetico e quindi fa accenno alla distruzione di Gerusalemme dell’anno 70. Nei due racconti di Matteo e Luca è agli invitati che dobbiamo guardare anzitutto.

I primi invitati rifiutano. Interessante osservare che nel testo di Matteo gli invitati se ne impipano e voltano le spalle ai servi che portano l’invito, mentre nel testo di Luca è detto che si giustificano adducendo scuse. La sostanza è la medesima: non accolgono l’invito. Il padrone allora manda a portare l’invito ad altri. Ecco il primo particolare nuovo: “andate ora ai crocicchi delle strade”. Non si tratta dei crocicchi all’interno della città, ma dei punti di confluenza delle strade fuori della città. Il significato evidente risulta: non solo gli israeliti sono invitati, ma tutti i popoli. Il passo del profeta Isaia della prima lettura lo proclama apertamente: “Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli …”. Si tratta del sontuoso banchetto che inaugura il Regno messianico, offerto a tutti.

Nella visione del profeta tre sono gli aspetti che caratterizzeranno la gioia della vita: la conoscenza del Signore invaderà tutti i cuori (‘il velo strappato’), non ci sarà più morte, ognuno godrà personalmente (‘lacrime asciugate’). È allora che ciascuno e tutti diranno: “Ecco il nostro Dio”, sottolineando nostro come espressione di una esperienza goduta. La parabola sottintende: quando le nozze del Figlio saranno celebrate, guardando a Colui che è stato trafitto, allora si potrà dire: “Ecco il nostro Dio”. Ecco dove l’amore ha condotto il nostro Dio, ecco l’amore che fa vivere il nostro cuore. La visione di quell’amore non vale semplicemente per me, ma per me se vale contemporaneamente per tutti. Così, non si tratta di credere semplicemente al Figlio di Dio, ma di vedere il suo amore per noi che diventa in noi radice di vita per tutti. Così custodiamo per tutti l’invito alla tavola del re.

Stesso invito risuona nel salmo responsoriale. L’immagine del pastore che ci procura ristoro allude alla rivelazione di Gesù: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11,29-30). L’invito alle nozze corrisponde al ‘venite’ di Gesù e per noi si traduce nell’andarci in compagnia di tutti i nostri fratelli, senza distinzione, perché il suo desiderio di comunione con noi si compia nel suo splendore. L’invito ha un sapore eminentemente eucaristico, tanto che ogni parola del Signore è un invito al banchetto, è un invito all’eucaristia.

C’è anche un secondo particolare nuovo nella parabola di Gesù. Alla fine, il re entra nella sala e scorge uno che non ha la veste nuziale. I primi invitati non erano degni, ma nemmeno è scontato che tutti gli altri invitati possano entrare comunque alla festa nuziale. La parabola, cioè, allude sia al possibile rifiuto in Israele come al possibile rifiuto nella Chiesa: gli invitati rinunciano e non partecipano alla festa; anche il commensale, che non porta la veste nuziale, verrà estromesso dalla sala di nozze. Sono chiamati tutti, buoni e cattivi; non c’è alcuna distinzione rispetto all’invito. Anzi, come prega la colletta: “O Padre, che inviti il mondo intero alle nozze del tuo Figlio …”, la dignità dell’uomo si misura sul fatto di non impedire a nessuno l’accesso all’invito: siamo chiamati tutti alla stessa tavola del re. Quando però disprezziamo il nostro fratello, quando portiamo rancore, quando creiamo distanza con i nostri fratelli, quando li sfruttiamo invece di servirli, è come se impedissimo loro di ricevere l’invito del re a venire alla stessa tavola della vita, ma impedendo anche a noi di venirci.

Le nozze dell’Agnello (“sono giunte le nozze dell’Agnello”, Ap 19,7) sono l’immolazione del Figlio nella sua dimensione di compimento e vivibilità della comunione tra Dio e gli uomini dentro lo splendore di un amore goduto. Perché il re proclama che gli invitati non erano degni? Non ci sono condizioni previe da osservare; c’è semplicemente il fatto di non aver accolto l’invito. L’indegnità corrisponde dunque al rifiuto dell’invito del proprio Signore. L’uomo non è mai indegno rispetto all’amore del Signore perché è il Signore che prende l’iniziativa di rivolgergli il suo amore, senza condizioni. Ma l’uomo può sempre opporre le sue ragioni, può ripararsi dietro una falsa nobiltà ostentata delle sue ragioni e non aderire.

E se ancora ci perseguitasse l’idea di indegnità rispetto alla chiamata all’amore, allora valgono le parole del canto di ingresso: “Se consideri le nostre colpe, Signore, chi potrà resistere? Ma presso di te è il perdono, o Dio di Israele” (Sal 130,3-4). Il perdono di Dio corrisponde all’invito alla sua tavola in compagnia di tutti. Così sono custodite la preziosità dell’invito e l’umiltà per l’invitato. Come suggerisce il versetto dell’alleluia tratto dalla lettera agli Efesini, il cui passo completo suona: “il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi …” (Ef 1,17-18). Possa davvero il nostro cuore aprirsi al dono di speranza e di gloria che il Signore ha preparato per noi!

Un’ultima osservazione. Alle nozze del Figlio fa riscontro la nostra gioia, non la nostra perfezione. Ma la gioia dice l’apertura del nostro cuore all’invito del Padre, nonostante la nostra patente indegnità. In questo contesto suona molto strana la dichiarazione finale della parabola: ‘molti sono chiamati, ma pochi eletti’. Di tutta la moltitudine che riempiva la sala, solo uno è stato trovato senza la veste appropriata! Solo per ricordare che la fiducia nell’amore di Dio non deve giocare come un pretesto, ma come un’attrazione.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono tratti dal sito della Chiesa Cattolica italiana: chiesacattolica.it]

Prima Lettura  Is 25,6-10a

Dal libro del profeta Isaìa

Preparerà il Signore degli eserciti

per tutti i popoli, su questo monte,

un banchetto di grasse vivande,

un banchetto di vini eccellenti,

di cibi succulenti, di vini raffinati.

Egli strapperà su questo monte

il velo che copriva la faccia di tutti i popoli

e la coltre distesa su tutte le nazioni.

Eliminerà la morte per sempre.

Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto,

l’ignominia del suo popolo

farà scomparire da tutta la terra,

poiché il Signore ha parlato.

E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio;

in lui abbiamo sperato perché ci salvasse.

Questi è il Signore in cui abbiamo sperato;

rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza,

poiché la mano del Signore si poserà su questo monte».

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 22 (23)

R. Abiterò per sempre nella casa del Signore.

Il Signore è il mio pastore:

non manco di nulla.

Su pascoli erbosi mi fa riposare,

ad acque tranquille mi conduce.

Rinfranca l’anima mia. R.

Mi guida per il giusto cammino

a motivo del suo nome.

Anche se vado per una valle oscura,

non temo alcun male, perché tu sei con me.

Il tuo bastone e il tuo vincastro

mi danno sicurezza. R.

Davanti a me tu prepari una mensa

sotto gli occhi dei miei nemici.

Ungi di olio il mio capo;

il mio calice trabocca. R.

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne

tutti i giorni della mia vita,

abiterò ancora nella casa del Signore

per lunghi giorni. R.

Seconda Lettura  Fil 4,12-14.19-20

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési

Fratelli, so vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza. Avete fatto bene tuttavia a prendere parte alle mie tribolazioni.

Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù.

Al Dio e Padre nostro sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Vangelo  Mt 22,1-14

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse:

«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.

Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.

Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.

Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.

Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».