Settimo ciclo
Anno liturgico B (2020-2021)
Tempo Ordinario
VI Domenica
(14 febbraio 2021)
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Lv 13,1-2.45-46; Sal 31; 1Cor 10,31-11,1; Mc 1,40-45
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Oggi le letture parlano di lebbra, le preghiere di peccato. È esattamente la corrispondenza da cogliere, intuendo la natura del peccato nell’orrore della lebbra. L’antifona di introduzione subito richiama alla realtà della vita dell’uomo. Se Dio deve essere per noi rifugio e fortezza, vuol dire che la vita dell’uomo si gioca in continue prove, afflizioni di ogni genere, insidie e attacchi di nemici, paure e tormenti. Il salmo allora proclama: Per la tua misericordia salvami! E chi ha già fatto questa esperienza la ricorda ai suoi fratelli: Rendete saldo il vostro cuore nella speranza in Dio. Così termina il salmo 30, il salmo dell’antifona di introduzione.
Marco presenta il lebbroso che riesce ad arrivare a Gesù come uno che ha spiato i movimenti di Gesù per sorprenderlo quando è solo. In effetti, non grida per richiamare l’attenzione, per avvertire che si avvicina un uomo impuro, come la legge prescriveva. Matteo, invece, che non bada alle incongruenze del suo racconto (classica quella della descrizione dell’entrata di Gesù in Gerusalemme a cavallo dell’asina e del puledro!) presenta l’episodio come il primo miracolo che Gesù compie scendendo dalla montagna, dove aveva appena proclamato le sue beatitudini, con tutta la folla che lo circonda. E siccome le beatitudini sono la rivelazione della fraternità in Dio, guarire dalla lebbra vuol dire allora ricevere la rivelazione che è giunto a noi il regno di Dio, vuol dire che possiamo tornare a non avere paura di Dio e del prossimo, vuol dire ritornare a vivere in umiltà e mitezza, in libertà e gratuità, toccati da Dio. Così, la vita santa, quella in rapporto alla santità di Dio goduto nel suo desiderio di comunione con noi, non è più definita secondo i termini della legge. La discriminante tra santo e non santo si sposta e i confini sono radicalmente cambiati perché Dio si è fatto prossimo a noi nella sua compassione. Il nesso guarigione/purificazione, da leggere in rapporto alla beatitudine: “beati i puri di cuore perché vedranno Dio”, acquista la luminosità della tenerezza di Dio che libera e ci rende capaci a nostra volta di tenerezza luminosa per l’uomo.
Marco annota: “Ne ebbe compassione”. Antichi codici riportano la lezione “Si sdegnò”, ad indicare il coinvolgimento di Gesù davanti al lebbroso. In effetti, lo statuto del lebbroso secondo la legge era terribile, come riporta la prima lettura del Levitico. La sua malattia, oltre il peso sociale dell’esclusione, comportava l’esclusione dal culto, dall’accesso alla santità di Dio che la Legge definiva in termini di partecipazione alla vita del popolo santo di Dio e al culto del vero Dio. Quando Gesù guarisce il lebbroso, non guarisce semplicemente un malato, ma modifica radicalmente la condizione interiore del malato restituendolo ad una vita santa. Proprio qui si mostra il prodigio che Gesù opera, che va ben al di là di quella guarigione. Il testo, a proposito della lebbra, non parla di guarigione, ma di purificazione.
Tutti e tre i sinottici riportano la volontà espressa di Gesù: “Lo voglio, sii purificato”. Non è da leggere soltanto la compassione del Signore per un uomo malato e angosciato, ma l’ansia di riportare il regno di Dio nel cuore dell’uomo, la fretta e l’ardore di mostrare come l’amore di Dio che raggiunge i cuori fa risplendere in modo nuovo l’umanità che li sostanziano. È come se dicesse: ‘ardo dal desiderio di mostrarvi quanto è grande l’amore del Padre’, ‘bramo che il suo amore vi raggiunga’, ‘voglio che la vostra umanità risplenda di tutta la sua luce’. Nel suo volere va letto il desiderio di compiere il disegno del Padre, di riscattare gli uomini non dalle malattie, ma dal peccato, di cui la malattia della lebbra era il segno per eccellenza.
Rivado ad almeno altri tre passi evangelici che sottolineano la espressa volontà di bene di Gesù. Quando Gesù è a tavola con gli amici pubblicani di Matteo risponde alle insinuazioni dei farisei con il rimando al profeta Osea: “Voglio l’amore e non il sacrificio” (Os 6,6; Mt 9,13; 12,7). Quel ‘voglio’ allude al mistero di Dio nella sua compassione verso i suoi figli. Quando Gesù è nel Getsemani prega: “Non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36). Il volere del Padre sta tutto nel manifestare la grandezza del suo amore, volere che Gesù intimamente condivide nella sua umanità. Quando Gesù innalza la sua preghiera sacerdotale a favore dei suoi discepoli dice: “voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io” (Gv 17,24).
La vecchia colletta ci faceva pregare: “Risanaci, o Padre, dal peccato che ci divide e dalle discriminazioni che ci avviliscono”. Dividere e avvilire sono le due caratteristiche della malattia della lebbra. I peccati nostri hanno lo stesso destino: insidiano la fraternità, irrigidiscono i rapporti, contaminano il cuore da renderlo inaccessibile al cuore degli altri, separano ed opprimono. Così la purità, con Gesù, viene definita come spazio luminoso, spazio che torna a risplendere (=guarigione) per rapporti fraterni pacifici, dove il Padre è visto nel suo amore per noi. Ad occupare l’atmosfera del cuore non c’è più l’immondezza dei demoni, ma lo splendore del Figlio di Dio che permette all’umanità di compiersi finalmente e glorificare così il Padre.
Quando il lebbroso guarito, nonostante l’invito contrario di Gesù, non riesce a frenare il bisogno di annunciare a tutti la sua guarigione, il testo annota: “si mise a proclamare e a divulgare il fatto”. In realtà però il testo dice semplicemente: “cominciò a proclamare molto e a divulgare la parola”. È la parola di Gesù diventata per lui fatto. Non si annunciano semplicemente parole, ma fatti che rivelano la potenza della parola. Quello che parla ai cuori sarà sempre la Parola, capace di operare in chi ascolta le stesse cose meravigliose di cui porta testimonianza chi annuncia.
Per questo la preghiera caratteristica della liturgia di oggi è il salmo 32: “Ho detto: ‘Confesserò al Signore le mie iniquità’ e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato”. L’audacia del lebbroso che, contravvenendo alla legge, si avvicina a Gesù, corrisponde nel salmo all’audacia del peccatore che decide di manifestare il suo peccato. La compassione di Gesù che ottiene la guarigione/purificazione del lebbroso corrisponde alla misericordia perdonante di Dio che fa la beatitudine del peccatore, il quale ritrova la gioia dell’alleanza con il suo Signore. E i Padri commentano: “Brevissima è la regola: piace a Dio colui cui piace Dio” (Agostino); “Lui che si dispiace di se stesso soddisfa il Signore poiché quando noi ci scontriamo con noi stessi cerchiamo la verità, ma quando noi cerchiamo di lodare noi stessi le nostre parole sono piene di falsità” (Cassiodoro); “Una persona retta accusa se stessa sin dall’inizio del suo discorso” (Evagrio Pontico). Senza dimenticare che, se l’uomo arriva a manifestare il suo peccato, è perché la misericordia di Dio già ha lavorato il suo cuore, che è così pronto a tornare luminoso.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]
Prima Lettura Lv 13,1-2.45-46
Dal libro del Levìtico
Il Signore parlò a Mosè e ad Aronne e disse: «Se qualcuno ha sulla pelle del corpo un tumore o una pustola o macchia bianca che faccia sospettare una piaga di lebbra, quel tale sarà condotto dal sacerdote Aronne o da qualcuno dei sacerdoti, suoi figli.
Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro! Impuro!”. Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento».
Salmo Responsoriale Dal Salmo 31
La tua salvezza, Signore, mi colma di gioia.
Beato l’uomo a cui è tolta la colpa
e coperto il peccato.
Beato l’uomo a cui Dio non imputa il delitto
e nel cui spirito non è inganno.
Ti ho fatto conoscere il mio peccato,
non ho coperto la mia colpa.
Ho detto: «Confesserò al Signore le mie iniquità»
e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato.
Rallegratevi nel Signore ed esultate, o giusti!
Voi tutti, retti di cuore, gridate di gioia!
Seconda Lettura 1 Cor 10,31 – 11,1
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. Non siate motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse ma quello di molti, perché giungano alla salvezza.
Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo.
Vangelo Mc 1, 40-45
Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!».
E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.