WORDPDF

Quinto ciclo

Anno liturgico C (2015-2016)

Tempo di Quaresima

II  Domenica

(21 febbraio 2016)

_________________________________________________

Gn 15,5-12.17-18;  Sal 26;  Fil 3,17-4,1;  Lc 9,28b-36

_________________________________________________

Luca fa seguire il racconto della trasfigurazione all’annuncio della passione (“Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno”, Lc 9,22). Come la Chiesa accompagna i fedeli nel duro cammino quaresimale con la sosta sul monte, per riempire gli occhi dei fedeli con la visione della gloria del Signore e predisporli alla visione del Signore crocifisso.

Il racconto, come suggerisce l’antifona di ingresso della liturgia odierna, ha senso solo per un cuore che può dire con il salmo: “Il mio cuore ripete il tuo invito: ‘Cercate il mio volto!’. Il tuo volto, Signore, io cerco” (Sal 26/27,8). Reso nella versione latina con il trasporto dell’emozione: “Tibi dixit cor meum: exquisivit te facies mea; faciem tuam, Domine, requiram”. Proprio quello che la colletta esprime con la supplica: “Dio grande e fedele, che riveli il tuo volto a chi ti cerca con cuore sincero …”.

La sincerità è abbinata all’accoglienza della rivelazione della passione, ad accogliere lo scandalo della croce, come Gesù ripetutamente insegna ai suoi discepoli. La mescolanza di fascino e timore, di attrazione e paura, che suscita il Signore Gesù proprio nel momento in cui lascia trasparire la bellezza del suo volto “altro” (in italiano traduciamo: “Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto”) è resa molto bene dagli antichi pittori di icone. I tre apostoli sono raffigurati scaraventati a terra e solo come di soppiatto riescono a intravedere la scena straordinaria che si presenta ai loro occhi. Il testo del vangelo li descrive nell’atto di svegliarsi come da un sonno, resi capaci per un attimo di restare abbagliati dalla visione di Gesù con i suoi interlocutori mentre questi si congedano da lui. Più che la visione il testo accentua la voce: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo”. Sensazione rimarcata dal fatto che la voce orienta gli sguardi non alla gloria di Gesù, ma al Gesù solo, al Gesù dell’aspetto di sempre, quello che gli apostoli conoscevano bene, quello che con decisione andrà a Gerusalemme per subirvi la passione.

I discepoli ancora non possono sapere fin dove li porterà l’ascoltare il loro Maestro e ancora non possono conoscere tutta la profondità dell’espressione: “il Figlio mio, l’eletto”, che nei passi paralleli di Matteo e Marco suona come “il Figlio mio, l’amato”, come poi si rivelerà alle loro coscienze e ai loro occhi con la passione-morte-risurrezione di Gesù. Anzi, tutta la scena della trasfigurazione sembra abbia lo scopo, nella narrazione evangelica, di segnare i cuori dei discepoli in vista della prova della croce. Così non può che seguire la consegna del silenzio, perché l’evento divino, ancora misterioso al loro cuore, non si trasformi in un motivo di vanto o di confusione.

La proclamazione della voce misteriosa, già sentita al battesimo di Gesù nel Giordano, è costruita sul salmo 2,7: “Egli mi ha detto: Tu sei mio figlio” e su Isaia 42,1: “Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui”. Lo conferma il redattore della seconda lettera di Pietro: “Infatti, vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. Egli infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria: «Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento». Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte” (2Pt 1,16-18).

L’annotazione della preghiera sul monte allude alla rivelazione che sta per compiersi. Di per sé, però, la rivelazione non riguarda la visione della gloria, ma il senso misterioso di quella gloria. In un attimo folgorante, i discepoli vedono, sì, la gloria di Gesù, ma senza rendersi ben conto. La rivelazione della gloria ha a che fare invece con il segreto di Dio per l’uomo, che costituisce il colloquio tra Gesù e i due personaggi: “e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme”, ma che Pietro e i suoi compagni non sanno ancora reggere. Pietro, che non aveva potuto accettare una settimana prima l’umiliazione e la sofferenza del suo Maestro, ora davanti al Signore trasfigurato, non sa quel che dice. Se l’evento della Pasqua del Signore sta al centro del mondo, del senso del mondo, come potevano i discepoli comprendere che fin dalla creazione del mondo il colloquio tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo verte sull’immolazione dell’agnello, figura dell’amore che Dio riversa sul mondo e di cui la gloria della trasfigurazione è l’allusione misteriosa? Sanno solo che quel Figlio, l’Eletto, è degno di Dio, custodisce il segreto di Dio per l’uomo e attendono di conoscerlo per davvero imparando ad ascoltarlo, ad ascoltarlo per seguirlo e a seguirlo per ascoltarlo, finché si manifesti finalmente al cuore. Il senso della paura che prende i discepoli è appunto il segno del desiderio e del rischio insieme che caratterizza l’avventura dell’uomo toccato dall’offerta d’amore del suo Dio.

Eppure, nel riconoscere Mosè ed Elia in colloquio con Gesù, intuiscono che tutte le Scritture, di cui Mosè ed Elia costituiscono l’espressione riconosciuta, tendono a quella rivelazione, che tutte le Scritture si compiranno in quell’evento. Non solo, ma presentare il colloquio che avviene nella gloria significa collocare quell’evento nella dimensione divina, nella quale si radica la storia degli uomini. E non è inutile sottolineare che la gloria di Gesù non può che apparire dal fondo della promessa di Dio al suo popolo, promessa che la Legge e i Profeti, Mosè ed Elia, custodiscono e svelano, mentre anch’essi ne aspettano il compimento.

^§^§

I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

Prima Lettura  Gn 15,5-12.17-18

Dal libro del Gènesi

In quei giorni, Dio condusse fuori Abram e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.

E gli disse: «Io sono il Signore, che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questa terra». Rispose: «Signore Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?». Gli disse: «Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un colombo».

Andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all’altra; non divise però gli uccelli. Gli uccelli rapaci calarono su quei cadaveri, ma Abram li scacciò.

Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco terrore e grande oscurità lo assalirono.

Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un braciere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi. In quel giorno il Signore concluse quest’alleanza con Abram:

«Alla tua discendenza

io do questa terra,

dal fiume d’Egitto

al grande fiume, il fiume Eufrate».

Salmo Responsoriale  dal Salmo 26

Il Signore è mia luce e mia salvezza.

Il Signore è mia luce e mia salvezza:

di chi avrò timore?

Il Signore è difesa della mia vita:

di chi avrò paura?

Ascolta, Signore, la mia voce.

Io grido: abbi pietà di me, rispondimi!

Il mio cuore ripete il tuo invito:

«Cercate il mio volto!».

Il tuo volto, Signore, io cerco.

Non nascondermi il tuo volto,

non respingere con ira il tuo servo.

Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi,

non abbandonarmi, Dio della mia salvezza.

Sono certo di contemplare la bontà del Signore

nella terra dei viventi.

Spera nel Signore, sii forte,

si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore.

Seconda Lettura  Fil 3,17-4,1

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi

Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi. Perché molti – ve l’ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto – si comportano da nemici della croce di Cristo. La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra.

La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose.

Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi!

Vangelo  Lc 9,28b-36

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.

Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.

Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva.

Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».

Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.