Quinto ciclo

Anno liturgico B (2014-2015)

Tempo di Quaresima

 

V  Domenica

(22 marzo 2015)

_________________________________________________

Ger 31,31-34;  Sal 50;  Eb 5,7-9;  Gv 12,20-33

_________________________________________________

 

L’antica colletta fa pregare: “Vieni in nostro aiuto, Padre misericordioso, perché possiamo vivere e agire sempre in quella carità, che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi”. È la prospettiva nella quale ascoltare la proclamazione della parola in questa liturgia di quaresima, ormai prossimi alla festa di Pasqua.

Gesù era stato accolto a Betania con la tenerissima e misteriosa unzione di Maria; era appena entrato trionfante in Gerusalemme; la notizia della risurrezione di Lazzaro correva sulla bocca di tutti e tutti accorrevano per vedere l'uno e l'altro. Si era in prossimità della festa di pasqua quando salivano a Gerusalemme non solo gli ebrei ma anche i pagani simpatizzanti di Israele, i proseliti. Le autorità del popolo avevano già decretato la morte di Gesù.

L’ora di Gesù scatta con la richiesta dei gentili a Filippo: “Signore, vogliamo vedere Gesù”. Vedere Gesù vuol dire vedere il Salvatore, vedere il Dio che salva. E in effetti, la risposta di Gesù allude a questo. Parla di glorificazione, di innalzamento, ma si riferisce alla sua morte in croce.

Siamo di fronte al segreto di Dio che si apre allo sguardo dei suoi figli. “Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome”. Il vangelo di Giovanni non parla dell’angoscia del Getsemani. Qui la lascia intravedere, eco delle parole dei salmi 6,3 e 41,6-7: “trema tutta l’anima mia”, “in me si rattrista l’anima mia”. L’intensità dell’angoscia di Gesù, condivisa dal Padre, raccoglie in un punto supremo la sua umanità che si abbandona al Padre nel suo amore per gli uomini. È questo amore condiviso con il Padre e con gli uomini che permetterà a Gesù di attirare tutti alla salvezza e scacciare il principe di questo mondo, vale a dire dare la vita nella morte, ricevere la vita nella morte. Quando Gesù, al culmine della sua angoscia, prega: “Padre, glorifica il tuo nome” manifesta tutta la sua intimità con il Padre, tanto che chiede al Padre di far splendere l’amore suo in lui in tutta la sua potenza, perché il nome del Padre è proprio Gesù, il volto visibile del Padre.

Gesù si paragona al chicco di grano che, caduto in terra, muore e porta frutto. Il paragone era usato sia nella tradizione rabbinica che poi in san Paolo come immagine della risurrezione. L’immagine non verte sulla abbondanza del frutto, ma sulla qualità del frutto, che designa la potenza di una vita non più mortificabile, non più soggetta alla morte, quella vita che il Signore ci rende perché ci fa partecipi della sua, in intimità con il Padre. E la vita che non è più soggetta alla morte è lo splendore di un amore che nessuna ingiustizia e violenza piega o mortifica. Per questo Gesù continua nella sua spiegazione con la massima dell’amare o dell’odiare la propria vita: “Chi ama la propria vita, la perde [la distrugge] e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna”. Odiare, contrapposto ad amare, ha il significato di non considerare come un valore supremo. Ne deriva il significato: chi non teme nemmeno la propria morte è sovranamente libero, per amare totalmente. Chi non teme la propria morte disarma il potere perverso del male e lo caccia fuori dal mondo, cioè lo esclude dalla vita. Evidentemente, non si tratta di un’azione puntuale, ma di un processo, secondo il paragone del chicco di grano che porta frutto, perché interessa tutto il corso della vita.

E come è di Gesù, così sarà del suo discepolo. Se Gesù è nell’amore del Padre per i suoi figli, così anche i discepoli saranno nell’amore di Gesù per tutti, godendo di quella vita in Dio che è splendore di amore per noi. ‘Servire’, ‘seguire’, hanno il valore di essere messi a parte del segreto di Dio nel suo amore per il mondo, che in Gesù, proprio quando è innalzato sulla croce, risplende luminoso. Il suo essere levato il alto non allude semplicemente al morire, ma al trasformarsi in potenza vivificante e salvatrice dalla morte, che a noi si comunica per vivere della sua stessa vita.

Se il salmo responsoriale invoca “rendimi un cuore nuovo”, è perché, guardando al Crocifisso, possiamo avere un cuore di carne dove l’amore è iscritto come partecipazione al segreto di Dio: “quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”, proprio come viene descritto nella scena della crocifissione, alla sua conclusione: “Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: ‘Veramente quest’uomo era giusto’. Così pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto” (Lc 23,47-48). Di lui dice la lettera agli Ebrei: “Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì”. È lo splendore dell’obbedienza dell’amore nel quale troviamo vita noi e confermiamo la  vita di tutti, stando uniti al Signore Gesù. Questo significa avere il cuore puro, il cuore nuovo.

Ora, come accedere a questa visione di Gesù Salvatore? Ce lo rivela il profeta Geremia: “Porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Non dovranno più istruirsi l’un l’altro dicendo: ‘Conoscete il Signore’, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande – oracolo del Signore -, poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato”. “Tutti mi conosceranno”; “perché io perdonerò la loro iniquità”: ecco i due passaggi nevralgici. Quel perché dice la condizione e il tempo del conoscere. Possiamo conoscere Dio solo sperimentando il suo perdono. E possiamo venire perdonati solo riconoscendo di essere peccatori. Più forte è la coscienza del nostro essere peccatori, più profonda sarà l'esperienza del perdono e più rigenerante l'incontro con il Signore, finalmente conosciuto nel suo amore per noi. E per non cadere nell'illusione sentimentale di sentirsi peccatori, senza averne la coscienza in verità, basta riferirsi alle nostre reazioni di fronte all'ingiustizia e alla violenza che ci arrivano addosso dai fratelli. Se davvero abbiamo coscienza di essere peccatori, non rivendicheremo nulla, non ci offenderemo, non resteremo oppressi, perché non vogliamo perdere l'esperienza di quell'amore che costituisce il vero tesoro di vita del nostro cuore. Allora l'alleanza conclusa da Dio con noi è scritta davvero sul nostro cuore. Allora resteremo innalzati con il nostro Signore, crocifisso, e la salvezza, mentre tiene saldi noi, attirerà anche i nostri fratelli.

 

§^§^§

 

I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

 

Prima Lettura  Ger 31, 31-34

Dal libro del profeta Geremìa

 

Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore –, nei quali con la casa d’Israele e con la casa di Giuda concluderò un’alleanza nuova. Non sarà come l’alleanza che ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dalla terra d’Egitto, alleanza che essi hanno infranto, benché io fossi loro Signore. Oracolo del Signore.

Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele dopo quei giorni – oracolo del Signore –: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Non dovranno più istruirsi l’un l’altro, dicendo: «Conoscete il Signore», perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande – oracolo del Signore –, poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato.

 

Salmo Responsoriale  dal Salmo 50

Crea in me, o Dio, un cuore puro.

Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;

nella tua grande misericordia

cancella la mia iniquità.

Lavami tutto dalla mia colpa,

dal mio peccato rendimi puro.

 

Crea in me, o Dio, un cuore puro,

rinnova in me uno spirito saldo.

Non scacciarmi dalla tua presenza

e non privarmi del tuo santo spirito.

 

Rendimi la gioia della tua salvezza,

sostienimi con uno spirito generoso.

Insegnerò ai ribelli le tue vie

e i peccatori a te ritorneranno.

 

Seconda Lettura  Eb 5,7-9

Dalla lettera agli Ebrei

Cristo, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito.

Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.

 

Vangelo  Gv 12,20-33

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù».

Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome».

Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».

La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.