Quinto ciclo
Anno
liturgico B (2014-2015)
Tempo
Ordinario
XIII Domenica
(28 giugno
2015)
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Sap 1,13-15;
2,23-24; Sal 29; 2 Cor 8,7.9.13-15; Mc 5,21-43
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La
narrazione dei due miracoli, la riconsegna alla vita della bambina morta e la
guarigione dell’emorroissa, illustra la potenza della parola di Gesù che poco a
poco svela il mistero della sua persona.
Possiamo
entrare nel brano evangelico attraverso il canto del vangelo: “Il salvatore nostro Gesù Cristo ha vinto la
morte e ha fatto risplendere la vita per mezzo del Vangelo” (cfr. 2Tm 1,10)
e la conclusione della prima lettura tratta dal libro della Sapienza: “Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata
nel mondo e ne fanno esperienza coloro che le appartengono” (Sap 2,24). Una
prima osservazione sulla traduzione. Paolo, alla fine della sua vita,
nell’imminenza del martirio, sintetizza il senso del vangelo nello splendore
della vita che il Signore Gesù ha fatto scaturire per l’uomo riscattandolo
dalla morte. A dire il vero, il testo greco non riporta ‘ha vinto’, ma, in
contrapposizione al ‘fece risplendere’, dice con più precisione ‘ha reso
inefficace la morte’, vale a dire ha svigorito la morte di tutto il suo potere,
potendola ormai patire senza subirne la condanna. Ha lo stesso valore
dell’espressione che viene riportata nel vangelo di Giovanni: satana gli viene
contro con tutto il suo potere ma non trovando nulla di suo in lui non lo può
distogliere dal suo compito di mostrare quanto è grande l’amore di Dio per gli
uomini e quanto lui ama il Padre (cf. Gv 14,30-31). É vinta definitivamente
l’invidia del diavolo e il cuore dell’uomo può tornare a splendere dell’amore
di Dio che conferisce la vita.
La
conclusione del brano della Sapienza andrebbe così inteso: “Ma per l’invidia
del diavolo la morte è entrata nel mondo e quelli della sua parte la
sperimentano”. E il versetto precedente: “Dio ha creato l’uomo con
incorruttibilità, lo ha creato a immagine della propria eternità”, intendendo:
l’eternità è la perfetta felicità perché senza possibilità di corruzione. Così,
quelli che sono tratti dalla parte del diavolo sperimentano la morte. E qui
morte non allude alla morte biologica, ma alla morte spirituale, alla
mortificazione del cuore che non conosce più l’amore e subisce la
mortificazione dell’essere.
Si tratta
della conclusione del ragionamento degli empi, introdotto con le parole: “Dicono fra loro sragionando” e definito:
“Hanno
pensato così, ma si sono sbagliati; la loro malizia li ha accecati. Non
conoscono i misteriosi segreti di Dio ...” (Sap 2,1.21-22). Ora, quel
ragionamento è ripreso nel vangelo di Matteo alla crocifissione di Gesù quando
i capi: “... facendosi beffe di lui
dicevano: ‘Ha salvato gli altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele;
scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio, lo liberi lui,
ora, se gli vuol bene” (Mt 27,42-43). I segreti di Dio riguardano proprio
quel Figlio, venuto perché gli uomini abbiano la vita e la vita in abbondanza.
Così, i
miracoli, narrati nel brano di oggi con tale intensità da assumere valenze
simboliche precise, alludono alla potenza salvatrice del Figlio, testimone
dell’amore di Dio per l’uomo, amore che farà risplendere proprio nel suo essere
innalzato sulla croce, quando il potere della morte sarà esautorato. I miracoli
sono l’occasione di rivelazione del Figlio di Dio, rivelazione che necessita,
per esplicitare la sua potenza nel cuore dell’uomo, della fede.
Di due
personaggi è mostrata la fede: un capo della sinagoga, Giairo e una donna,
l’emorroissa. Alcuni particolari sono assolutamente significativi. Gesù è già
stato scomunicato dalla sinagoga (cfr. Mc 3,6 e 3,22) e uno dei capi insiste,
prostrandosi ai piedi di Gesù, perché venga a guarire sua figlia agli estremi e
che muore prima che possano arrivare a casa. Ma Giairo continua a credere,
anche quando tutti ormai lo dissuadono. Il brano suggerisce almeno due cose. La
prima: quando Gesù è supplicato con fede, interviene. Il testo annota: “Andò
con lui”. Gesù accompagna chi ha fede in lui nel tempo e lungo la strada per
ottenere la grazia, che avviene in condizioni insperate o disperate. Gesù salva
e fa vivere: questo significa fare il bene, come aveva espressamente dichiarato
in sinagoga davanti all’uomo della mano inaridita (cfr. Mc 3,1-6). La seconda:
il contrario della fede non è la non fede, ma la derisione, come il testo
annota rispetto alla gente che piangeva e urlava forte: “E lo deridevano” (Mc
5,40). Stessa derisione che avviene sotto la croce! È la derisione che ci
chiude nelle nostre impossibilità di avere la vita!
L’emorroissa,
la donna che per la sua malattia era dichiarata immonda (cf. Lev 15,25-27),
nella calca generale, è l’unica a toccare Gesù. Gesù se ne accorge perché chi
lo tocca nella fede permette alla sua potenza salvatrice di operare. Così lui,
che è il Santo, santifica; lui, che è il Salvatore, salva; lui, che è il
Potente, soccorre e guarisce. Chi non ha vivo il senso della propria
immondezza, della propria miseria, non ha fede sufficiente per ottenere
salvezza. Il particolare del mantello (o della frangia, come nel passo
parallelo di Matteo) ha fatto pensare al vestito del Verbo che sono le parole
della Scrittura. Ci si può accalcare attorno alla Scrittura, ma non succede
nulla, come non successe nulla alla folla dei discepoli che pressava il Maestro
lungo la strada. Se però ci si accosta anche a una sola parola con fede, allora
ne scaturisce la potenza che racchiudeva e l’anima è guarita. E la parola come
il suo corpo sono lì (pensiamo alla celebrazione eucaristica) proprio
nell’attesa di lasciar uscire la potenza che racchiudono e rivelare l’amore per
cui è stata proferita ed è stata inviata. Gesù resta nell’attesa di dirci: la
tua fede ti ha salvato, va’ in pace e sii guarito dal tuo male!
La tua fede:
è la fiducia nel Messia salvatore, in colui che ci può accogliere e guarire e
far vivere dell’amore del Padre, rendendo splendore alla nostra umanità.
Va’ in pace:
dopo l’incontro con il Salvatore nulla è più come prima, come tanti episodi dei
vangeli dimostrano, perché il cuore ha potuto gustare qualcosa che frantuma le
nostre pretese e rivendicazioni disponendoci a vivere riconciliati.
Sii guarita:
si torna a vivere nella luce della santità di Dio, che è amore per noi,
diventato radice e forza dei nostri comportamenti e del nostro orizzonte
interiore.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria
Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con
qualsiasi mezzo]
Prima Lettura Sap
1,13-15; 2,23-24
Dal libro della Sapienza
Dio non ha
creato la morte
e non gode
per la rovina dei viventi.
Egli infatti
ha creato tutte le cose perché esistano;
le creature
del mondo sono portatrici di salvezza,
in esse non
c’è veleno di morte,
né il regno
dei morti è sulla terra.
La giustizia
infatti è immortale.
Sì, Dio ha
creato l’uomo per l’incorruttibilità,
lo ha fatto
immagine della propria natura.
Ma per
l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo
e ne fanno
esperienza coloro che le appartengono.
Salmo Responsoriale
dal Salmo 29
Ti esalterò, Signore, perché mi hai
risollevato.
Ti esalterò,
Signore, perché mi hai risollevato,
non hai
permesso ai miei nemici di gioire su di me.
Signore, hai
fatto risalire la mia vita dagli inferi,
mi hai fatto
rivivere perché non scendessi nella fossa.
Cantate inni
al Signore, o suoi fedeli,
della sua
santità celebrate il ricordo,
perché la
sua collera dura un istante,
la sua bontà
per tutta la vita.
Alla sera
ospite è il pianto
e al mattino
la gioia.
Ascolta,
Signore, abbi pietà di me,
Signore,
vieni in mio aiuto!
Hai mutato
il mio lamento in danza,
Signore, mio
Dio, ti renderò grazie per sempre.
Seconda Lettura
2 Cor 8,7.9.13-15
Dalla seconda lettera di san Paolo
apostolo ai Corinzi
Fratelli,
come siete ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in
ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così siate larghi anche in
quest’opera generosa.
Conoscete
infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto
povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.
Non si
tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia
uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza,
perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia
uguaglianza, come sta scritto: «Colui che raccolse molto non abbondò e colui
che raccolse poco non ebbe di meno».
Vangelo Mc 5,
21-43
Dal vangelo secondo Marco
[In quel
tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò
attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della
sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo
supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le
mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si
stringeva intorno.]
Ora una
donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per
opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi
piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro
toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue
vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo
corpo che era guarita dal male.
E subito
Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla
folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero:
«Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”».
Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna,
impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò
davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti
ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Stava ancora
parlando, quando [dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua
figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto
dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E
non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni,
fratello di Giacomo.
Giunsero
alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e
urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina
non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese
con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò
dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che
significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e
camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E
raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle
da mangiare.]