Quinto ciclo

Anno liturgico B (2014-2015)

Tempo di Natale

 

Epifania del Signore

(6 gennaio 2015)

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Is 60,1-6;  Sal 71;  Ef 3,2-3a.5-6;  Mt 2,1-12

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Epifania vuol dire manifestazione. Se il Natale celebra la manifestazione del Verbo di Dio fatto uomo, l’Epifania celebra la manifestazione della divinità di quelBambino nato per noi’. In occidente la liturgia ha preferito costituirsi attorno all’adorazione dei Magi, mentre l’oriente ha preferito privilegiare la manifestazione della divinità di Gesù al battesimo. Comunque tre sono i misteri della manifestazione della divinità di Gesù che la liturgia contempla: l’adorazione dei Magi, il battesimo, le nozze di Cana.

L’antifona di ingresso della messa si richiama al libro del profeta Malachia, l’ultimo libro dell’Antico Testamento: “È venuto il Signore nostro re: nelle sue mani è il regno, la potenza e la gloria”. La proclamazione comporta qualcosa di radicalmente nuovo per gli occhi umani o, se vogliamo, comporta la visione di una realtà con occhi radicalmente nuovi. Stessa novità che sta dietro la proclamazione di Gesù come re nei vangeli (soltanto durante la sua passione Gesù accetta il titolo di re) e particolarmente come re della gloria (titolo che fornisce, da una parte, la ragione della condanna sul patibolo della croce e, dall’altra, per la visione di fede dei credenti, la ragione dell’amore di Dio per l’uomo che proprio sulla croce risplende). Quando la colletta fa pregare: “O Dio, che in questo giorno, con la guida della stella, hai rivelato alle genti il tuo unico Figlio, conduci benigno anche noi, che ti abbiamo conosciuto per la fede, a contemplare la grandezza della tua gloria”, guida i credenti alla percezione di quella novità e li predispone a cogliere e a vivere dello splendore di quell’amore, che costituisce ormai la ragione di senso del vivere nella storia.

Paolo ricorda agli Efesini che il mistero ora rivelato concerne tutti gli uomini, che sono chiamati a godere della stessa eredità, a formare un unico corpo, a vivere della stessa promessa di vita. Davanti a Dio sussiste un’unica famiglia umana, destinataria e portatrice allo stesso tempo del Suo amore. Se il Signore, come dice il salmo 71, interviene a favore del povero e del debole, categorie che attraversano la diversità dei popoli e si riferiscono all’umanità di tutti, significa che chi calpesta il povero e il debole ferisce la propria dignità umana e non rispetta l’immagine di quel Figlio che si è confuso con l’umanità di tutti.

Il numero dei Magi è fissato in funzione dei doni che sono ricordati nel vangelo: oro, incenso e mirra. Il titolo di magi è un titolo dottorale e religioso, ma la leggenda li ha immaginati come re, dal momento che i loro doni sono doni regali. I loro nomi, Melchiorre, Baltassarre e Gaspare, si ritrovano nel Libro armeno dell’Infanzia, risalente al sec. VI, che li reputa tre fratelli: Melchiorre re dei Persiani, Baltassarre re delle Indie, Gaspare re degli Arabi. La tradizione ha fissato anche il simbolismo dei tre doni: l’oro al Re, l’incenso al Sommo Sacerdote eterno, la mirra per la sua sepoltura. E Leone Magno, nelle sue bellissime omelie sull’Epifania, attualizza così il significato simbolico dei tre doni: chi viene al Cristo, offre l’oro dal tesoro del suo cuore quando lo riconosce re di tutte le creature, offre la mirra quando crede che il Figlio Unigenito di Dio ha assunto una vera natura di uomo ed offre l’incenso quando lo confessa uguale al Padre.

Nel racconto evangelico dell’adorazione dei Magi, quanti particolari suggeriscono pensieri profondi! I Magi, persone colte e osservatrici degli astri, vedono sorgere una stella, fenomeno che interpretano come l’arrivo di un grande re in Giudea e decidono di venire a cercarlo. La strada per la Giudea la conoscono ed il testo non dice che la stella li guidava. Solo dopo aver ricevuto la conferma della profezia da Israele che un re sarebbe nato a Betlemme, ricompare la stella e li precede fin là. E quando devono ritornare indietro, cambiano strada. Come a dire: chi si apre all’adorazione di Dio riscopre la casa propria in altro modo, con altro sguardo, sotto altri orizzonti. Notiamo il contrasto: i Magi si sono mossi, senza sapere bene dove andare, mentre Israele conosce la profezia riguardo al bambino che deve nascere, ma non si muove; i Magi sono nella gioia, Gerusalemme nel turbamento. I Magi sono partiti perché spinti dal cielo, ma si affidano alle Scritture di Israele per conoscere il luogo di nascita del nuovo re e solo dopo essersi affidati alla parola rivelata ricompare la stella del cielo che conferma loro la profezia; dopo aver riconosciuto il nuovo re, ritornano al loro paese, ma per altra strada, ad indicare che nulla è più come prima. Come per i pastori che, dopo aver udito e visto, glorificano e lodano Dio tornando a casa loro, a sottolineare che un cuore convertito al Signore possiede una luce e un sapore prima sconosciuti. Non è la stessa situazione dell’uomo di fronte al desiderio di infinito che porta dentro? Se va a cercare la Parola è perché questo desiderio lo rode e se si lascia condurre da questo desiderio non solo trova la Parola, ma ritrova la gioia di quel desiderio che l’accompagna nella pratica della parola fino a trasformare tutto il suo cuore e a volgerlo in perenne adorazione e nei pensieri e nella vita. È appunto il mistero della scoperta del tesoro nel campo, è il mistero dell’incontro dell’uomo con il suo Dio. Il brano finisce con l’accenno alla strage di Erode. La presenza del dramma non è lì a gettare una luce fosca sull’idillio appena descritto, ma prelude al dramma finale della vita di quel bambino che, morendo in croce e poi risuscitando, rivela la gloria dell’amore di Dio per l’uomo, che non si arresta e non devia dai suoi progetti di fronte all’ingiustizia, che anzi fa diventare proprio luogo di rivelazione del Suo amore.

Quanto al mistero della trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Cana (cfr. Gv 2,1-10), simbolo delle nozze del Signore Gesù con l’umanità nostra, anche questo ha a che vedere con la manifestazione della gloria di Dio nella nostra vita.  Passare dall’essere acqua al diventare vino significa passare dalla volontà di osservanza del comandamento al gusto del frutto che il comandamento comporta. La promessa nascosta in ogni parola di Dio è questa: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). Ogni comandamento ha un’ispirazione; senza cogliere tale ispirazione non potremo mai gustare la promessa che è nascosta dentro ogni comandamento, la promessa della conoscenza cordiale del Signore. Come in un rapporto d’amore. Non basta fare delle cose, neanche farle per l’altro; se non si coglie l’ispirazione che muove il cuore ad agire, se non si coglie l’effetto che il nostro agire ha sul cuore dell’altro, se non ci viene rimandata la gioia dell’altro che coglie il movimento del nostro cuore, si resta acqua.

Nel Cristo divinità e umanità sono inscindibilmente unite, Dio finalmente risplende nell’uomo e l’uomo risplende del suo Dio. E se tutto diventerà più svelato con la morte e risurrezione di Gesù, già però se ne può intravedere il mistero fin dalla sua nascita dalla Vergine Maria, almeno per coloro che gli si avvicinano con stupore e sanno vedere nelle parole e negli eventi che lo riguardano gli indizi della sua gloria.

 

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

 

Prima Lettura  Is 60,1-6

Dal libro del profeta Isaia

 

Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,

la gloria del Signore brilla sopra di te.

Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra,

nebbia fitta avvolge i popoli;

ma su di te risplende il Signore,

la sua gloria appare su di te.

Cammineranno le genti alla tua luce,

i re allo splendore del tuo sorgere.

Alza gli occhi intorno e guarda:

tutti costoro si sono radunati, vengono a te.

I tuoi figli vengono da lontano,

le tue figlie sono portate in braccio.

Allora guarderai e sarai raggiante,

palpiterà e si dilaterà il tuo cuore,

perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te,

verrà a te la ricchezza delle genti.

Uno stuolo di cammelli ti invaderà,

dromedari di Màdian e di Efa,

tutti verranno da Saba, portando oro e incenso

e proclamando le glorie del Signore.

 

Salmo Responsoriale  dal Salmo 71

Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra.

O Dio, affida al re il tuo diritto,

al figlio di re la tua giustizia;

egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia

e i tuoi poveri secondo il diritto.

 

Nei suoi giorni fiorisca il giusto

e abbondi la pace,

finché non si spenga la luna.

E dòmini da mare a mare,

dal fiume sino ai confini della terra.

 

I re di Tarsis e delle isole portino tributi,

i re di Saba e di Seba offrano doni.

Tutti i re si prostrino a lui,

lo servano tutte le genti.

 

Perché egli libererà il misero che invoca

e il povero che non trova aiuto.

Abbia pietà del debole e del misero

e salvi la vita dei miseri.

 

Seconda Lettura  Ef 3,2-3a.5-6

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini.

Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.

Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.

 

Vangelo  Mt 2,1-12

Dal vangelo secondo Matteo

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».

Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».

Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.