Quarto ciclo

Anno liturgico C (2012-2013)

Tempo di Quaresima

 

3a Domenica

(3 marzo 2013)

 

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Es 3,1-8a.13-15;  Sal 102;  1 Cor 10,1-6.10-12;  Lc 13,1-9

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Nel vangelo risuona forte oggi il grido di Gesù: convertitevi! Risuona però in un contesto per noi non immediatamente ricevibile. Per il nostro cuore non valgono semplicemente l’impegno e l’urgenza della conversione se non si trova coinvolto nello scenario interiore che essa comporta, se non vibra all’emozione che la produce. Invece di riferire subito a noi l’impegno della conversione, potessimo sentire, dalla parte di Dio, come possa scaturire dal cuore la conversione, allora la liturgia di oggi parlerebbe in verità al nostro cuore.

Nel capitolo 12 del vangelo di Luca Gesù aveva invitato i discepoli a fuggire l’ipocrisia, a confidare in Dio, a cercare il suo regno e a stare vigilanti indicandone, con un’immagine potente, la ragione di fondo. Nel v. 37 Gesù rivela che sarà lui stesso che si metterà a servire i suoi discepoli quando li trovasse vigilanti. Perché il nostro cuore non coglie quasi mai questo servizio suo, questo suo accudire a noi, questa sua premura nei nostri confronti? L’urgenza e l’impegno della conversione derivano dalla percezione di questo suo servirci.

Quando la gente cerca di ottenere da Gesù la conferma di un senso plausibile alle crudeltà della storia (vedi l’esempio dei Galilei uccisi da Pilato e degli altri periti in un incidente di vita quotidiana), riceve una risposta paradossale. È assurdo pensare che, se io sono risparmiato dal dolore, significa che ho Dio dalla mia parte! L’uomo non ha alcun potere su Dio e quindi è perfettamente inutile che cerchi di avere Dio dalla sua parte. Dio è già dalla sua parte, ma in un modo che non è scontato vedere e vivere. L’esempio di Gesù è lì a evidenziarlo. Lui è l’Inviato di Dio, Lui è la rivelazione dell’amore di Dio. Da come accogliamo Lui, accogliamo la vita. Gesù è tutto teso a quel gridare: convertitevi! Senza la conversione all’alleanza di Dio, di cui Lui costituisce il sigillo, periremo tutti nel senso di non poter saziare il desiderio del nostro cuore e di venire lasciati in balia delle nostre ossessioni, rendendoci la vita impossibile gli uni contro gli altri.

La spiegazione della parabola assume così il significato di introdurci al mistero della conversione. Sarà possibile convertirci sulla base del buon volere del contadino (=Gesù) che lavora la terra perché la pianta (=discepoli) fruttifichi per il Padre. Quel buon volere corrisponde ai sentimenti di compassione e di amore che Dio svela a Mosè dal roveto ardente, come la prima lettura annuncia. È interessante osservare che il brano dell’Esodo è introdotto dalla risposta di Dio al grido di lamento del suo popolo sotto la schiavitù riassunta nell’espressione: “Dio guardò la condizione degli Israeliti, Dio se ne diede pensiero”, espressione che nella versione della LXX suona: “Dio si fece conoscere da loro” e nel testo ebraico: “Dio guardò e conobbe”. Gli antichi commentatori ebrei spiegano: Dio previde che il suo popolo l’avrebbe rigettato, ma lo volle liberare per amore del suo nome; Dio vide la ribellione del suo popolo, ma anche che il suo popolo avrebbe proclamato: “Dio è il mio Dio” (Es 15,2) e “Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto” (Es 24,7) allorquando il popolo professò l’impegno incondizionato di obbedienza al suo Dio prima ancora di udire i comandamenti che avrebbe ricevuto.

Il grido di Gesù: convertitevi! sale dalla profondità del mistero di Dio rivelato a Mosè nel roveto ardente, che il salmo responsoriale, il salmo 102, modula in mille sfumature. Dio confessa a Mosè: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto … conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo …”. In quel conosco le sue sofferenze si rivela tutta la partecipazione dell’amore di Dio per le sue creature, tutta l’accondiscendenza che lo muove nei confronti dell’uomo. Gli antichi commentatori spiegano così i sentimenti di Dio: ‘io pure soffro come soffrono loro … le loro pene mi riguardano; vedo anche le pene che non dicono, ma che opprimono i loro cuori…’. E quando Mosè chiede a nome di chi dovrà presentarsi, Dio risponde: “Io sono colui che sono! … il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi”. Il Nome di Dio esprime ciò che l’uomo di Lui può sperimentare quando lo invoca, quando, avendolo invocato, ne coglie la vicinanza e la sua potenza di liberazione e di favore. L’espressione, misteriosa nella sua disarmante semplicità ‘Io sono colui che sono’ può voler dire allora: ‘Io sono colui che sarò’; ‘Io sono là con voi come voi vedrete’; ‘io sono colui che tu vedrai quando invocandomi io ci sarò’; ‘chi io sia voi lo saprete da quello che farò per voi’. Il nome di Dio non rinvia semplicemente all’essere di Dio, ma al suo essere per noi. Tanto che Dio è sempre Dio di: Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, Dio di Israele, Dio di Gesù Cristo, Dio di ciascuno di noi… Così il popolo fa parte del nome di Dio, come Dio, El, fa parte del nome del popolo, Isra-El. Nostro o mio e unico in rapporto a Dio stanno sempre insieme. Tale è l’alleanza di Dio con l’uomo. Tanto che, secondo la bellissima espressione di Origene,  in questa alleanza che si rivela nel Nome di Dio è sottesa tutta la dinamica della nostra crescita spirituale: “Magari venisse concessa anche a me l’eredità di Abramo, Isacco, Giacobbe e divenisse mio il mio Dio allo stesso modo che è diventato Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, in Cristo Gesù, Signore nostro”.

Se il salmo 102 lo mettiamo in bocca allo stesso Mosè, quante sfumature di senso si potrebbero cogliere! Lui può comprendere quello che Gesù dice di sé nelle parole di benedizione dei credenti che lo riconoscono come l’Inviato: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”. La nostra lode al Signore è l’eco di quella benedizione: “Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome”. Quando proclamiamo: “Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue malattie… Buono e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore”, noi intendiamo esprimere la scoperta del Nome di Dio rivelato a Mosè sul Sinai. E ancora: quello che proclamiamo con il salmo 102 corrisponde alla preghiera dopo la comunione: “O Dio, che ci nutri in questa vita con il pane del cielo, pegno della tua gloria”, vale a dire: quando ci attrai alla comunione con te e con i fratelli e noi gustiamo il tuo perdono nella capacità di condividerlo con tutti, allora scopriamo la dolcezza del tuo Nome, allora portiamo frutti degni di conversione e tutta la nostra vita risplende di un’altra luce. Proprio alla scoperta del Nome di Dio che si rivela in Gesù ci rimanda l’invito evangelico: “Convertitevi!”.

 

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

 

Prima Lettura  Es 3,1-8a.13-15

Dal libro dell'Èsodo

 

In quei giorni, mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb.

L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava.

Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio.

Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele».

Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?».

Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io Sono mi ha mandato a voi”». Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione».

 

Salmo Responsoriale  dal Salmo 102

Il Signore ha pietà del suo popolo.

Benedici il Signore, anima mia,

quanto è in me benedica il suo santo nome.

Benedici il Signore, anima mia,

non dimenticare tutti i suoi benefici.

 

Egli perdona tutte le tue colpe,

guarisce tutte le tue infermità,

salva dalla fossa la tua vita,

ti circonda di bontà e misericordia.

 

Il Signore compie cose giuste,

difende i diritti di tutti gli oppressi.

Ha fatto conoscere a Mosè le sue vie,

le sue opere ai figli d’Israele.

 

Misericordioso e pietoso è il Signore,

lento all’ira e grande nell’amore.

Perché quanto il cielo è alto sulla terra,

così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono.

 

Seconda Lettura  1 Cor 10,1-6.10-12

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Non voglio che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nube e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo. Ma la maggior parte di loro non fu gradita a Dio e perciò furono sterminati nel deserto.

Ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono.

Non mormorate, come mormorarono alcuni di loro, e caddero vittime dello sterminatore. Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere.

 

Vangelo  Lc 13,1-9

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».