Terzo ciclo
Anno liturgico C (2009-2010)
Tempo di Pasqua
Domenica di Pasqua
Risurrezione del
Signore
(4 aprile 2010)
Aveva introdotto le celebrazioni del
triduo sacro la messa del crisma, che sottolinea l’unità della chiesa attorno
al suo vescovo che consacra il sacro crisma con cui i candidati al battesimo e alla
cresima verranno unti, per essere testimoni nel mondo dello splendore del nome
di Cristo.
La cena del Signore del giovedì santo,
incastonando l’istituzione dell’eucaristia e del sacerdozio con il sacramento
del servizio attraverso il rito della lavanda dei piedi, ha celebrato il
mistero della comunione con Dio e tra gli uomini, scopo supremo dell’agire del
cuore, profumo della conoscenza del Cristo. La proclamazione della passione del
Signore e l’adorazione della croce il venerdì santo hanno rivelato l’intimità e
la tenacia dell’amore di Gesù per gli uomini, colte nel mistero della sua
obbedienza fino alla morte di croce. Con la conseguenza: se il Figlio di Dio
non ha preferito nulla a noi, come possiamo noi preferire qualcosa a Lui?
Il sabato santo trascorre nel silenzio
liturgico in attesa della solenne veglia pasquale che annuncia la restituzione
ai discepoli del loro Signore, il Vivente, con i segni indelebili nel corpo
della sua passione salvatrice. Il senso specifico di tutte le letture della
grande veglia pasquale mi sembra quello di collocare e leggere la nostra storia
personale dentro la grande storia d’amore di Dio per i suoi figli di cui
sentiamo narrare le gesta, storia che in Gesù, annunciato dai profeti, si fa
esperibile per noi. Tutta la veglia pasquale è imperniata sulla ‘luce’, la luce
del Signore risorto che arriva ad accendere i nostri cuori. Abbiamo così
bisogno di una luce calda, amica, tenera, per vedere la vita e le sue angosce!
La liturgia tende proprio a infondere nei cuori la sovrabbondanza della luce
amica, calda, del Signore Gesù che è il Dono di Dio per la nostra umanità.
Se viva è stata la compassione per
l’Uomo dei dolori, prorompente sarà la gioia per la notizia della risurrezione
del Signore. È una notizia certa, ma non evidente. È una notizia vera, ma non
apodittica. Quella notizia ha bisogno di tempo per apparire in tutta la sua
potenza, per convincere i nostri cuori e scoprir loro la sorgente di gioia
inesauribile che costituisce. Ha bisogno di spazi per espandersi, ha bisogno di
condivisione per rafforzarsi, ha bisogno di testimonianze per risplendere. Sono
i tempi della chiesa, gli spazi dell’umanità, la condivisione e le
testimonianze dei credenti, perché i nostri cuori finalmente si convincano a vedere e a riconoscere il Signore Gesù in tutta la sua bellezza, morto e
risorto per noi.
Così esulta la chiesa nell’inno
pasquale: “Irradia sulla tua Chiesa la
gioia pasquale, o Signore, unisci alla tua vittoria i rinati nel battesimo”.
La gioia, quella vera, stabile, agognata, non può che essere pasquale; non solo
nel senso che ci deriva dall’evento della Pasqua del Signore, che rende nota al
cuore dell’uomo la motivazione inconfutabile della possibilità ritrovata di
essere nella gioia, ma anche nel senso che la gioia è strettamente correlata al
dramma, alla fatica, alla fedeltà di un amore che svela il mistero stesso della
vita e che si esprime nel suo rivelare la potenza d’intimità con il Padre,
autore della vita. Gioia che per noi si risolve nel dolce perdono che Gesù ci
riversa: “Tu, o Cristo, sei il nostro dolce perdono. Fa’ che di Te in ogni istante
io mi sappia rivestire e non abbia potere su di me la miseria con cui mi vedo e
mi sento. Con le tue ferite risanami, che io respiri e viva del tuo sguardo
verso il Padre. Nelle tue piaghe nascondimi, che il sentimento della mia
malinconia non si erga a obiezione della tua grandezza. Lasciami entrare nel
tuo cuore, che io mi avvolga della sua benevolenza e mi faccia rinascere,
finiti i terrori della notte, al mattino della tua presenza”.
Accenno solo a un particolare del brano
evangelico che viene proclamato nella messa del giorno di Pasqua. Giovanni
parla della pietra tolta via dal sepolcro per sottolineare, in questo Giorno
della Risurrezione, che viene tolto l’ultimo impedimento alla vista, alla
visione, come poi il brano dirà a proposito del discepolo entrato nel sepolcro.
L’episodio dei due discepoli che corrono al sepolcro lo conferma in una
tensione crescente per giungere, alla fine, alle straordinarie parole: “Allora entrò anche l’altro discepolo, che
era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette”. È come una richiesta
che viene sussurrata al cuore dei possibili lettori del vangelo, la richiesta
di avanzare nella conoscenza del mistero, di salire fino all’intelligenza della
risurrezione che viene svelata poco a poco: “Vide e credette”. La tensione del racconto punta qui. Un invito per
noi alla gioia della sua conoscenza perché profumi la nostra vita e ne
manifesti lo splendore. Possiamo tutti essere custoditi e accompagnati dalla
tenacia dell’amore del Signore per noi, che, come ha promesso: “ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino
alla fine del mondo”.
Il Signore è risorto! È davvero
risorto!