Terzo ciclo

Anno liturgico C (2009-2010)

Tempo Ordinario

 

14a Domenica

(4 luglio 2010)

 

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Is 66,10-14;  Sal 65;  Gal 6,14-18;  Lc 10,1-20

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Il profeta Isaia aveva annunciato la prosperità di Gerusalemme, descrivendo l’invasione di consolazione che l’avrebbe sommersa. Ma di quale consolazione parlava? Quella che annuncia il canto al vangelo: “La pace di Cristo regni nei vostri cuori; la parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza” (Col 3,15.16) e che la missione dei 72 discepoli preannunciava essere l’eredità di tutte le genti. Il numero di 70 o 72 si riferisce appunto al numero delle nazioni secondo la tradizione ebraica di Gn 10 (70 per il testo ebraico, 72 per il testo greco).

Tre sono i passaggi significativi del brano: prima Gesù istruisce i discepoli, poi accoglie la loro gioia a missione compiuta e alla fine (purtroppo questo terzo passaggio manca nella proclamazione liturgica) svela la ragione profonda e della missione e della gioia con la sua preghiera di lode al Padre. Possiamo riprendere i tre passaggi con brevi annotazioni.

Il brano inizia con l’annotazione: ‘dopo questi fatti’, con l’allusione alle condizioni della sequela di Gesù presentate prima. Chi sono quei settantadue discepoli che il Signore invia davanti a sé nel suo cammino verso Gerusalemme? Sono coloro che, avendo incontrato Gesù, al pari di lui, non fanno riposare il loro capo se non nel volere di Dio che cerca la salvezza degli uomini; sono coloro il cui riposo consiste nella pace che portano nel nome del Signore.

Gesù li invia due a due. Come possono annunciare la pace del Regno se non la fanno vedere come compiuta nella loro relazione fraterna? Come possono invitare a condividere insieme a loro la pace del Signore che si fa nostro prossimo se quella pace non è diventata radice di benevolenza tra loro, segno dello splendore di Dio in mezzo a loro?

Gesù li invita a pregare perché Dio non si stanchi di far grazia di sé attraverso coloro che hanno trovato nella pace del vangelo il riposo del loro cuore. Il fatto di far pregare allude ad una rivelazione. Vuol dire che nell’annuncio del vangelo è Dio stesso che si approssima all’uomo e questo è il mistero che, se ha conquistato il cuore degli annunciatori, conquisterà anche quello degli ascoltatori. La tensione dell’annuncio in effetti è proprio quello di vivere in una situazione dove non ci sia bisogno di annuncio perché ormai tutti conoscono il Signore, direttamente, personalmente. Sarà la grazia degli ultimi tempi. Per ora, invece, la tensione si esprime nel rendere capace di annuncio chi a sua volta lo riceve perché a tutti giunga la pace del Signore.

Li invia come agnelli in mezzo ai lupi. Come dicesse: non cercate di imitare i lupi, perché avverrà come per il Figlio dell’Uomo, l’Agnello di Dio, che ha rivelato lo splendore dell’amore di Dio per gli uomini. Stare agnelli comporta la rivelazione di quel mistero d’amore. Ma non temete: la debolezza di Dio è più forte della forza degli uomini.

A missione compiuta, i discepoli tornano pieni di gioia. La letizia è il segnale della partecipazione all’opera di Dio di cui Gesù ci fa corresponsabili. Una prima ragione di gioia sta nella caduta di satana dal cielo. Il che significa: il demonio non ha più un potere superiore all’uomo. Cessa la sudditanza, anche se inizia la lotta, che si può vincere nel nome di colui che l’ha ormai detronizzato con l’annuncio evangelico: “è vicino a voi il regno di Dio”. La forza del nemico sta nell’intimorire, ma a chi non gli presta orecchio non fa alcun danno. Gesù però conferma la loro gioia sulla base del fatto che “i vostri nomi sono scritti nei cieli”. Come a dire: non rallegratevi di aver potuto fare cose straordinarie, impensate e impensabili fino ad ora, ma rallegratevi di godere del segreto di Dio, di stare solidali con il suo sentire, di partecipare alla comunione di conoscenza e amore col Padre. L’annuncio si gioca infatti sulla potenza del contagio della letizia di cui fanno esperienza i discepoli e di cui Gesù svela la vera ragione: i vostri nomi sono scritti nei cieli, avete parte al ‘far grazia di sé all’uomo da parte di Dio’, partecipate al suo amore per gli uomini.

I discepoli impareranno l’estensione e la natura di quella letizia nel seguire il loro Maestro che sta andando a Gerusalemme dove subirà la passione. Lo ricorda s. Paolo nella seconda lettura di oggi quando proclama: “Fratelli, quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (Gal 6,14). Come a dire: rispetto a quell’amore, rivelato dall’alto e colto nel seguire il Signore Gesù, di cui ho avuto la visione nel guardarlo trafitto in croce, non c’è nulla nel mondo che meriti la preferenza e non c’è nulla in me che può trovare adeguato compimento a partire dal mondo. La letizia evangelica è una letizia esigente.

Ma la vera radice di quella letizia è rivelata da Gesù quando firma la gioia dei discepoli con la sua esultanza: “Ti rendo lode, o Padre ... perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza” (Lc 10,21). È all’intimità di quella rivelazione che il discepolo attinge per fondare le ragioni di un vivere che si strutturano come radici di umanità nuova. E la sua forza sta tutta nella fiducia delle parole di Gesù: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno” (Lc 12,32)! Non è conquista nostra, non attiva meccanismi di rivendicazioni o esibizioni, non comporta grandezze umane che dividono; solo una gratitudine immensa, uno stare solidali con i sentimenti di benevolenza di Dio per tutta l’umanità.