Terzo ciclo

Anno liturgico C (2009-2010)

Tempo Ordinario

 

13a Domenica

(27 giugno 2010)

 

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1Re 19,16-21;  Sal 15;  Gal 5,13-18;  Lc 9,51-62

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La necessità di rendere in un buon italiano il testo del vangelo a volte fa perdere le sfumature di riferimento per comprenderne a fondo il senso. È il caso del brano di oggi. Inizia la lunga sezione della salita di Gesù a Gerusalemme dove si compirà la sua passione (9,51-19,28). Le espressioni che usa l’evangelista sono formulazioni solenni, a sottolineare l’importanza del momento e delle decisioni di Gesù. Noi leggiamo: “Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. ... non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme”. Letteralmente il testo suonerebbe: “Mentre si compivano i giorni della sua assunzione (stessa espressione usata sia per la morte sia per l’ascensione di Gesù), indurì il suo volto per incamminarsi verso Gerusalemme e mandò davanti al suo volto degli angeli … non vollero riceverlo, perché il suo volto stava seguendo il cammino verso Gerusalemme”.

Per Gesù è arrivato il momento di dare compimento alla sua missione. Aveva già preannunciato ai discepoli la sua passione; li aveva come consolati con l’evento della trasfigurazione, sapendo che non avrebbero retto allo scandalo della sua condanna; aveva cercato di istruirli sui misteri di Dio che con lui si compivano. Ora è venuto il momento di portare a compimento il disegno di Dio, come non sopportasse più alcuna dilazione. Il racconto di Luca fa risuonare le parole del profeta Isaia: “Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso” (Is 50,7) e quelle del profeta Malachia: “Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, eccolo venire, dice il Signore degli eserciti” (Ml 3,1).

La decisione di Gesù corrisponde al ‘rendere la faccia dura come pietra’, sottolineando sia la realizzazione della parola del profeta che la fedeltà di Gesù al volere del Padre, che così, con quel che avverrà a Gerusalemme, ha voluto mostrare tutto il suo amore agli uomini.

Da dentro quella fedeltà vanno compresi sia il rimprovero a Giacomo e Giovanni sia le condizioni esigite da Gesù per seguirlo. La fedeltà di Gesù è la fedeltà a un amore che non si lascia mai distogliere dal suo obiettivo perché è il segreto di Dio che deve essere rivelato agli uomini: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito” (Gv 3,16). Gesù compie la fedeltà dei profeti, che non potevano ancora conoscere in tutta la sua consistenza quel segreto e rimprovera i discepoli che volevano imitare il profeta Elia (cfr. 2Re 1,10-12). E quando esige dai discepoli certe condizioni per seguirlo, non fa che trasmettere loro il principio della sua stessa fedeltà, che si fa urgenza di annunciare il regno di Dio ormai giunto, cioè urgenza di svelare il suo segreto, il segreto stesso di Dio (perché in questo consiste la missione degli apostoli!). Di fronte alla scoperta di tale segreto, non c’è bene o valore umano che possa prevalere.

La condizione prima è accettare il modello di Gesù che si definisce come Figlio dell’uomo che non ha dove posare il capo. E s. Chiara di Assisi commenta: “Cristo non ha dove posare il capo e quando lo reclinò sul suo petto, fu per rendere l’ultimo respiro” (FF 2864). Come a dire: chi cerca il suo riposo altrove, non segue Cristo; chi cerca il suo riposo prima di dare la sua anima, non segue Cristo; chi cerca il suo riposo nel vivere di quell’annuncio del segreto di Dio è beato, perché partecipa alla stessa fedeltà di Gesù.

Lo ripete il salmo 15 là dove dice: “Il mio Signore sei tu, solo in te è il mio bene”. L’antica versione latina cantava: ‘bonum mihi non est sine te’. Nessun presunto bene è bene per me senza di te! Nessun bene è tale se non contribuisce a manifestare quel segreto di Dio, il suo amore agli uomini. È il senso profondo della vita come amore, amore che costituisce il valore di riferimento e di criterio per tutti i beni della vita, il segreto condiviso tra Dio e l’uomo. Se l’amore è esigente, lo è in proporzione della potenza e della qualità di vita che dischiude, nella fedeltà di un agire che non si lascia più distogliere dal perseguirlo sempre e comunque perché tutti ne godano e finalmente ci si possa riposare.

In tale contesto l’esortazione di Paolo ai Galati acquista nuova luce: “Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. ... Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri”. È la libertà frutto dell’amore, che non teme di sottomettersi ai fratelli pur di non essere distolti dalla partecipazione al segreto di Dio. Per questo la colletta ci fa pregare: “O Dio, che ci chiami a celebrare i tuoi santi misteri, sostieni la nostra libertà con la forza e la dolcezza del tuo amore, perché non venga meno la nostra fedeltà a Cristo nel generoso servizio dei fratelli”, dove ‘servizio’ non sta semplicemente per azioni buone ma per atteggiamento del cuore, del cuore di un uomo che ‘ha indurito il suo volto’ per non mancare lo scopo della sua vita.