Terzo ciclo

Anno liturgico B (2008-2009)

Tempo di Quaresima

 

Domenica delle Palme

(5 aprile 2009)

 

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Vangelo dell’ingresso a Gerusalemme:  Mc 11,1-10

Is 50,4-7;  Sal21;  Fil 2,6-11;  Mc 14,1 - 15,47

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La liturgia della domenica delle palme si compone di due momenti ben distinti: con la processione accompagniamo festosi l’ingresso di Gesù in Gerusalemme e con la lettura solenne della passione del Signore entriamo, commossi, nel mistero dell’Ora del Figlio dell’uomo.

L’acclamazione della folla è la stessa che ogni giorno cantiamo nel Sanctus della Messa, aggiungendo le nostre voci a quelle di tutti coloro che riconoscono in Colui che viene (nella celebrazione eucaristica, sotto il segno del pane e del vino) il Figlio di Davide, il compimento di tutte le promesse.

Durante la processione viene cantato il salmo 23: “ ... alzatevi, porte antiche ed entri il re della gloria. Chi è questo re della gloria? Il Signore forte e potente, il Signore potente in battaglia”. Il nostro re della gloria è il Signore crocifisso, quello sopra il cui capo, come si può notare in molte raffigurazioni antiche del Crocifisso, viene riportato non l’iscrizione di condanna I.N.R.I, ma il titolo re della gloria. È la gloria dello splendore dell’amore del Padre per i suoi figli che in Gesù rifulge e di cui l’umanità sarà portatrice nel suo Spirito. Si aprano allora le porte dei cuori per accogliere il loro re della gloria, per accogliere il re della loro gloria, perché l’amore di cui Gesù è il Testimone costituisce la radice della nostra dignità e l’accessibilità alla conoscenza del vero Dio.

Ciò che però colpisce nel racconto di quell’evento è la solitudine di Gesù. Nessuno si accorge di quello che in realtà sta avvenendo. L’evangelista lo fa rimarcare, ma come da fuori campo: la risurrezione di Lazzaro ha scatenato gli eventi della passione di Gesù, alla quale volontariamente si consegna. Di ciò Gesù è consapevole, ma lui solo.

Anche a Betania, il giorno prima, nessuno si era accorto di ciò che si andava preparando. Soltanto una donna, nella tenerezza del suo amore, intuisce il segreto di Gesù. Ungergli i piedi con unguento preziosissimo (se la stima di Giuda è realistica, il costo ammonterebbe più o meno allo stipendio di un anno per un operaio) risponde al desiderio di accompagnare Gesù nella sua solitudine. Quel profumo rivela la morte imminente, che nessuno è pronto ad accettare, ma anche tutto l’amore che quella morte significa ed esprime. I Padri antichi hanno visto in quel profumo versato su Gesù il pentimento dei nostri cuori, pentimento che si allarga ed impregna tutto perché l’amore che Gesù ha testimoniato con la sua passione non resti estraneo a niente di noi e perché niente di noi resista a tale amore. Quando s. Paolo, rivolgendosi ai suoi fedeli, li chiama profumo di Cristo, allude proprio a questa tenerezza che ha conquistato il cuore - così si può chiamare il pentimento per i nostri peccati!

La liturgia, conclusa la processione, cambia registro. Invita alla compassione, alla compagnia, amorosa e partecipante, con l’uomo dei dolori, con l’uomo umiliato e obbediente, vilipeso e condannato, dato per noi perché noi avessimo la vita. Il senso della lettura della passione, celebrata in forma solenne, è proprio quello di introdurci nel mistero di Colui che viene, umiliato e obbediente fino alla morte e alla morte di croce, suscitandoci sentimenti di intima compassione e di riverente amore, sentimenti che ci accompagneranno lungo tutti i riti della settimana santa.

E se la colletta ci propone Gesù come modello, non è per suggerirci un modello di umanità sofferente, ma per indicarci fino a che punto possiamo vivere la vocazione all’umanità, di cui lui svela la bellezza nel suo stare fedele alla comunione con Dio, dalla parte degli uomini e alla comunione con gli uomini, dalla parte di Dio. E la sua bellezza traspare proprio nel momento in cui, sfigurato dal dolore e calpestato, non rinnega l’alleanza di Dio ed apre, per lui e per tutti, la promessa di una vita inattaccabile dalla morte. È la sua bellezza a generare speranza, quella di cui il mondo oggi, come sempre, ha tremendamente ed urgentemente bisogno.

Il salmo 21, ripreso nella liturgia del Venerdì santo, sembra illustrare molti dettagli della passione di Gesù. La Chiesa ha sempre letto questo salmo con negli occhi il racconto evangelico della passione e nella mente l’inno di Paolo nella sua lettera ai Filippesi dove l’amore di Dio per l’uomo è descritto nei termini di un abbassamento incondizionato fino a umiliare “se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce”. Il racconto della passione illustra nei dettagli storici accaduti a Gesù quel mistero di abbassamento che rivela la possibilità divina dell’umanità nella sua glorificazione presso il Padre. Ciò che l’antico Adamo aveva proditoriamente creduto possibile, cioè il ‘farsi Dio’ in modo indipendente da Dio, trovando la morte, Gesù lo vive nella modalità radicalmente inversa, cioè in termini di abbassamento e radicale dipendenza, trovando la vita e partecipandola agli uomini: “E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32).