Terzo ciclo

Anno liturgico B (2008-2009)

Tempo di Pasqua

 

5a Domenica

(10 maggio 2009)

 

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At 9,26-31;  Sal 21;  1Gv 3,18-24;  Gv 15,1-8

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La porta di accesso più immediata per entrare nel mistero che Gesù vuole illustrare con l’immagine della vite è data dal collegamento del canto al vangelo (“Rimanete in me e io in voi, dice il Signore; chi rimane in me porta molto frutto”) con il passo di 1Gv 3,24: “Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato”. Il frutto di cui parla Gesù è collegato allo Spirito Santo, di cui l’apostolo Paolo elenca le operazioni: “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22). Essere in Cristo significa avere lo stesso suo Spirito, agire secondo il suo Spirito.

Ritorniamo all’immagine della vite che intesse tutto il cap. 15 del vangelo di Giovanni. Gesù siede con gli apostoli per la sua ultima cena; ha appena lavato loro i piedi, ha svelato l’imminente tradimento, ha conversato sulla rivelazione del Padre e sull’invio dello Spirito Santo. Dicendosi vite vera mostra agli apostoli la profondità del legame che li unisce e offre una chiave di lettura del mistero della vita sua e della sua persona, indicando contemporaneamente a quale dignità di vita chiama i suoi discepoli.

L’immagine della vite ha risonanze profondissime nelle Scritture, soprattutto in rapporto alle premure di Dio per il suo popolo. Si possono leggere i passi di Os 10,1, Is 5,1-7, Ger 2,21. In particolare, però, la vite ricorre nelle parabole di Gesù: nella parabola degli operai inviati alla vigna (Mt 20,1-16), nella parabola dei due figli invitati ad andare a lavorare nella vigna (Mt 21,28-30) e, con accenti assolutamente evocativi, nella parabola dei vignaioli assassini (Mt 21,33-42) dove l’amore di Dio per il suo popolo appare proprio folle.

La vite, per il vino che se ne ricava pestando gli acini e facendo fermentare il mosto, richiama il sacrificio pasquale di Gesù; il vino, frutto della vite, richiama il sangue, il mistero eucaristico, lo Spirito Santo, il regno di Dio.

Quando Gesù si proclama vera vite allude alla possibilità per gli uomini di avere la vita divina, di godere della piena comunione con Dio. Il paragone si impernia sul fatto che la vite e i tralci godono della stessa linfa. Se, evidentemente, i tralci sono rigogliosi, è perché ricevono la linfa dalla vite e quindi, applicando il paragone, se i discepoli vogliono avere vita vera, dovranno stare ben innestati in Gesù. Le parole di Gesù vanno comprese dentro questo mistero.

Gesù parla anzitutto di potatura. In greco, potare, purificare, essere puro o mondo, sono significati che si rapportano alla stessa radice. Illuminante la spiegazione di Gesù: “Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato”. La parola di Gesù, quella che si è trasformata in vita nostra, che ci ha comunicato il suo Spirito, ha il potere di rendere puri. Che significa? Accogliere la parola di Gesù significa accogliere la rivelazione della manifestazione dell’amore di Dio per l’uomo che lo vuole in comunione con sé perché possa vivere in verità la sua vocazione all’umanità. Gli apostoli incominciano a comprendere che in Gesù sta il segreto di Dio per l’uomo e, nello stesso tempo, il segreto del loro cuore che anela a Dio. Il segreto di Dio ha così sempre a che fare con la vocazione dell’uomo.

La potatura mira a ottenere più frutto.  Ma qual è il frutto di cui si parla? Si vedrà meglio nel seguito del brano che verrà letto domenica prossima, ma già si intravede da oggi. Il frutto è che il Padre sia glorificato, cioè che l’amore tra gli uomini risplenda a tal punto da rivelarlo Padre di tutti. Gesù è colui che rivela il mistero di Dio in tutta la sua bellezza per l’amore agli uomini che lo divora, fedele in questo all’amore del Padre fino alla fine: sia all’amore del Padre che in lui aveva posto tutto il suo compiacimento sia all’amore per il Padre nella fedeltà alla sua volontà di benevolenza per gli uomini. Partecipare a tutta la bellezza di quell’amore significa dimorare in Gesù, come l’immagine della vite sottolinea. E si dimora quando non si attingono altrove motivazioni di vita e di azione, in nessuna circostanza, cioè quando lo Spirito del Signore agisce e muove il nostro cuore in tutto ciò che sente e che fa, in tutta intimità.

Da notare che, se i discepoli vogliono rimanere nel Signore, bisogna che la sua parola (nel testo greco ‘logos’) rimanga in essi. Il che significa che, se rimanessero in noi solo le parole, è assai probabile che col tempo non si fisserebbero dentro di noi e quindi con esse perderemmo anche il Cristo. Occorre invece che la parola del Signore diventi in noi vita, che incessantemente irrori la vita nostra, come la linfa della vite irrora incessantemente i tralci. Quando più avanti Gesù riprende il pensiero e dice: “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi”, il testo usa ‘remata’, da intendere: parole e fatti, detti ed eventi che lo riguardano, siano sigillati nel cuore là dove se ne fa memoria viva. Dalla memoria viva spunta come frutto proprio il Cristo che ci attira nella sua stessa dinamica di vita, cioè ci comunica il suo Spirito. Tanto che, quando alla fine proclama: “In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”, è come se dicesse: come io ho creduto al Padre fino alla fine e ho portato il frutto dello Spirito che si riversa e incendia il mondo rivelandogli l’amore di Dio per lui, così voi pure seguendo me, stando uniti a me.

Aggiungo ancora un aspetto rispetto al portar frutto che riguarda anche l’intelligenza delle Scritture che vengono colte nella loro capacità di rivelare al nostro cuore il mistero di Dio nella sua volontà di salvezza per l’uomo. Il segreto delle Scritture è il segreto di Dio, che ha sempre a che fare con la vocazione dell’uomo, come sopra dicevo. E il frutto per l’uomo sta proprio nel vivere secondo quel segreto, nella potenza che quel segreto comunica. Non si tratta tanto di venire a conoscenza di qualche dato di verità, ma di venir sopraffatti dalla rivelazione di un segreto che ti abilita a un’esperienza, capace per sua stessa natura, data la sua radice dall’alto, di indirizzarsi a tutti, di condividerla a tutti.