Terzo ciclo

Anno liturgico B (2008-2009)

Tempo Ordinario

 

5a Domenica

(8 febbraio 2009)

 

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Gb 7,1-7;  Sal 146;  1Cor 9,16-23;  Mc 1,29-39

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La liturgia proclama il brano di vangelo di oggi da un’angolatura particolare. Considerando la figura di Gesù che guarisce e scaccia i demoni, ne vuole mostrare la radice di autorità con il canto al vangelo, l’urgenza dell’opera con il brano di Giobbe e scava nei cuori lo spazio adatto alla supplica con la colletta. Se il potere del male atterra gli uomini, il potere di Gesù atterra il male e rende gli uomini liberi in solidarietà con lui e fra di loro.

Il canto al vangelo “Cristo ha preso le nostre infermità e si è caricato delle nostre malattie” è ripreso da Mt 8,17 e costituisce la traduzione letterale dall’ebraico di Is 53,4, passo che appartiene al quarto canto del Servo. Matteo fa una rilettura dell’operato di Gesù a partire da una theologia crucis e fonda l’autorità di Gesù nello scacciare i demoni proprio sulla vittoria contro di loro sulla croce. Introdurre il brano di Marco con questa rivelazione profetica significa sottolineare da dove viene la potenza di Gesù, significa invitare a leggere la sua opera, i suoi miracoli, in funzione di quella rivelazione. Dietro l’agire di Gesù, sta un segreto da cogliere. Il miracolo delle guarigioni e la cacciata dei demoni non sottolineano tanto il potere divino di Gesù, ma l’accondiscendenza di Dio, la prossimità di Dio in Gesù all’uomo. E questa dimostrazione è in funzione dello svelamento del segreto di Dio per l’uomo, della rivelazione del suo immenso amore al mondo tramite il Figlio, che ci riporta alla comunione con lui strappandoci dal male.

L’urgenza di questa rivelazione è accentuata dal fatto che l’uomo versa in condizioni di oppressione e di angoscia, di cui il brano di Giobbe mostra tutta la drammaticità. Giobbe non ha accettato la devota spiegazione del dolore che i suoi amici gli hanno dato prendendo le difese di Dio. Giobbe protesta la sua innocenza e si sfoga con il suo Dio. Potremmo riassumere il suo intervento così: non si può comprendere la vita dell’uomo a partire da leggi supreme, ma solo da dentro un rapporto. Non è vero che il tormento dell’uomo rispecchi la giustizia di Dio, come sostengono i suoi amici, ricusati però da Dio stesso alla fine del libro; è vero invece che la giustizia di Dio rimane imperscrutabile ma che lui è accessibile all’uomo e suo salvatore.

Nel dramma, la cosa non è affatto scontata e proprio per rispondere all’angoscia dell’uomo viene descritta l’ansia di Gesù di raggiungere tutti, particolare che imprime una forte accelerazione di movimento a ciò che viene raccontato nel vangelo di oggi. Si tratta di un doppio movimento: una tensione verso tutti, ma anche una tensione per arrivare a Gerusalemme; una tensione per l’allargamento della sua predicazione, ma contemporaneamente la tensione per lo svelamento del suo segreto. In quell’ansia di Gesù, nel suo doppio significato di raggiungere tutti e che tutto il suo segreto si sveli, sta racchiusa l’urgenza della missione della chiesa in tutti i tempi.

Marco sottolinea anche la ricerca di solitudine da parte di Gesù ed è caratteristico che l’evangelista collochi la preghiera di Gesù in rapporto alla sua ansia di raggiungere tutti e di svelare tutto il suo segreto. La preghiera non ha forse a che fare con il desiderio di comunione con gli uomini da parte di Dio prima ancora che essere espressione del desiderio degli uomini di stare in compagnia di Dio? Se gli uomini non percepissero l’eco di quel desiderio di Dio, potrebbero mai pregare davvero? Potrebbero mai essere solidali con i loro fratelli e farsi raggiungere dal Suo amore tanto da essere rinnovati totalmente? Il fatto poi che Gesù si ritiri da solo a pregare esprime proprio l’immensità del desiderio di Dio per l’uomo e quando i discepoli gli annunciano che lo cercano, non torna ma va altrove perché tutti deve raggiungere. E si può leggere anche così: Gesù deve percorrere tutta la terra del nostro cuore; se in qualche parte siamo stati guariti, altre parti attendono la guarigione, fino a che tutto in noi possa risplendere del suo amore salvatore.

La colletta mostra che in Gesù Dio si appressa all’uomo, gli uomini sono liberati dalle loro oppressioni e imparano a vivere solidali, abitati dalla speranza: “ ... rendici puri e forti nelle prove, perché sull'esempio di Cristo impariamo a condividere con i fratelli il mistero del dolore, illuminati dalla speranza che ci salva”. La potenza della supplica deriva dall’intensità della coscienza del male che ci ferisce insieme al desiderio di guarigione che ci attrae al Signore Gesù, solidali in umanità con tutti. La preghiera si risolve nel desiderio di sperimentare l’amore salvatore di Dio, non però nel senso di essere preservati dagli effetti dell’azione dei demoni (il male non scompare e non scomparirà dalla scena del mondo) ma nel senso di non essere più asserviti ai loro scopi perversi. A tal punto che, proprio quando il male sembrerà prevalere, come con il Signore Gesù in croce, esso sarà definitivamente vinto perché svuotato del suo scopo perverso, cioè quello di dividere gli uomini da Dio e tra di loro.