Terzo ciclo

Anno liturgico B (2008-2009)

Tempo di Natale

 

Santa Famiglia

(28 dicembre 2008)

 

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Gn 15,1-6; 21,1-3;  Sal 104;  Eb 11,8-19;  Lc 2,22-40

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La liturgia di oggi contempla il mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio sottolineandone gli aspetti di veracità storica. Dio si fa uomo in un determinato popolo, con determinate leggi, dentro una determinata storia, rispettando certe regole: la mamma si dovrà purificare, il bambino ebreo dovrà essere circonciso, gli si darà un nome, sarà presentato al tempio e vivrà in una famiglia che gli assicurerà la crescita e l’educazione.

Due sono i personaggi che introducono a questa contemplazione: Abramo e Simeone. Proprio di Abramo Gesù dirà: “Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia” (Gv 8,56). E Simeone esultante proclama, prendendo tra le sue braccia il bambino Gesù: “i miei occhi hanno visto la tua salvezza”. Quando o come Abramo avrà potuto vedere il giorno di Gesù? L’ha visto profeticamente alla nascita di Isacco, il figlio della promessa, avuto in vecchiaia, ma soprattutto dopo aver riavuto il suo Isacco, amatissimo, allorché il Signore gli impedisce di sacrificarlo e gli fa trovare l’ariete per l’olocausto sul monte Moria (cfr Gn 22). E l’ha visto nella sua discendenza, in Simeone, che da Abramo deriva e che ha tenuto Gesù bambino nelle sue braccia. L’esultanza di Abramo attraversa tutta la sua discendenza per giungere a compiersi in Simeone e da Simeone risale indietro fino a ricadere sullo stesso Abramo.

Il testo del vangelo di Luca che narra della presentazione al tempio di Gesù è ricco di particolari misteriosi, particolari che tradiscono la contemplazione di un mistero, velato ma percepibile. Luca parla della loro purificazione: ma solo la mamma era tenuta a purificarsi dopo il parto (cfr. Lev 12,1-8). Non c’è nessuna legge che prescrive di portare il bambino al tempio. La Legge di Mosè prescrive di consacrare e riscattare ogni primogenito (cfr Es 13); Luca, citando quella norma, ne modifica l’espressione dicendo che ‘ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore’ ed usa le stesse parole dell’angelo Gabriele quando reca l’annunzio a Maria. Come a sottolineare: Gesù non ha bisogno di essere consacrato al Signore e non deve essere riscattato; anzi, lui è il Consacrato, il Cristo del Signore; lui sarà il riscatto per il suo popolo, per l’intera umanità. In lui si concentra tutto il senso della storia sacra perché compie in verità quello che nella Legge veniva descritto in simbolo: Gesù è il primogenito diletto che compie il sacrificio di Isacco, come lui è il vero pane celeste che era prefigurato nella manna.

Simeone, che aspettava la consolazione di Israele, figura di tutta l’umanità in attesa, ha ricevuto la promessa che non avrebbe visto la morte prima di aver veduto il Messia del Signore, cioè colui stesso che era la consolazione di Israele, colui nel quale tutte le attese di consolazione si sarebbero compiute. E siccome si sarebbero compiute attraverso la passione della croce, Simeone vede la spada di dolore che trafiggerà la mamma di quel bambino, non solo in ragione del suo dolore di mamma, e nemmeno solo in ragione della sofferenza della divisione nel suo popolo che sperimenta in se stessa in tutta la sua tragedia, ma anche e soprattutto in ragione della sua solidarietà con il Figlio Redentore e con l’Amore del Padre che così perdutamente testimonia la sua dilezione per gli uomini.

Ma anche la visione di Simeone, come quella di Abramo, come del resto la visione di ogni credente, è una visione profetica. Tiene il bambino Gesù in braccio e vede avanti, vede in spirito, sente il mistero di quel bambino venuto a compiere tutte le attese: “Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele”. È il cantico che la chiesa innalza a compieta, tutti i giorni, come a riprova che l’esito dei nostri giorni mortali non può che risolversi in questa contemplazione di Dio. Eppure le parole di Simeone hanno un’altra forza. Potremmo tradurle così: Signore, ora che ho potuto trattenere una tua parola, fa che sia sciolto da ogni legame che impedisce a questa parola di agire, che impedisce al mio cuore di goderne la potenza e possa cominciare a vivere in quella pace che compie la mia attesa ed anche la tua! Sì, perché non è soltanto l’uomo ad aspettare la consolazione, è anche Dio e la consolazione di Dio è la condivisione della sua gioia e della sua pace con noi. E possano tutte le genti, insieme al popolo di Israele, diventare l’Israele di Dio, nel quale si compie la consolazione e dell’uomo e di Dio.