Terzo ciclo

Anno liturgico A (2007-2008)

Tempo di Pasqua

 

Pentecoste

(11 maggio 2008)

 

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At 2,1-11;  Sal 103;  1Cor 12,3-13;  Gv 20,19-23

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Se colleghiamo l’antifona d’ingresso: “L’amore di Dio è stato effuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito, che ha stabilito in noi la sua dimora” (ripresa di Rm 5, 5 e 8,11) con il canto al vangelo: “Vieni, santo Spirito, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore” possiamo entrare direttamente nel mistero della festa di oggi.

Si allude contemporaneamente a una esperienza ‘antica’ e ‘nuova’, all’esperienza della chiesa e di ogni fedele, all’esperienza degli apostoli e alla nostra. Come facciamo esperienza dello Spirito Santo? Rispetto a che cosa possiamo fare esperienza dello Spirito Santo? Paolo annuncia che l’amore di Dio è stato effuso nei nostri cuori perché la speranza di cui godiamo non delude. Il senso delle sue dichiarazioni si può riassumere così: noi abbiamo coscienza di essere amati da Dio proprio nella nostra realtà di uomini peccatori. Se dunque, da peccatori, Dio ci è venuto incontro nella persona del suo Figlio, quanto più, una volta riconosciuto e accolto il mistero del Figlio, potremo godere del suo amore! L’esperienza dello Spirito Santo ha così a che vedere con l’esperienza della grandezza dell’amore di Dio che, non avendo vergogna di noi, ci raggiunge dentro il nostro peccato, ci rivela che di quell’amore siamo intessuti e così ci rende ‘capaci’, nel suo Figlio prediletto, di vivere proprio di quell’amore, realizzando la nostra vocazione all’umanità fatta ‘a immagine e somiglianza di Dio’.

È caratteristico il fatto che la promessa dello Spirito (cfr Lc 24,49: “Io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto”) riassuma l’esperienza più personale e più universale che ci possa essere. È la promessa che riassume tutte le promesse di Dio al suo popolo. Il mistero della Pentecoste lo rivela. Lo vediamo prima di tutto dalle ‘condizioni’ che la presuppongono. Luca sottolinea come gli apostoli, dopo l’ascensione al cielo di Gesù, tornati con gioia a Gerusalemme, siano “assidui e concordi nella preghiera” (At 1,14) e che il giorno di Pentecoste “si trovavano tutti insieme nello stesso luogo” (At 2,1). Non sono semplici annotazioni; indicano piuttosto la condizione di possibilità dell’esperienza dello Spirito: se lo Spirito viene a uno, viene in quanto rivelatore di comunione in umanità. La ‘potenza dall’alto’ allude a questa dimensione di comunione profonda e misteriosa in umanità. Così anche dopo l’evento della Pentecoste, Luca descrive i discepoli, ormai ricolmi di Spirito Santo: “Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere” (At 2,42).

Se guardiamo ora all’evento della Pentecoste, notiamo che le persone di varie etnie, che ascoltano gli apostoli parlare nelle varie lingue, sentono tutti la stessa e unica cosa: “li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio”. La meraviglia che accomuna tutti non è semplicemente quella di sentire parlare nella propria lingua, ma quella di cogliere la grandezza dell’amore di Dio che a tutti si fa manifesto. E questa è attività propria dello Spirito Santo. L’aspetto misterioso è dato dal fatto che, se la diversità di espressione fa riferimento all’unica verità, l’unicità della verità non può che essere comunicata nella varietà delle lingue. E la varietà delle lingue ormai è vissuta in funzione della comunione, superando così la paura della diversità che aveva fatto preferire l’uniformità alla comunione (si ha così il superamento della divisione, perché viene annullato il principio del potere). Solo dello Spirito di Dio può essere detto: “lo Spirito del Signore ha riempito l’universo, egli che tutto unisce, conosce ogni linguaggio” (Sap 1,7). Ma questo ‘Spirito di Dio’ non può che essere lo Spirito del Figlio, perché lui solo ha il potere di rivelare il vero volto di Dio e di compiere i veri desideri del cuore dell’uomo (cfr Mt 28,18). In effetti, la venuta dello Spirito rivestirà i discepoli di quella ‘potenza dall’alto’ perché siano testimoni di Gesù nel mondo e a tutti possa esser manifesto il segreto di Dio per gli uomini. Se lo Spirito agisce per la comunione è perché il Figlio ha mostrato quanto è grande l’amore di Dio per gli uomini che li vuole suoi figli, tutti insieme, nessuno escluso.

La verità di cui lo Spirito è promotore ha così una coloritura dinamica e drammatica: ingloba in un amore che, mentre si manifesta a te, lo fa vivere aperto a tutti, perché tutti sono chiamati a gustare le stesse cose. La verità che viene resa nota, per quanto bella e consolante, non convince nessuno automaticamente, non ha potere strabiliante: si comunica di bocca in bocca, di cuore in cuore, di atto in atto, in umanità. Il racconto di Pentecoste finisce difatti con l’annotazione: “Tutti erano stupiti e perplessi, chiedendosi l’un l’altro: ‘Che significa questo?’. Altri invece li deridevano e dicevano: ‘Si sono ubriacati di mosto’ ”.