Terzo
ciclo
Anno
liturgico A (2007-2008)
Tempo
di Pasqua
Domenica di Pasqua
(23 marzo
2008)
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Risurrezione
del Signore
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Il giovedì santo
la chiesa pone a suggello della celebrazione del triduo pasquale l’affermazione
del vangelo di Giovanni: “Dopo aver amato
i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1). Certamente
non vuol significare solo che Gesù starà fedele al suo amore fino alla morte,
ma più precisamente che va incontro alla morte perché si sveli in tutto il suo
splendore l’amore che lo muove rispetto al Padre e a tutti noi. Nella stessa
celebrazione, con l’istituzione dell’eucaristia e la lavanda dei piedi, l’amore
è definito nel suo mistero di dono (“questo
è il mio corpo, che è per voi”) e di servizio (“Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche
voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri”). La posta in gioco è ‘aver
parte con lui’. Accogliere il servizio di Gesù e non praticarlo al fratello
significa non riconoscere quel ‘corpo, che è per noi’, tanto il mistero
dell’amore parla di Dio e dell’uomo insieme.
Quando, nel
venerdì santo, la liturgia illustrerà fino a che punto l’amore di Gesù ha
prevalso nella sua passione, non avrà che da citare la profezia di Isaia: “Si compirà per mezzo suo la volontà del
Signore” (Is 53,10). Non tanto nel senso che la volontà del Signore era di
condurlo alla passione, ma piuttosto nel senso che la volontà di bene e di
salvezza da parte di Dio per gli uomini potesse risplendere in tutta la sua
forza e il suo splendore proprio per mezzo della sua passione. Lì possiamo
comprendere la potenza dell’amore di Dio che sopravanza l’ingiustizia e la
durezza di cuore degli uomini con la sua mansuetudine. Giovanni interpreta con
il profeta Zaccaria 12,10: “Volgeranno lo
sguardo a colui che hanno trafitto” (da leggere, secondo il testo ebraico e
greco della LXX: “Guarderanno verso di me che hanno trafitto”). È quello che
succederà dopo Pasqua, quando Pietro annuncerà il mistero della morte e
risurrezione di Gesù in modo che gli ascoltatori si sentiranno trafiggere il
cuore ripensando alla morte di Gesù. In quel ‘si compirà per mezzo suo la
volontà del Signore’ sta anche l’esempio per i suoi discepoli che non potranno
far risplendere l’amore di Dio in questo mondo se non come Gesù, se non
seguendo la via di Gesù. Non esiste altro modo di vivere l’amore se non quello
di ‘amare sino alla fine’, vale a dire di amare fino a che il mistero che
richiama si sveli in tutta la sua potenza di mansuetudine e porti vita.
Ma il mistero
dell’amore, per quanto desiderabile, non è affatto scontato. Senza il sigillo
della risurrezione di Gesù non sarebbe stato colto e non avrebbe potuto essere
immesso nel mondo. Le donne, i discepoli, la domenica di Pasqua, attendono o
corrono al sepolcro per trovare un morto; l’unico orizzonte possibile è avere
il corpo del loro amato Signore. Se l’esperienza della risurrezione di Gesù era
del tutto inconcepibile per i discepoli, ciò significa che anche l’esperienza
del suo amore sino alla fine non
poteva essere colto.
Il primo giorno,
il giorno uno della settimana, dischiude un tempo completamente diverso, un
tempo nel quale tutto ciò che è stato compiuto fino ad ora si rivela come
novità. Il primo personaggio che ci conduce alla soglia di questa novità è
Maria Maddalena. A differenza dei sinottici, Giovanni non aveva menzionato per
la circostanza della sepoltura la presenza delle donne. La mistura di mirra e
aloe era stata portata da Nicodemo e Giuseppe di Arimatea. I sinottici narrano
dell’arrivo al sepolcro, all’alba, delle donne con gli oli per completare
l’unzione del corpo di Gesù. Giovanni sorvola su tutto questo. Parla solo di
Maria Maddalena e l’accento è posto sulla motivazione profonda, interiore,
della sua presenza al sepolcro. Essa vive un’angoscia personale, un sentimento
di assenza irrimediabile; per lei oramai il Signore è l’Assente; non può che
sentirlo che così. Per prima vede la pietra del sepolcro tolta via e corre ad
avvertire i discepoli: “Hanno portato via
il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove lo hanno posto”. Dall’angoscia
dell’assenza passa all’angoscia dell’incertezza. Ma Giovanni parla della pietra
tolta via dal sepolcro per sottolineare, in questo Giorno della Risurrezione,
che viene tolto l’ultimo impedimento alla ‘vista’, alla ‘visione’, come poi il
brano dirà a proposito di Giovanni entrato nel sepolcro.
L’episodio dei
due discepoli che corrono al sepolcro lo conferma in una tensione crescente per
giungere, alla fine, alle straordinarie parole: “Allora entrò anche l’altro discepolo …e vide e credette”. È come
una richiesta che viene sussurrata al cuore dei possibili lettori del vangelo,
la richiesta di avanzare nella conoscenza del mistero, di salire fino
all’intelligenza della risurrezione che viene svelata poco a poco: “Vide e credette”.
La letizia
pasquale che, poco a poco, invade e conquista i discepoli e che scaturisce
dall’esperienza dell’incontro con lui, vivo, capace di far vincere ogni paura,
ha anche a che fare con i tre doni che Gesù conferisce: la gioia, la pace e la
libertà. Ma se andiamo a vedere, quei tre doni, tipicamente pasquali, uniti
all’esperienza dell’incontro con lui, il Vivente, ci partecipano la sua stessa
vita e ci consentono di vivere come lui, vale a dire ci porteranno a poter dire
di noi: “e lo amarono sino alla fine’, ‘amarono i loro fratelli sino alla
fine’. L’augurio pasquale più bello!