Terzo ciclo

Anno liturgico A (2007-2008)

Tempo di Natale

 

Natale del Signore

(25 dicembre 2007)

 

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Messa vespertina della vigilia:  Is 62,1-5;  Mt 1,1-25

Messa della notte:                Is 9,1-6;  sal 95;  Tt 2,11-14;  Lc 2,1-14

Messa dell’aurora:                Is 62,11-12;  Lc 2,15-20

Messa del giorno:                 Is 52,7-10;  Gv 1,1-18

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Se consideriamo lo sviluppo della liturgia natalizia nei suoi quattro formulari delle Messe, il mistero del Natale appare in tutto il suo splendore. Una tensione unica percorre la liturgia, sottolineata dalle collette: Dio si fa uomo perché l’uomo diventi ‘dio’. Ciò significa che la natura dell’uomo è strutturata sulla vita divina e la liturgia del natale del Signore appunta lo sguardo sul mistero da dentro tale prospettiva.

Se teniamo presenti i brani evangelici possiamo notare che l’evento della nascita di Gesù, a Betlemme, celebrato nella messa della notte, con la successiva adorazione dei pastori, commemorato nella messa dell’aurora, risulta incastonato dai brani della genealogia di Gesù (messa vespertina della vigilia) e dal prologo di Giovanni (messa del giorno). Quale lettura possibile?

È come se la liturgia insegnasse ad affinare gli sguardi. Quel Bambino che contempliamo nel presepio è Colui che compie la promessa di Dio al popolo d’Israele. La geneaologia di Matteo, all’inizio del suo vangelo, vuol proprio dire questo: Gesù, che risale ad Abramo, è inserito nella storia sacra di Dio col popolo d’Israele. Lui realizza le profezie, Lui compie le promesse, Lui è il Messia. Se però leggiamo la genealogia in Luca, posta dopo il battesimo di Gesù al Giordano, quando il cielo si apre e si ode la voce del Padre: “Questi è il Figlio mio prediletto ...”, allora il significato muta. Il Bambino del presepe è Colui sul quale il Padre dice: “Questi è il mio Figlio amatissimo, in Lui mi sono compiaciuto, mi sono sentito bene in Lui, in Lui ho trovato il mio posto, il mio spazio”. In effetti il cielo si apre su di lui e passa per lui (Gesù dirà: ‘io sono la porta…’) in modo che chi entra per lui arriva al principio della sua genealogia umana e la sorpassa, collegandola al mistero che la origina. Nella genealogia di Luca Gesù non risale ad Abramo, ma discende da Dio, assumendo Adamo: viene svelato il mistero della sua identità di Figlio di Dio, il mistero dell’amore di Dio nel quale prende origine la creazione dell’uomo e la storia di amore di Dio con l’umanità.

Con il brano di Giovanni si afferma la stessa cosa dando la griglia di lettura della storia umana a partire da Dio e dal Figlio, sul quale e per mezzo del quale tutto è stato creato, avvalorata ormai dalla testimonianza apostolica di aver visto lo splendore della gloria di Dio in quel Figlio, nato, vissuto, morto e risorto per noi. Dice Giovanni: “il Verbo si è fatto carne e noi abbiamo visto la sua gloria”.

Quando nella notte si celebra l’evento della nascita a Betlemme è da dentro questa prospettiva che gli occhi guardano. Forse noi non ci rendiamo conto della immensa sproporzione e inadeguatezza tra la povertà del segno indicato (un bambino giace nella mangiatoia) e lo splendore della visione celebrata con gli angeli che lodano Dio, con la luce che risplende, con la letizia immensa e incontenibile che riempie i cuori. Se si rilegge l’episodio del presepe di Greccio nella vita di s. Francesco di Assisi ci rendiamo conto della ‘logica’ di quella visione. “Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l’umiltà dell’incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro… E ogni volta che diceva ‘Bambino di Betlemme’ o ‘Gesù’ passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole” (FF 467-470). È il desiderio di far memoria di Gesù, il desiderio di condividere con lui quello che lui vive, sente e opera, perché il cuore è pieno di lui, a permettere agli occhi di vedere, all’anima di gustare. Allora, la semplicità del segno parla, si spalanca su spazi immensi perché la storia umana si apre sulla storia di Dio con l’umanità e la letizia non può non spuntare.

Così, se consideriamo le collette, la progressione della comprensione del mistero è delineata secondo questa traiettoria: l’evento sprigiona una tale luce (notte) da investire il nostro agire (aurora) per partecipare alla stessa vita di Dio (giorno). “O Dio, che hai illuminato questa santissima notte con lo splendore di Cristo, vera luce del mondo …” (notte);”Fa’ che risplenda nelle nostre opere il mistero della fede che rifulge nel nostro spirito” (aurora); “Fa’ che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio…” (giorno) e questo è lo scopo di tutta la nostra gioiosa adorazione.

 

Un poema natalizio di s. Efrem canta: “Sia benedetto Colui che ha consegnato la nostra anima, che l’ha adornata e se ne è fatta la fidanzata! Sia benedetto Colui che ha fatto del nostro corpo una tenda per la sua Invisibilità! Sia benedetto Colui che nella nostra lingua ha tradotto i suoi segreti!... Gloria a Colui che non ha mai bisogno che noi lo ringraziamo. Ma che ha bisogno di tenerci per cari, che ha sete di amarci e che chiede che noi gli diamo perché Lui possa darci ancora di più”. Possano i nostri cuori percepire quei segreti e scoprire le radici della letizia in questo mondo. La letizia dell’annuncio natalizio costituisca il vigore dell’anima e lo spazio di intelligenza del cuore per la vita propria e quella di tutti.