Terzo ciclo

Anno liturgico A (2007-2008)

Tempo di Avvento

 

4a Domenica

(23 dicembre 2007)

 

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Is 7,10-14;  sal 23;  Rm 1,1-7;  Mt 1,18-24

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La liturgia di oggi proclama che l’Emmanuele, il Dio-con-noi, è il re della gloria: sarà questa la buona novella che costituisce la radice di gioia dell’universo. L’aspetto misterioso dell’evento è descritto con la profezia di Isaia: “Stillate dall’alto, o cieli, la vostra rugiada e dalle nubi scenda a noi il Giusto: si apra la terra e germogli il Salvatore” (Is 45,8), ripresa dall’antifona di ingresso. Il testo è riportato secondo la versione della Volgata che attualizza messianicamente il testo ebraico più generico che parla solo di giustizia e di salvezza. L’allusione più diretta è all’imminente nascita di Gesù, il Giusto, dal grembo della Vergine. Ma la colletta allarga questa allusione anche alla terra del nostro cuore invitata a far nascere il Verbo della vita:   “…concedi anche a noi di accoglierlo e generarlo [= Verbo della vita] nello spirito, con l’ascolto della tua parola, nell’obbedienza della fede”.

Come è possibile che uno contemporaneamente scenda dall’alto e germogli dal basso? È appunto il mistero dell’agire divino che il profeta fa risaltare e che vale anche per noi. Non bisogna dimenticare che, in termini spaziali, ‘alto’ e ‘dentro’ alludono alla stessa regione, in contrapposizione a ‘basso’ e ‘fuori’. La grazia proviene dall’alto e agisce dal di dentro, mentre il peccato viene dal basso e agisce dal di fuori. È il peccato ad aver creato tale contrapposizione. Superarla significa ritrovare l’unità del cielo e della terra, l’unità del divino e dell’umano. Con la nascita di Gesù tale unità si compie: viene dall’alto e germoglia dal basso, ma senza più contrapposizione tra i due poli. Viene dal cielo e germoglia dalla terra, come ‘segno’ dell’azione di salvezza di Dio per l’uomo: “Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele: Dio-con-noi”. All’uomo sarebbe stato impossibile perfino immaginare un segno di tal genere, benché quel segno compia finalmente i suoi desideri più profondi. Dio sopravanza sempre la sua creatura, ma nella linea del desiderio della sua creatura stessa.

Dio, non semplicemente viene vicino a noi, ma germoglia dalla nostra umanità. Ciò significa che Dio è più intimo a noi di noi stessi; che Dio costituisce l’eredità più preziosa della nostra umanità; che Dio costituisce il senso della nostra stessa umanità. Tale rivelazione, che costituisce la gioia del nostro cuore per sempre, si presenta però con modalità assolutamente imprevedibili. Consideriamo la figura di Giuseppe. È l’ultimo testimone chiamato in causa nella serie delle testimonianze a favore del Figlio di Dio che si fa uomo. Paolo, nel saluto iniziale ai Romani, proclama: “… il vangelo di Dio, che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture, riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne…”. Quel Figlio è la buona novella di cui tutte le Scritture raccontano l’annuncio e la promessa e si fa uomo nella linea della discendenza davidica, discendenza che Giuseppe assicura. Quando l’angelo gli appare, chiama Giuseppe ‘figlio di Davide’. Naturalmente, Giuseppe non ha più nulla della gloria mondana di una discendenza regale, e tuttavia assicura a Gesù la verità del titolo ‘Figlio di Davide’, la verità della sua regalità. A convincere Giuseppe non sono bastate le parole della Vergine, la quale gli avrà spiegato la natura misteriosa del bambino che portava in grembo con le parole dell’angelo che l’aveva visitata. Eppure, le parole dell’angelo che gli appare in sogno riprendono le stesse parole della Vergine e avviene anche per lui ciò che era avvenuto alla sua sposa: si affida completamente a Dio. Di Giuseppe i vangeli non riportano alcuna parola; annotano solo i suoi pensieri, le sue decisioni, la sua obbedienza adorante e la sua premura per la sua sposa e il suo bambino. Entra nella gloria di Dio, che è splendore di amore per l’uomo, nella consapevolezza soltanto di permettere al Signore di realizzare le sue promesse d’amore all’umanità. Ma non sa in anticipo cosa questo gli richieda; sa solo che questo è il suo compito e in tutta obbedienza lo eseguirà, fedele in tutto e in ciò ritrovando gli aneliti supremi del suo cuore di uomo e di credente.

Giuseppe accoglie: la grazia viene dall’alto. Ma Giuseppe acconsente nella sua umanità: dalla terra germoglia il Salvatore. Così si manifesta la gloria del Dio-con-noi, che, mentre rivela la grandezza del suo amore per l’uomo, rende l’uomo capace di operare in quell’amore e secondo quell’amore, tanto da indurre tutti a vedere la vicinanza di Dio. La sua vocazione può essere definita come l’accettazione del compito affidatogli in rapporto al disegno di Dio di rivelare il Suo Amore agli uomini. E la sua obbedienza si rivela nel fatto di accettare di svolgere una parte semplicemente a favore della sua sposa, dentro un disegno più grande di lui, che imparerà a decifrare lungo tutta la sua vita senza mai essere in primo piano e proprio questo rivela la sua grandezza agli occhi di Dio. Così la vocazione di ciascuno di noi, nella fede, non è che quella di acconsentire a che il disegno di amore di Dio per gli uomini ci raggiunga e si manifesti e ci abiliti a diventare dei segni nell’unico ‘Segno’ che rivela compiutamente il volto d’amore di Dio, Gesù Cristo, Salvatore.