Secondo ciclo

Anno liturgico C (2006-2007)

Tempo di Quaresima

 

4a Domenica

(18 marzo 2007)

 

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 Gs 5,9-12; sal 33;  2 Cor 5,17-21;  Lc 15,1-3.11-32

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Le parabole, prima che di noi, parlano di Dio, di Dio in rapporto a noi. Siamo a metà del cammino quaresimale e la chiesa si interroga: come Dio agisce con i peccatori? Possono i peccatori trovare salvezza?

La risposta è nello stesso annuncio evangelico, che Gesù sintetizza splendidamente con la parabola del figlio prodigo, parabola che sarebbe meglio chiamare del padre misericordioso. L’antifona di ingresso della liturgia ne esalta subito l’esito parafrasando un passo del profeta Isaia: “Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa quanti la amate. Sfavillate di gioia con essa voi tutti che avete partecipato al suo lutto. Così succhierete al suo petto e vi sazierete delle sue consolazioni; succhierete, deliziandovi, all' abbondanza del suo seno” (Is 66,10-11). L’immagine è di un bambino ingordo che succhia al seno della mamma e se ne sazia beato. È l’immagine dell’uomo peccatore che, pentito, torna al suo Dio e ne scopre la tenerezza. Non è però un’immagine usuale per la fantasia religiosa dell’uomo. L’uomo preferisce distinguersi dai suoi simili, peccatori, esibendo una parvenza di giustizia, senza tener conto dei sentimenti di Dio. Ed è  proprio questo che rende la sua ‘giustizia’ non gradita perché non solidale con i sentimenti di Dio.

Gesù è indotto a raccontare la parabola a causa delle lamentele, che diventano perfino accuse, da parte dei farisei di fronte al suo agire: “I farisei e gli scribi mormoravano: "Costui riceve i peccatori e mangia con loro” (Lc 15,2). Non si davano pena dei sentimenti di Dio come rivela il profeta Isaia: “Sion ha detto: "Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato". Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai” (Is 49, 14-15) O dell’altro passo: “In un impeto di collera ti ho nascosto per un poco il mio volto; ma con affetto perenne ho avuto pietà di te, dice il tuo redentore, il Signore” (Is 54,8). Non si ricordavano più il rimprovero che Dio aveva rivolto al profeta Giona per la sua irritazione a causa della pianta di ricino seccata (cfr Gio 4, 10-11).

Di fronte alla parabola del figlio prodigo potremmo farci una domanda a proposito dei sentimenti dei figli tra loro e verso il loro padre. È chiaro che la comunione con il padre resta il segreto della felicità dei due figli. Ora, cosa sarebbe successo se il figlio minore, ritornato pentito, si fosse stizzito per l’atteggiamento del fratello maggiore che non poteva accettare quel trattamento di riguardo del padre a suo favore? Se avesse preteso comprensione anche dal fratello maggiore, sarebbe stato sincero nel suo pentimento verso il padre? E se il figlio maggiore si fosse sentito solidale con il padre nella sua gioia, avrebbe potuto rivendicare qualcosa per sé? Evidentemente non si è mai trovato, insieme al padre, durante tutto il tempo dell’assenza del fratello, a dire: “speriamo ritorni … speriamo non gli capiti qualcosa di irreparabile…”. Il punto è esattamente questo allora: stare solidali con il padre, con la sua premura e la sua angoscia per poter godere della sua gioia. È questa la comunione con il padre, il segreto della felicità dei figli. È Gesù a rivelare a quale livello di intimità si situa il segreto della felicità nella comunione con il Padre: “Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie” (Gv 17,10), come esattamente il padre della parabola dice al figlio maggiore. Quando i figli saranno capaci di dire con le parole del salmo: “Chi altri avrò per me in cielo? Fuori di te nulla bramo sulla terra” (Sal 73,25) allora saranno nella pace e godranno la fraternità.

Se s. Paolo proclama che il ministero della chiesa è la riconciliazione, come riporta la seconda lettura, vuol dire che l’esperienza fondamentale dell’uomo è l’accoglienza del perdono di Dio, in Cristo, esperienza così fondante della ‘nuova’ umanità a noi donata in Cristo, che tutta la vita umana assume la tensione di estendere a tutto e a tutti il perdono ricevuto, nella condivisione comune. E se, come si legge nella stessa lettera: “Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione”, 2Cor 5,18), Dio affida all’uomo il ministero della riconciliazione, vuol dire che ritiene l’uomo suo compagno. "Siamo infatti collaboratori di Dio" (1Cor 3,9). Con la rivelazione di Gesù, che svela, mentre compie, questo supremo desiderio di Dio, possiamo scorgere all'opera nel mondo le segrete intenzioni di Dio nei confronti delle sue creature, come la stessa parabola di Gesù rivela. Parlare di redenzione, di salvezza, di grazia, significa alludere a questa opera di riconciliazione in atto nella storia, come dice Gesù:  «Il Padre mio opera sempre e anch'io opero» (Gv 5,17). Opera appunto la riconciliazione in Gesù, nostra pace ("Egli infatti è la nostra pace", Ef 2,14). Noi tutti siamo chiamati a concorrere alla realizzazione di questa 'opera'. In questo senso dobbiamo imparare a giudicare ogni cosa in base alla convergenza verso questo supremo scopo divino. Così si fa esperienza di essere solidali con i sentimenti di Dio, perché in questo consiste la letizia dell’uomo, la cui porta di accesso è il pentimento, come per il figlio che rientra in se stesso e pensa a suo padre decidendo di ritornare a casa, nonostante la sua vergogna. Dal pentimento si sviluppa la conversione, l’incontro con Dio e la possibilità di vivere una ‘nuova’ fraternità, partecipi della gioia del padre che invita alla festa.