Secondo ciclo

Anno liturgico C (2006-2007)

Tempo di Quaresima

 

3a Domenica

(11 marzo 2007)

 

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 Es 3,1-15;  Sal 102;  1 Cor 10,1-6.10-12;  Lc 13,1-9

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Il canto al vangelo dà il senso preciso della odierna liturgia e di tutto il cammino quaresimale, rilanciando il grido di Gesù che attraversa tutta quanta la sua predicazione: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (a volte viene tradotto: ‘Fate penitenza’!). Tutto il capitolo 13 di Luca è come un ‘grido’ di Gesù che esercita una pressione sui cuori: ‘convertitevi’! La forza è tale che possiamo domandarci: da dove gli deriva quell’urgenza? Sarà da mettere in relazione alla sua morte prossima? È lo zelo per il suo compito messianico? Tutto il capitolo tende a dirigere gli sguardi su quello che avverrà a Gerusalemme, sulla rivelazione che comporterà la sua ‘passione’ a Gerusalemme: “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa vi viene lasciata deserta! Vi dico infatti che non mi vedrete più fino al tempo in cui direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”. Quando Gesù sollecita i cuori alla conversione, la posta in gioco è proprio la possibilità della visione di Dio, la possibilità di partecipare ai segreti di Dio che si svelano al mondo, la possibilità di un’esperienza di umanità ritrovata e guarita nell’accoglienza dell’ amore salvatore di Dio che in Gesù ha appunto il suo sigillo ultimativo. La cosa è così essenziale per la vita dell’uomo che non è più possibile tergiversare, non è più possibile far finta, pena la rovina.

Quando la gente cerca di ottenere da Gesù la conferma di un senso plausibile alle crudeltà della storia (vedi l’esempio dei Galilei uccisi da Pilato e degli altri periti in un incidente di vita quotidiana), si sente ributtata nell’assurdo. I ragionamenti umani non possono superare l’assurdo. In effetti è assurdo pensare che, se io sono risparmiato dal dolore, significa che ho Dio dalla mia parte! L’uomo non ha alcun potere su Dio e quindi è perfettamente inutile che cerchi di avere Dio dalla sua parte. Dio è già dalla sua parte, ma in un modo che non è scontato vedere e vivere. L’esempio di Gesù è lì a evidenziarlo. Lui è l’Inviato di Dio, Lui è la rivelazione dell’amore di Dio. Da come accogliamo Lui, accogliamo la vita. Gesù è tutto teso a quel ‘gridare’: ‘convertitevi!...’. Senza la conversione all’alleanza di Dio, di cui Lui costituisce il sigillo, periremo tutti, sia perché non potremo saziare il desiderio del nostro cuore e verremo lasciati in balia delle nostre ossessioni sia perché, oppressi da quelle ossessioni, ci renderemo la vita impossibile gli uni contro gli altri.

Ora, la conversione si gioca proprio nell’accogliere la rivelazione di Dio, nello scoprire chi sia Dio per noi. Il grido di Gesù sale dalla profondità del mistero di Dio rivelato a Mosè nel roveto ardente, che il salmo responsoriale, il salmo 102, modula in mille sfumature. Dio confessa a Mosé: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto …conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo …”. In quel ‘conosco le sue sofferenze’ si rivela tutta la partecipazione dell’amore di Dio per le sue creature, tutta la sua prossimità all’uomo, tutta l’accondiscendenza che lo muove nei confronti dell’uomo. Gli antichi commentatori ebraici spiegano così i sentimenti di Dio: ‘io pure soffro come soffrono loro … le loro pene mi riguardano; vedo anche le pene che non dicono, ma che opprimono i loro cuori…’. E quando Mosè chiede a nome di chi dovrà presentarsi, Dio risponde: “Io sono colui che sono! …il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi”. Il Nome di Dio esprime ciò che l’uomo di Lui può sperimentare quando lo invoca, quando, avendolo invocato, ne coglie la vicinanza e la sua potenza di liberazione e di favore. L’espressione, misteriosa nella sua disarmante semplicità ‘Io sono colui che sono’ può voler dire allora: ‘Io sono colui che sarò’; ‘Io sono là con voi come voi vedrete’; ‘io sono colui che tu vedrai quando invocandomi io ci sarò’; ‘chi io sia voi lo saprete da quello che farò per voi’. Il nome di Dio non rinvia semplicemente all’essere di Dio, ma al suo essere per noi. Tanto che Dio è sempre Dio di: Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, Dio di Israele, Dio di Gesù Cristo, Dio di noi… Così il popolo fa parte del nome di Dio, come Dio, El, fa parte del nome del popolo, Isra-El. ‘Nostro’ o ‘mio’ ed ‘unico’ in rapporto a Dio stanno sempre insieme. Tale è l’alleanza di Dio con l’uomo. Tanto che, secondo la bellissima espressione di Origene,  in questa alleanza che si rivela nel Nome di Dio è sottesa tutta la dinamica della nostra crescita spirituale: “Magari venisse concessa anche a me l’eredità di Abramo, Isacco, Giacobbe e divenisse mio il mio Dio allo stesso modo che è diventato Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, in Cristo Gesù, Signore nostro” (ORIGENE,  Omelie su Giosué, Omelia XVIII,3).

Se il salmo 102 lo mettiamo in bocca allo stesso Mosè, quante sfumature di senso si potrebbero cogliere! Lui può comprendere quello che Gesù dice di sé nelle parole di benedizione dei credenti che lo riconoscono come l’Inviato: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”. La nostra lode al Signore è l’eco di quella benedizione: “Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome”. Tutto il mio intimo lo benedica; la benedizione di Lui salga dal mio cuore, dalla mia storia, dal mondo che per quella benedizione vive. Quando proclamiamo: “Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue malattie…Buono e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore”, noi intendiamo esprimere la scoperta del Nome di Dio per il nostro cuore che ha cambiato tutta la nostra vita, ce l’ha fatta apparire sotto tutta un’altra luce, trasfigurandola. Proprio alla scoperta del Nome di Dio che si rivela in Gesù ci rimanda l’invito evangelico: “Convertitevi!”.