Secondo ciclo

Anno liturgico C (2006-2007)

Tempo di Quaresima

 

2a Domenica

(4 marzo 2007)

 

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 Gen 15,5-18;  Sal 26;  Fil 3,17-4,1;  Lc 9,28-36

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L’antica colletta ci fa supplicare: “purifica gli occhi del nostro spirito perché possiamo godere la visione della tua gloria”, mentre il canto al vangelo proclama: “    Questi è il mio Figlio prediletto: ascoltatelo”. Viene così delineato dalla liturgia di oggi l’intero arco del percorso del discepolo di Gesù: ascoltarlo, conoscerne il mistero e vederne la gloria. Tutto il cammino quaresimale è teso a questo obiettivo. Perché essenzialmente di questo si tratta in quanto tutto qui si riassume: "Questi è il mio Figlio prediletto:ascoltatelo". La tensione del mostrarsi di Dio all'uomo converge verso questo unico punto: conoscere il suo Figlio prediletto, vedere il suo Volto. Ma anche la tensione del cuore dell'uomo, che cerca vita e vita che duri, in questo unico punto trova compimento. Ascoltarlo significa allora percepire che la vita consiste in questo immergersi e ritrovarsi nello splendore del suo Volto, significa vedere se stessi, le cose, il mondo, la storia, da dentro il rapporto, accettato, con questo Figlio prediletto. Così, prima di ritrovarci immersi nel dramma della passione e della morte, la liturgia ci 'consola' con la visione della trasfigurazione, preludio alla risurrezione, allo scopo di insegnarci a vedere nel volto martoriato e insanguinato il Volto del Signore della gloria. Se gli apostoli si sono ritrovati confusi e smarriti nel momento del dolore, loro che la visione l'hanno goduta con i loro propri occhi, vuol dire che anche per noi le cose non andranno diversamente.

A quale condizione possiamo essere ammessi alla visione? Solo chi dal fondo del cuore, nonostante le sue resistenze e confusioni, dice con il salmista: “Di te ha detto il mio cuore: "Cercate il suo volto"; il tuo volto, Signore, io cerco” potrà intuire l’esperienza dei tre discepoli sul monte della trasfigurazione. Qualcosa della bellezza di quel Volto ha ferito allora i cuori dei discepoli, come del resto ogni nostro cuore aspetta di esserne ferito. Intervengono gli occhi, ma sono guidati dagli orecchi: la contemplazione del Signore avviene nello spazio creato nel cuore dalla voce misteriosa di cui gli occhi ne vedono i contorni di bellezza. Già al battesimo era stata udita la voce dal cielo, che proclamava Gesù come il Figlio prediletto, ma ora, per i discepoli, viene aggiunto anche l’ “ascoltatelo!”. I discepoli ancora non possono sapere tutta l'estensione di quell’ “ascoltatelo!”, fin dove li porterà l'ascoltare il loro Maestro e ancora non possono conoscere tutta la profondità di quell'espressione “Figlio mio prediletto”, come poi si rivelerà alle loro coscienze e ai loro occhi con la passione-morte-risurrezione di Gesù e con la testimonianza della loro vita, resa capace di portare quello stesso amore di Dio, visto in Gesù e da lui partecipato, in se stessi e per tutti gli uomini. Anzi, tutta la scena della trasfigurazione sembra abbia lo scopo, nella narrazione evangelica, di segnare i cuori dei discepoli in vista della prova della croce. Così non può che seguire la consegna del silenzio, perché l'evento divino, ancora misterioso al loro cuore, non si trasformi in un motivo di vanto o di confusione.

Alla fine della vita Pietro ricorderà la potenza singolare di quella strana visione: “Infatti, non per essere andati dietro a favole artificiosamente inventate vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. Egli ricevette infatti onore e gloria da Dio Padre quando dalla maestosa gloria gli fu rivolta questa voce: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto". Questa voce noi l' abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte” (2Pt 1,16-18). E Giovanni, ancora più avanti nel tempo, ricorderà: “e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14) come anche scriverà nella sua lettera: “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita…” (1Gv 1,1).

Ma quando i discepoli seguono Gesù sul monte tutto è ancora confuso. Si notino i particolari: i discepoli sono oppressi dal sonno, si svegliano come per un attimo, sono impauriti e ammutoliti – le uniche parole che pronuncia Pietro, sembra non abbiano alcun senso, se non quello di rivelare il rapimento dei loro cuori! Confusione, quindi, che contrasta con la luce sfolgorante della visione, che la narrazione evangelica annota espressamente essere avvenuta dopo l’annuncio ai discepoli da parte di Gesù della sua passione. Con un dettaglio misterioso: “In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno prima di aver visto il regno di Dio". Circa otto giorni dopo questi discorsi, prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare…”. La trasfigurazione ha a che fare con il ‘vedere il regno di Dio’. Cosa significa? L’espressione è fortemente misteriosa. Si può vedere il regno di Dio? E dove? Equivale a domandarci: si può vedere la gloria di Dio? E dove? La gloria di Dio è lo splendore dell’amore di Dio che rifulge in Gesù, morto e risorto per noi. Per questo il colloquio di Mosè e Elia con Gesù non può che concernere la sua morte e risurrezione, centro della storia del mondo e motivo della rivelazione di Dio da sempre, come per mostrare che tutte le Scritture non hanno altro mistero da svelare se non quell’amore, svelato e sigillato in Gesù, che riconcilia gli uomini con Dio. Amore che ha un volto, il Volto del Signore Gesù. Amore, che dà a sua volta un volto a chi se ne lascia penetrare. E chi scopre il suo volto splende a sua volta dello stesso amore. È l’esito della sequela del Signore Gesù che i discepoli lasciano intravedere e di cui impariamo a rilevare le tracce nel corso del nostro cammino.