Secondo
ciclo
Anno
liturgico C (2006-2007)
Tempo
di Pasqua
Domenica di Pasqua
(8 aprile
2007)
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Risurrezione del Signore
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Un’antifona del
sabato santo introduce al mistero della risurrezione del Signore: “Cristo per
noi si è fatto obbediente fino alla morte, e alla morte di croce. Per questo
Dio lo ha innalzato e gli ha dato un nome che è sopra ogni altro nome”. E così
esulta la chiesa nell’inno pasquale: “Irradia sulla tua Chiesa la gioia
pasquale, o Signore, unisci alla tua vittoria i rinati nel battesimo”. La
gioia, quella vera, stabile, agognata, non può che essere pasquale; non solo
nel senso che ci deriva dall’evento della Pasqua del Signore, che rende nota al
cuore dell’uomo la motivazione inconfutabile della possibilità ritrovata di
essere nella gioia, ma anche nel senso che la gioia è strettamente correlata al
dramma, alla fatica, alla fedeltà di un amore che svela il mistero stesso della
vita e che si esprime nel suo rivelare la potenza d’intimità con il Padre,
autore della vita. Gioia che per noi si risolve nel dolce perdono che Gesù ci
riversa: “Tu, o Cristo, sei il nostro dolce perdono. Fa’ che di Te in ogni
istante io mi sappia rivestire e non abbia potere su di me la miseria con cui
mi vedo e mi sento. Con le tue ferite risanami, che io respiri e viva del tuo
sguardo verso il Padre. Nelle tue piaghe nascondimi, che il sentimento della
mia malinconia non si erga a obiezione della tua grandezza. Lasciami entrare
nel tuo cuore, che io mi avvolga della sua benevolenza e mi faccia rinascere,
finiti i terrori della notte, al mattino della tua presenza”.
Il racconto
della risurrezione di Gesù, come viene letto nel cap. 20 di Giovanni, cela una
eccezionale ricchezza teologica ed è percorso da una tensione fortissima che
proviene dal fatto di avvicinarci alla frontiera che delimita questo mondo
dall’altro mondo, le cose di quaggiù dalle cose di lassù, ciò che si vede da
ciò che ci viene mostrato soltanto. Le prime parole suddividono il tempo e
tutto il capitolo, che narra gli eventi del giorno della risurrezione, giorno
uno e ottavo, resta così suddiviso: l’alba, la tomba vuota (20,1-10); il
mattino, Gesù appare a Maria (20, 11-18); la sera, Gesù si mostra ai discepoli
(20, 19-23); il sigillo dell’ottavo giorno, l’apparizione a Tommaso (20,
24-29); la conclusione, la finalità del vangelo (20, 30-31).
Il primo giorno,
il giorno uno della settimana, dischiude un tempo completamente diverso, un
tempo nel quale tutto ciò che è stato compiuto fino ad ora si rivela come
novità. Il primo personaggio che ci conduce alla soglia di questa novità è
Maria Maddalena. A differenza dei sinottici, Giovanni non aveva menzionato per
la circostanza della sepoltura la presenza delle donne. La mistura di mirra e
aloe era stata portata da Nicodemo e Giuseppe di Arimatea. I sinottici narrano
dell’arrivo al sepolcro, all’alba, delle donne con gli oli per completare
l’unzione del corpo di Gesù. Giovanni sorvola su tutto questo. Parla solo di
Maria Maddalena e l’accento è posto sulla motivazione profonda, interiore,
della sua presenza al sepolcro. Essa vive un’angoscia personale, un sentimento
di assenza irrimediabile; per lei oramai il Signore è l’Assente; non può che
sentirlo che così. Per prima vede la pietra del sepolcro tolta via e corre ad
avvertire i discepoli: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non
sappiamo dove lo hanno posto”. Dall’angoscia dell’assenza passa all’angoscia
dell’incertezza. Ma Giovanni parla della pietra tolta via dal sepolcro per
sottolineare, in questo Giorno della Risurrezione, che viene tolto l’ultimo
impedimento alla ‘vista’, alla ‘visione’, come poi il brano dirà a proposito di
Giovanni entrato nel sepolcro. L’episodio dei due discepoli che corrono al
sepolcro lo conferma in una tensione crescente per giungere, alla fine, alle
straordinarie parole: “Allora entrò anche l’altro discepolo …e vide e credette”.
È come una richiesta che viene sussurrata al cuore dei possibili lettori del
vangelo, la richiesta di avanzare nella conoscenza del mistero, di salire fino
all’intelligenza della risurrezione che viene svelata poco a poco: “Vide e
credette”. La tensione del racconto punta qui. Ma cosa ‘vide’ Giovanni?
Anzitutto, a quel ‘vide’ non arriva tramite deduzione logica, tramite
ragionamenti. Si tratta di una percezione folgorante che contemporaneamente fa
comprendere l’evento e tutto ciò che l’ha preceduto, tutte le Scritture che a
quello si riferivano. Non è un capire, ma un ricevere una rivelazione per la
quale tutto si illumina e tutto prende luce. Possiamo farci un’idea del come e
del perché il discepolo che Gesù amava, entrando nel sepolcro, abbia potuto ‘vedere
e credere’? Si è cercato di rintracciare, anche a livello esegetico, quel
‘qualcosa’ che dentro il sepolcro ha indotto Giovanni a credere. Avrebbe visto
le fasce e il lenzuolo funerario abbassate, non disciolte e il sudario, che era
posto sul capo, non con le fasce disteso, ma al contrario avvolto in una
posizione unica, cioè in una posizione diversa: invece che essere disteso sulla
pietra sepolcrale con le fasce, era rialzato e avvolto, come inamidato da
quella luce e calore che dovettero prosciugare di colpo gli aromi che
impregnavano le tele.
Comunque sia
spiegato l’evento, è chiaro che la risurrezione di Gesù era del tutto
inconcepibile per i suoi discepoli. L’esperienza della tomba vuota situa ormai
l’intelligenza del mistero di Dio in una luce assolutamente particolare e apre
all’uomo l’accesso di un tempo ‘eterno’ in cui situare la storia e gli eventi,
attraversati così dallo splendore del corpo glorioso di Cristo, in attesa che
quello splendore riempia gli occhi e investa il cuore.
L’augurio della
gioia pasquale allude proprio al dono di quella luce che inonda gli occhi e il
cuore per farci vivere nella presenza del Signore che ci trascina nel regno del
Padre suo.
Il Signore è
risorto! E’ davvero risorto!