Secondo ciclo

Anno liturgico C (2006-2007)

Tempo di Natale

 

Epifania del Signore

(6 gennaio 2007)

 

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 Is 60,1-6; sal 71; Ef 3,2-6; Mt 2,1-12

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Epifania vuol dire manifestazione. La festa di oggi ingloba tre momenti della manifestazione del Signore: la manifestazione di Gesù alle genti con la venuta dei magi; la manifestazione del Signore all’inizio della sua carriera messianica con il battesimo al fiume Giordano; la manifestazione del Signore con il primo miracolo alle nozze di Cana.  Recita l’antifona al Magnificat: “Tre prodigi celebriamo in questo giorno santo: oggi la stella ha guidato i magi al presepio, oggi l’acqua è cambiata in vino alle nozze, oggi Cristo è battezzato da Giovanni nel Giordano per la nostra salvezza”. E l’inno ai Vespri canta: “I magi vanno a Betlem e la stella li guida: nella sua luce amica cercan la vera luce. Il Figlio dell’Altissimo s’immerge nel Giordano, l’Agnello senza macchia lava le nostre colpe. Nuovo prodigio a Cana: versan vino le anfore, si arrossano le acque mutando la natura”. Ma ancora più significativa è l’antifona al Benedictus: “Oggi la chiesa, lavata dalla colpa nel fiume Giordano, si unisce a Cristo, suo Sposo; accorrono i magi con doni alle nozze regali e l’acqua cambiata in vino rallegra la mensa”.

Lasciando da parte ogni considerazione sul battesimo di Gesù, la cui festa ricorre domani, immergiamoci nel racconto dell’adorazione dei magi.  Da notare la differenza degli atteggiamenti dei vari personaggi in questione. I magi non sanno ma il loro cuore si è mosso tanto che, pur non sapendo bene di che cosa si trattava, si mettono in viaggio, arrivano a Gerusalemme, chiedono, cercano. Invece la Gerusalemme colta, gli scribi e gli anziani, sa le cose ma non si muove. Se Erode sembra muoversi lo fa solo per paura di perdere il potere e quindi in realtà non si muove per cercare in verità. Sono i possibili atteggiamenti che può assumere l’uomo davanti al mistero ed alla storia di Dio. I magi sono la figura della manifestazione di Dio alle genti; portando i loro doni, si aprono al mistero di Dio (con l’oro riconoscono la regalità misteriosa di quel ‘bambino nato per noi’, con l’incenso riconoscono la sua divinità, con la mirra la sua umanità pronta a soffrire la passione per la nostra salvezza) e permettono al loro cuore di vedere la gloria di Dio tanto che fanno ritorno a casa loro per altra strada, come a dire che chi si apre all’adorazione di Dio riscopre la casa propria in altro modo, con altro sguardo, sotto altri orizzonti. Questo mi induce a due osservazioni: 1) se il Messia è promesso alle genti, di che cosa siamo noi credenti debitori al mondo? Siamo debitori proprio della conoscenza del Signore. E questo debito pende sulla nostra testa. Qui si ricollega la responsabilità della testimonianza dei credenti di fronte al mondo; 2) se il Messia è promesso alle genti, vuol dire che fin tanto che tutte le genti non l’hanno conosciuto, la nostra stessa conoscenza del Messia è manchevole, resta limitata. Come in un’amicizia: fin tanto che non ho trovato qualcuno che voglia bene a me, io non potrò scoprire quello che sono in verità, quello che porto e di cui sono capace. Così è con Dio. Fin tanto che tutti non l’hanno conosciuto, Dio non ha ancora avuto modo di manifestarsi in tutta la sua ricchezza. Attendere questa manifestazione, nel cuore di tutti, rende umili e adoranti e risponde al comandamento dell’amore verso tutti, anche verso i nemici, finché la gloria di Dio si manifesti compiutamente.

Quanto al mistero della trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Cana (cfr. Gv 2,1-10), simbolo delle nozze del Signore Gesù con l’umanità nostra, anche questo ha a che vedere con la manifestazione della gloria di Dio nella nostra vita.  Quando siamo acqua e quando siamo vino? Essere acqua significa accettare sì i comandamenti del Signore, ma limitarsi all’esecuzione esteriore. Passare dall’essere acqua al diventare vino significa passare dalla volontà di osservanza del comandamento al gusto del frutto che il comandamento comporta. La promessa nascosta in ogni parola di Dio è questa: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). Come a dire: ogni comandamento ha un’ispirazione; senza cogliere tale ispirazione non potremo mai gustare la promessa che è nascosta dentro ogni comandamento, la promessa della conoscenza ‘cordiale’ del Signore, la promessa del gusto della sua compagnia. Come in un rapporto d’amore. Non basta fare delle cose, neanche farle per l’altro; se non si coglie l’ispirazione che muove il cuore ad agire, se non si coglie l’effetto che il nostro agire ha sul cuore dell’altro, se non ci viene rimandata la gioia dell’altro che coglie il movimento del nostro cuore, si resta acqua. Il vino invece, dice la Scrittura, rallegra il cuore dell’uomo. E nel gustare quel vino, il cuore si apre alla conoscenza della gloria del Signore. Quello che i magi hanno sperimentato, quello che gli apostoli hanno testimoniato, quello che i credenti in Cristo ‘debbono’ al mondo che aspetta tale manifestazione.