Secondo ciclo

Anno liturgico B (2005-2006)

Tempo di Quaresima

 

2a Domenica

(12 marzo 2006)

 

_________________________________________________

Gn 22,1-18; Sal 115; Rm 8,31-34; Mc 9,2-10

_________________________________________________

 

È appena iniziato il cammino quaresimale e la chiesa, seguendo la pedagogia evangelica, già sente il bisogno di rassicurare i suoi figli, timorosa che l’asprezza del cammino paralizzi invece che consolidare l’anima. Se l’antifona di ingresso canta: “Di te dice il mio cuore: ‘Cercate il suo volto’. Il tuo volto io cerco o Signore”, il brano evangelico oggi ci mostra il volto di Gesù risplendente di luce luminosissima, un volto ‘bellissimo’. Come se gli occhi umani fossero resi capaci di vedere l’oltre della figura di Gesù, quell’oltre che pesca nella incommensurabile bellezza e profondità divina, a noi nascosta, ma per noi vitale. Eppure, nulla si svolge secondo la nostra immaginazione. Se i pittori di icone non si fossero sprofondati nella contemplazione del brano evangelico, non avrebbero mai dipinto la scena con i discepoli ‘atterrati’, come scaraventati a terra, spaventati, di fronte a un Gesù splendente di luce che fuoriesce dalle profondità divine e che bagna con la sua luce tutto il mondo. Pietro proclama che per lui era bello stare lì, ma il testo continua dicendo che era come fuori di sé dallo spavento. Compaiono accanto a Gesù Elia e Mosè in atto di conversare con lui, ma, come specifica l’evangelista Luca, il tema della conversazione era la morte di Gesù. Perché questi accostamenti drammatici?

Nel vangelo di Marco il brano della trasfigurazione sul Tabor è posto al centro del suo tessuto narrativo. Gesù era appena stato riconosciuto da Pietro come Figlio di Dio, ma contemporaneamente aveva svelato il suo esito messianico, che cioè avrebbe dovuto soffrire molto, essere ucciso e risuscitare. Non solo, ma aveva ricordato ai discepoli che, se quella era la via del Maestro, non si immaginassero di seguire un’altra via: “Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce…”. E aveva ancora aggiunto: “Vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza”, quella ‘potenza’ che unanimemente la tradizione afferma essere stata vista dai discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni, sul Tabor. Ma i discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni sono gli stessi che vedranno di Gesù il volto sanguinante, teso e stravolto dalla sofferenza, al Getsemani. I discepoli hanno visto il volto trasfigurato di Gesù sul Tabor perché imparassero a riconoscerlo nella sofferenza della passione, quando hanno dovuto rimirare non l’oltre, ma come l’al di qua della figura, non il volto trasfigurato, ma il volto sfigurato. I vangeli e la tradizione tengono collegate le due esperienze. Perché? Quale il senso?

Credo che la risposta vada cercata nella inevitabile dimensione drammatica dell’amore. Troppo beatamente e irrealisticamente ci immaginiamo l’amore in termini ‘beatificanti’. E’ come un voler vivere l’amore a parte dalla vita, senza la vita, come un sognare l’amore senza viverlo. Dio si mostra invece come un amante così implicato nella vita da non rifuggirla mai, da assicurarcela sempre, in totale abbondanza. Se su Gesù risiede tutta la compiacenza del Padre, come dice la voce a sigillo della visione sul Tabor, è perché lui farà vedere l’amore del Padre per gli uomini con tale radicalità e assolutezza da implicare tutta la sua vita fino alla morte, morte che segnerà proprio il trionfo dell’amore come sorgente di vita per chiunque lo riconoscerà. Il dramma nostro invece è dato dal fatto che neppure davanti a Lui ci lasciamo convincere che l’amore di Dio è per noi, che l’amore suo è vita vera per noi, che l’amore diventi vita vissuta. Vorremmo che Dio con il suo amore ci beatificasse senza dover spendere la vita in amore per tutti perché il Suo amore risplenda. Quale stoltezza! Il cammino quaresimale, con l’invito alla conversione, punta proprio a renderci permeabili dall’amore di Dio in Gesù che si fa radice di vita, misura di vita.

Risuona potente il grido dell’apostolo: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?”. Ma risuona vero nel nostro cuore? Ha fatto il nostro cuore un’esperienza così vera della visione dell’amore del Signore Gesù da poter ritrovarsi, davanti alle rivendicazioni che innalza nella vita, alle afflizioni che lo attanagliano, nella stessa certezza dell’apostolo?

Quando cerchiamo di seguire Gesù mettendo in pratica le sue parole è come se entrassimo anche noi nella stessa compiacenza che gode da parte del Padre, compiacenza che in altro non consiste se non nel godimento di una vita che è diventata tutta amore, tanto che non si vuole altra vita se non quella che provenga e conduca ad un amore capace di far risplendere il volto degli uomini. Ma se si vede risplendere quella luce, allora Dio è con noi, il mondo può risplendere della sua presenza.