Secondo ciclo

Anno liturgico B (2005-2006)

Tempo di Pasqua

 

Ascensione

(28 maggio 2006)

 

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At 1,1-11; Sal 46;  Ef 4,1-13;  Mc 16,15-20

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Il mistero dell’ascensione è presentato dalle Scritture e dalla liturgia in due registri: un registro dogmatico, secondo l’enunciato della fede e un registro narrativo, secondo i ricordi degli apostoli. Il ‘fatto’ dell’ascensione di Gesù, vale a dire della sua sparizione agli occhi degli apostoli mentre sale al cielo è narrato dalla prima lettura, secondo il resoconto che l’evangelista Luca presenta nel primo capitolo degli Atti; l’enunciato dogmatico, vale a dire che Gesù fu assunto in cielo e ora siede alla destra del Padre, lo troviamo nel vangelo di Marco. I due registri vanno tenuti insieme.

La gioia della colletta: “Esulti di santa gioia la tua Chiesa, o Padre, per il mistero che celebra in questa liturgia di lode, poiché nel tuo Figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te e noi, membra del suo corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo nostro Capo nella gloria”, è una gioia, potremmo dire, in terza battuta, conseguenza cioè dell’aver contemplato con gli apostoli il fatto dell’ascensione al cielo di Gesù, dell’aver ‘compreso’ il senso di quell’avvenimento e perciò applicato a noi la potenza di grazia che comporta.

Procediamo con ordine. Consideriamo prima il fatto. Gesù si sottrae alla vista dei discepoli. Non potrà più essere visto da loro. Due i particolari strani nei racconti: primo, l’intervento degli uomini in bianche vesti, la cui funzione è di sottolineare che non serve stare con il naso per aria, con lo sguardo perso verso il cielo e che il cielo non è più in alto ma là dove è Gesù, cioè con i suoi discepoli, in terra, lungo la storia fino a che si realizzi definitivamente il suo Regno, il regno del Padre; secondo, l’annotazione della grande gioia, che contrasta con il fatto che ormai i discepoli non vedranno più il loro Maestro. Ciò significa che l’evento nella percezione degli apostoli è colto come un dono di presenza, come un’interiorizzazione di rapporto che non solo non perde nulla della sua realtà con la sottrazione della fisicità di Gesù, ma acquista una profondità e intensità insospettate. Se potessi riassumere con mie parole la sensazione degli apostoli direi che si è trattato dell’esperienza di una gioia assolutamente dinamica, una gioia capace di allargare i confini del cuore e le energie corrispondenti in maniera illimitata. L’ascensione di Gesù è posta perciò in rapporto diretto con la missione degli apostoli e con la predicazione del vangelo al mondo quanto all’agire, e con l’esperienza della presenza ‘potente’ di Gesù con loro quanto all’essere. Anche il comando di Gesù, proclamato nel canto al vangelo e ripreso da Matteo (“Andate e ammaestrate tutte le nazioni. Ecco: io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”) acquista una particolarissima sfumatura. Gli apostoli sono invitati non semplicemente a istruire, ad ammaestrare, ma più propriamente a far sì che tutti possano riconoscere e accogliere con amore lo stesso Maestro, perché anche in loro si faccia sentire quella gioia e possano godere della sua presenza potente (ammaestrare, in greco, allude al fatto di essere trovati discepoli).

Nel racconto di Luca Gesù che sale a cielo è visto nell’atteggiamento benedicente, come a dire che ormai la benedizione di Dio sull’umanità è proprio Lui e ognuno è chiamato a godere sotto quella benedizione. Lo ricorda Pietro nel suo discorso dopo Pentecoste: “Voi siete i figli dei profeti e dell' alleanza che Dio stabilì con i vostri padri, quando disse ad Abramo: Nella tua discendenza saranno benedette tutte le famiglie della terra. Dio, dopo aver risuscitato il suo servo, l' ha mandato prima di tutto a voi per portarvi la benedizione e perché ciascuno si converta dalle sue iniquità” (At 3,25-26). E lo riprende anche l’autore della lettera agli Ebrei: “Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, essendo egli sempre vivo per intercedere a loro favore”.

Proprio qui si innesta l’enunciato di fede: Gesù è alla destra del Padre, cioè nell’atteggiamento di Colui al quale è stato dato ogni potere in cielo e in terra per ottenerci la salvezza. Da tale considerazione deriva la nostra speranza e tutta la nostra fiducia, tanto che possiamo contemplarci, nel suo amore, vicini a Dio, assunti in Dio anche noi, legati a Lui, Lui la vite e noi i tralci, Lui il capo e noi le membra.

Mi piace sottolineare un altro particolare. Nella presentazione del mistero dell’ascensione in Marco, quello che colpisce è una specie di forza dinamica che muove tutto, il cuore degli apostoli come l’insieme del mondo, come anche il desiderio di Dio per l’uomo. In quel correre alla predicazione non va visto solo lo zelo degli apostoli, ma anche l’attesa degli uomini e il desiderio di Dio. Così, quella presenza ‘potente’ di Gesù con i suoi  non va vista in funzione della capacità di fare miracoli, come farebbe supporre l’annotazione dell’evangelista nel passo precedente, ma in funzione ‘predicante’, vale a dire nella sua capacità di riempire il cuore che parla a tutti della Sua presenza viva senza che il mondo lo soffochi o lo distolga. E l’anima di questa potenza è lo stesso desiderio di salvezza degli uomini da parte di Dio che si comunica ai cuori e che attraversa instancabilmente il mondo. Allora la gioia dell’ascensione è colta in tutta la sua estensione.