Secondo ciclo

Anno liturgico B (2005-2006)

Tempo Ordinario

 

33a Domenica

(19 novembre 2006)

 

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Dn 12,1-3; Sal 15;  Eb 10,11-18;  Mc 13,24-32

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Il ciclo dell’anno liturgico volge al termine e la chiesa si trova proiettata nella tensione escatologica, nella ‘attesa della fine’. Le letture di oggi ricordano gli eventi ultimi, misteriosi, quelli che precedono l’avvento del Figlio dell’uomo sulle nubi quando verrà nella gloria a giudicarci e ad aprirci le porte del Regno. Tutto il cap. 13 di Marco è dedicato a questo discorso in chiave apocalittica. Questo modo di parlare immaginifico, a tinte forti, a volte fosche, ci risulta difficile da comprendere, difficile da assimilare, difficile da aprire. In un’unica sequenza vengono mescolati gli avvenimenti della morte-risurrezione di Gesù, della distruzione di Gerusalemme ad opera dei romani, delle tragedie della storia umana, delle prove e del martirio dei credenti, dei segni cosmici alla fine dei tempi, del giudizio finale imminente. Come disporre il cuore ad ascoltare quella parola di vita che risuona in tutte queste parole?

La finestra di luce è data dall’antifona di ingresso che riprende alcuni versetti del cap. 29 del profeta Geremia: “Dice il Signore: «Io ho progetti di pace e non di sventura; voi mi invocherete e io vi esaudirò, e vi farò tornare da tutti i luoghi dove vi ho dispersi»”. Anche la colletta la riprende con la supplica: “… donaci il tuo Spirito, perché operosi nella carità attendiamo ogni giorno la manifestazione gloriosa del tuo Figlio, che verrà per riunire tutti gli eletti nel suo regno”. La preghiera non ci indica semplicemente un evento futuro, ma ci illustra una tensione, la tensione del desiderio di Dio di stare con gli uomini, finalmente ri-conosciuto nel Suo amore per i suoi figli, che si realizza nella storia. E perciò va intesa: donaci lo Spirito di Gesù che fa risplendere il tuo amore tra gli uomini perché anche noi, mossi dallo stesso amore, possiamo vedere fin da ora l’avvento del tuo regno che compone in unità i figli di Dio dispersi. Per questo Lui è venuto, in questo possiamo vedere i progetti di pace di Dio realizzarsi, di questo attendiamo finalmente il compimento. L’insistenza sulle prove, sui dolori, sulle tribolazioni, sul martirio, che il linguaggio apocalittico esalta con immagini penetranti, non fa che acuire la vista sull’unicum necessario, mantenere cioè il cuore in quell’amore che da Lui discende e che a Lui riporta perché tutti possa conquistare, finalmente. Al di fuori di Lui, al di fuori del progetto di pace di Dio per l’uomo, quell’amore non si attinge e la tragedia della storia resta solo tragedia, la dispersione resta solo un sogno irrimediabilmente infranto che acuisce la rabbia e la separazione tra gli uomini e appressa semplicemente la fine senza far raggiungere il fine. Per questo, quando la prova incombe, la tentazione assale, lo sconvolgimento irrompe, l’avvertimento che risuona è solo: badate bene, state attenti, vegliate. State attenti a non lasciarvi turlupinare, badate a voi stessi perché non vi si illuda, non bevete menzogne, non ingannate il vostro cuore.

Gesù si fa premura di ricordarcelo: “il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”. Proprio perché crediamo che l’esito finale sarà la manifestazione gloriosa del regno di Dio, per cui tutti vedranno quanto è grande l’amore di Dio per gli uomini sia che se ne partecipi nella gioia sia che ce ne si senta dolorosamente privati, ci diamo premura perché anche il nostro agire nell’oggi che ci è dato sia teso a rivelare quella manifestazione, a far sì che appaia al nostro cuore, oggi, nel suo splendore, quell’amore che ci è stato riversato nella persona del Figlio dell’uomo. Ogni evento della fine non può che ricollegarsi all’evento della morte-risurrezione del Figlio dell’uomo il quale davvero ‘consuma’ la storia aprendola al suo fine, alla rivelazione di quel progetto di pace. La domanda angosciosa che ci accompagna resta sempre la medesima: ma perché la storia deve contemplare nel suo seno tanto dolore? Perché l’amore, per apparire, deve attraversare un così grande soffrire? Perché il Figlio dell’uomo è anche l’uomo dei dolori? Si convince un cuore dell’amore che gli porti se non vede che puoi anche soffrire per lui? E la risposta resta segreta nel cuore di Dio, segreto a cui il cuore attinge quando non si premura d’altro che di condividere il progetto di pace di Dio. Proprio come canta un’antifona alla comunione della messa di oggi: “Il mio bene è stare vicino a Dio, nel Signore Dio riporre la mia speranza”. Oppure, come nel ritornello del salmo responsoriale: “Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio”, da intendere: veniamo custoditi proprio dalla manifestazione dell’amore del Signore al nostro cuore, che così viene conquistato, amore che risulta il segreto vero della nostra umanità, la nostra radice di vita.