Secondo ciclo

Anno liturgico B (2005-2006)

Tempo Ordinario

 

29a Domenica

(22 ottobre 2006)

 

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Is 53,2-11;  Sal 32;  Eb 4,14-16;  Mc 10,35-45

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Come sempre, Gesù non si irrita davanti alle domande dei suoi discepoli, anche se suonano fuori posto. La richiesta dei figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, di sedere nella gloria del Cristo uno alla destra e uno alla sinistra, si colloca nel contesto della salita di Gesù a Gerusalemme quando, ormai in prossimità della città, ricorda ai discepoli per la terza volta che il Figlio dell’uomo sarà condannato, vilipeso, ucciso e poi risorgerà. Il momento è altamente drammatico. Da parte dei discepoli si tratta di una domanda seria, non proviene da cuori vanesi o vanitosi. E’ in gioco il senso stesso della loro vita, il senso della loro sequela, il senso di quell’evangelo che li ha toccati profondamente e che nella persona del Maestro ha concentrato le tensioni dei loro cuori. Corrisponde, quella richiesta, forse in maniera più presuntuosa, alla domanda di Pietro: abbiamo lasciato tutto, cosa avremo? E’ la domanda che accompagna, in sordina, i cuori dei credenti.

Gesù riconosce la lealtà dei due discepoli. Sa che sono disposti a seguirlo fin nella sua passione. Per loro vale sicuramente la lode di Paolo: “a voi è stata concessa la grazia non solo di credere in Cristo; ma anche di soffrire per lui” (Fil 1,29) [di fatto Giacomo morì martire verso l’anno 44 a Gerusalemme, secondo At 12,2, mentre la tradizione che fondandosi su questo passo fa martire Giovanni è chiaramente posteriore. Anche in questo risalta la ‘misteriosità’ della parola di Dio: in che senso Giovanni ha bevuto il calice della passione, se non è morto martire?].

Nella sua risposta Gesù svincola la grazia del seguirlo e del soffrire per lui da ogni possibile ‘finalità’ umana: “Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato”. Il mistero del seguire il Signore e del soffrire per lui resta intatto ed assoluto nella sua densità e purità; non è finalizzato a nient’altro. Non è possibile seguire il Signore aspettandosi una ricompensa: ne verrebbe svuotato l’anelito di fondo che spinge i cuori a fare uno spirito solo con il Signore. La ragione profonda risiede nel fatto che ad attirare a Gesù è il Padre: “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato” (Gv 6,44). Essere mossi dal Padre significa condividere l’amore di benevolenza che in quel Figlio ci raggiunge e ci fa riposare. Non si può desiderare altro. Volere altro significa uscire da quella dinamica e fallire il compimento dei desideri del cuore. A questa ‘assolutezza’ Gesù richiama e rimanda.

Del resto si concatena bene a questa risposta, anche l’altra risposta di Gesù all’irritazione dei discepoli contro i due figli di Zebedeo: “…chi vuol essere grande  tra voi si farà vostro servitore …Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”. Perché voler essere grandi comporta, seguendo il Signore Gesù, dover servire? Di nuovo si è rimandati al mistero del Padre che attira al Figlio. Servire significa compiere quella ‘volontà di benevolenza’ del Padre nei confronti degli uomini che in Gesù si realizza perfettamente. Compiere la volontà di benevolenza significa far risplendere, comunque, in qualsiasi condizione, quell’amore di Dio per gli uomini in cui si radica la loro dignità e la loro libertà. Si tratta di realizzare una grandezza che sa liberare la dignità degli uomini rivelando loro di essere non soltanto oggetto di amore, ma soggetti di amore. Il servire procura questo riscatto: libera la dignità degli uomini e fa risplendere la presenza del Signore. E se non porta lì, allora vuol dire che il servire messo in atto è ancora un servire troppo umano, sentimentale generosità o semplice incapacità di affermazione. Quando Gesù chiede ai figli di Zebedeo: ‘potete bere il calice che io bevo?’ è come se chiedesse: potete stare solidali con il desiderio di Dio verso gli uomini e contemporaneamente stare solidali con l’umanità di modo che il Suo amore risplenda liberatore per voi stessi come per loro? Questa è la posta in gioco del servire. E questa è la posta in gioco della grandezza secondo Dio, che compie, per noi e per tutti, insieme, le attese dei cuori.